Bauscia Cafè

Diciannove

Siamo arrivati alla fine di questa stagione. I nostri ragazzi ce l’hanno fatta ed il sottoscritto festeggia ininterrottamente da diverse ore inebriandosi di tutti i contenuti a tinte nerazzurre che gli capitano sotto tiro. Pur essendo campioni da diverse settimane, la giornata di ieri per me è stata quella della realizzazione: siamo Campioni, l’abbiamo vinto noi. Vedere le famiglie, i giocatori, lo staff è stato un turbinio di emozioni tanto unico che un mediocre scrittore come me non gli può certo rendere giustizia, ma mi sento di dire: ne avevamo davvero bisogno.

Fig. 1

Lampi di gioia e di felicità in un momento delicato per tante famiglie, dentro e fuori dallo stadio, dopo due anni che hanno di fatto cambiato il mondo in cui viviamo in modo imprevedibile e radicale. Vedere generazioni diverse, i genitori più anziani ed i bambini, gioire insieme ai calciatori e agli eroi dell’Inter di ieri e di oggi è qualcosa che non potevo immaginare mi colpisse così forte. Le lacrime di Lukaku, l’abbraccio con Lautaro, le magliette celebrative, le dediche ed i ricordi: è stata una giornata che personalmente mi porterò dentro finchè vivrò.

Ammetto di essere un pessimista per natura. Un cazzaro, chiamiamo le cose con il loro nome, che ama l’Inter alla follia, ma fondamentalmente una persona incline a pensare che le cose possano andare male da un momento all’altro. Mi ricordo gli anni bui che abbiamo attraversato, con la squadra che ogni anno diventava più debole ed i risultati più deludenti. Arrivai a chiedermi realmente se sarei riuscito a rivedere la mia squadra vincere ancora, tornare grande. Mi chiedevo se mi sarei di nuovo potuto immedesimare nei nostri giocatori, se mi sarei sentito di nuovo orgoglioso di essere rappresentato dalle persone che compongono la mia squadra.

Fig. 2

Tutta la negatività, i dubbi, le incertezze accomulate negli anni sono state troncate di netto nell’arco di una stagione. Un pugno al pessimismo e una lezioni di vita: crederci sempre. Sembra la boutade di qualcuno che ancora non ha smaltito la sbornia emotiva – e c’è del vero – ma parliamone. La storia che verrà lasciata ai posteri è inequivocabile e incredibile: l’Inter torna a vincere il campionato di Serie A allenata da Antonio Conte, scelto dall’Amministratore Delegato Giuseppe Marotta. Una delle cose più surreali, più improbabili che il sottoscritto potesse mai immaginare fino a qualche anno fa.

Antonio Conte? No, non scherziamo. Bravissimo allenatore, enorme professionista, certamente, ma stiamo parlando di Antonio Conte. Se esiste una figura che nella mia testa ha sempre incarnato tutto ciò che si può attribuire allo stereotipo dello juventino, quella aveva le fattezze di Antonio Conte. Il loro capitano, la loro bandiera, la stella inchiodata nel cemento del loro stadio vince il campionato da allenatore dell’Inter di Milano e spezza il dominio della sua ex squadra. Se ve lo avessero mai raccontato negli anni passati, scegliete voi tranquillamente il momento storico, perchè vanno bene tutti, cosa avreste pensato?

Fig. 3

Poi mi soffermo sulla squadra di oggi, guardo gli uomini che hanno vinto lo scudetto. Mi si affollano alla mente tanti di quei pensieri che probabilmente le prossime righe sembreranno un flusso di coscienza di un ubriaco, ma diluviano epifanie. Ci sono delle storie all’interno di questo gruppo incredibili a pensarci bene. Parto da ancora più lontano di questi due anni e penso a Brozovic, il sacerdote del nostro centrocampo, che da quasi quattro anni si è completamente trasformato diventando il miglior regista della Serie A. Stava per salire sull’aereo per Siviglia, rendiamoci conto. In un universo parallelo il croato sale sul volo e noi arriviamo quinti nel primo anno di Spalletti. Il bivio. Enrico Ruggeri ci ha fatto un programma televisivo anni fa, ma un “what if” come questo sarebbe stato probabilmente devastante per la nostra storia recente.

Fa coppia con il croato recentemente Eriksen, che cinque mesi fa era “non funzionale” al nostro gioco e – di fatto – in uscita. Come lui e Conte siano riusciti a riprendere in mano la propria storia dopo un anno è qualcosa di misticamente imprevedibile: sfido chiunque a credere ad un finale del genere ad inizio Gennaio. Poi ecco il gol decisivo nel derby di Coppa Italia, con una punizione pennellata dopo tanti capolavori che si erano stampati spesso sui legni e tutto cambia. Un altro che devo citare è Perisic, epurato la scorsa stagione, che dopo una carriera povera di trofei ha infilato un triplete con il Bayern Monaco e uno Scudetto di ritorno con l’Inter in meno di un anno. Potrei andare avanti sino a domani: pensate anche a Darmian e Skriniar.

Fig. 4

Insomma prendete qualsiasi giocatore dell’Inter e probabilmente la sua storia, il suo percorso, vi sorprenderà. Persino quelli che avevamo etichettato come “perdenti” nel corso degli anni, i vari Ranocchia, Gagliardini, D’Ambrosio, si sono calati nel ruolo di gregari all’interno di un gruppo dove anche loro hanno fatto la loro parte, cambiando completamente la loro storia all’Inter. Ranocchia oggi è diventato un simbolo di un percorso, un testimone della Storia: da una grande Inter in declino, passando per le melme di anni soffocanti e privi di magia, fino alla trasformazione e al ritorno alla vetta. L’immagine di Spalletti che difende Ranocchia in ritiro, insultato dai tifosi, non è così lontana: il nostro anfibio preferito si è trasformato non nel principe delle fiabe, ma in un uomo-chiave del nostro spogliatoio.

Dei nostri centravanti ne abbiamo scritte di ogni. Lukaku appena arrivato a detta di molti era “un sopravvalutato fuori forma e costato tanto”, mentre l’Inter perdeva un certo attaccante argentino e “la sua manager più ambita”. Dopo due anni, credo di poter dire che un upgrade tecnico e umano così enorme non penso di ricordarlo almeno negli ultimi trent’anni sul mercato, parlando di Inter. Torno a dire: ad un certo punto della nostra storia moderna le cose hanno cominciato a rimettersi al proprio posto. Ci sono momenti in cui vai sul mercato, investi milioni e porti a casa negli anni i Kondogbia, Gabigol, Joao Mario, Dalbert e compagnia. E poi ci sono periodi in cui in due anni entrano Lukaku e Hakimi. Competenza, fato, chiamatelo come vi pare.

Fig. 5

Infine il nostro Capitano: Samir Handanovic. Oggi c’è chi storce il naso pensando alle ultime prestazioni non brillanti, ma lo sloveno condivide in larga parte il percorso di Ranocchia sul piano simbolico ed è lui il primo Capitano dopo Javier Zanetti a riportarci lo scudetto. Non sarà espansivo, non sarà la persona con cui è forse più facile empatizzare a pelle, certamente non è un paraculo o uno che strizza l’occhio al tifoso, ma – statece – è entrato in modo indelebile nella storia del nostro amato club ed in modo ampiamente meritato.

Dicevo, si è parlato un po’ di giocatori, ma le storie dei dirigenti a pensarci sono parimenti incredibili. Oltre a Marotta che condivide con Conte il percorso apri/chiudi del ciclo bianconero, c’è anche Oriali che è presente in tutti gli ultimi scudetti dell’Inter. Uno ci pensa a mente fredda ed è davvero così: nell’Inter di Mancini e Mourinho c’era Oriali e nell’Inter del Diciannovesimo c’è ancora Oriali.

Fig. 6 – Confermato il mio nuovo sfondo del cellulare

E andando ancora a tappeto, siamo la prima squadra con proprietà straniera a vincere in Italia, il che rende onore al nostro nome e ai principi fondanti di questo club: siamo fratelli del mondo. Campioni d’Italia e con un futuro tutto da scrivere, dove ci si augura ci possano essere i margini per ripetersi, continuare e aprire un grande ciclo.

In questo tornado di storie differenti che si mescolano c’è la storia di ognuno di noi ed è questa la più grande realizzazione che mi porto a casa con la giornata di ieri: l’Inter è parte di noi. Una conferma, non una scoperta, sia chiaro.

L'Inter scandisce la nostra vita, lo scorrere del nostro tempo. twittalo

L’ultimo grande trionfo della mia squadra facevo il Liceo, oggi sono quasi alla soglia dei trenta. Tante persone care erano con me allora e oggi non le ho più al mio fianco, mentre tante altre c’erano e ci sono oggi. Quello che non cambia mai è la fede per questi colori, nell’intreccio di tante vite e storie che vanno a formare un unico grande filo rosso che ci tiene legati con il passato, il presente ed il futuro.

Per il momento – comunque – al domani ci penseremo, tempo per fare ordine certamente i protagonisti ne avranno parecchio e perdersi in previsioni oggi è prematuro: non sanno niente i giornali, non sanno niente gli addetti ai lavori, figurarsi cosa possa sapere il sottoscritto. Sono soltanto un tifoso che ha la fortuna di condividere con tante altre persone l’amore per l’Inter, che ci lega in modo inscindibile e che tinge dei colori del cielo e della notte la storia di ognuno di noi.

Ci sono giorni in cui essere Interista è facile, altri in cui è doveroso e giorni in cui esserlo è un onore.”

Giacinto Facchetti

Il_Casa

Interista, fratello del mondo. Dal 1992 un'unica fede a tinte rigorosamente nerazzurre. Sobrio come Maicon, faticatore come Recoba.

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