Bauscia Cafè

Ite, missa est.

Raccontare la sconfitta in una finale, per l’Inter, per noi che non sentivamo l’emozione di una finale di qualunque competizione da troppi anni, non può passare da una importante considerazione, nonostante a caldo possa sembrare inutile: intanto, in finale, c’eravamo.

Poi, è vero quel detto a volte attribuito a seconda delle fonti al nostro Eto’o, all’allenatore Allegri o a Marcelo del Real Madrid, secondo cui “le finali non si giocano, si vincono”. È così vero che ieri è stata un’altra delle tante dimostrazioni che la finale è un altro sport rispetto a tutte le altre partite. C’è chi riesce a giocare bene lo sport che si pratica fino alle semifinali, e c’è chi riesce a giocare il secondo sport. Noi abbiamo fatto una stagione alla fine al di sopra delle aspettative di chi scrive, un viatico eccellente per accellerare il processo di crescita che abbiamo intrapreso un paio di anni fa. Una vittoria in Europa League ci avrebbe permesso di accorciare di molto i tempi della maturità calcistica, di capire che avevamo fatto lo step-up non solo tecnicamente, tatticamente, e come rosa, ma anche nella condizione mentale di chi sa come si vince una competizione di questo tipo. Non è (ancora) così, è un grande peccato, ma a mente fredda si comprenderà quanto di buono possiamo portarci anche da questa partita persa.

Si conclude una stagione che, si spera, ricorderemo fra tanti anni come la prima del processo di rinascita di un ciclo vincente dell’Inter. Avessimo vinto ieri, avremmo anche potuto dimenticare alcuni degli anni bui dell’ultimo decennio, ma il processo di crescita continua lo stesso.

La partita, infatti. Il Siviglia ha proposto un tipo di calcio ancora diverso rispetto a Getafe, Bayer e Shakhtar, e ha deciso di affrontarci con un pressing serrato nel primo tempo (diventato poi posizionale nel secondo, secondo me per stanchezza dei loro giocatori), molti movimenti a centrocampo e, rispetto allo Shakhtar, molti cambi di gioco tra le fasce una volta arrivati sui nostri 20-25 metri per spostare la nostra Linea Maginot. Noi abbiamo risposto con un’aggressione sulla palla più bassa rispetto alle altre partite e affidandoci molto di più sui lanci dai difensori e sulle ripartenze. Erano due atteggiamenti diversi che, al di là di tutto, per 74 minuti si sono fondamentalmente annullati. Conte ha avuto chiaramente timore del palleggio dei loro centrocampisti, Lopetegui con De Jong titolare ha chiaramente ammesso l’impossibilità di penetrare la nostra difesa dal centro.

Poi c’è stata la testa. Perché alla fine era una finale e questo sport strano in gara singola non lo si vince con i piedi, ma con la testa. Dopo che il Siviglia ha segnato (soprassediamo sul come) il goal del 3-2, ha addormentato la partita sia come gioco che come atteggiamento in campo. Tutte le perdite di tempo sono state più che odiose (e purtroppo l’arbitro ha fischiato ogni contatto facendo fondamentalmente il loro gioco) ma sono anche servite al Siviglia per stabilire in campo che “qui la partita è finita, non si gioca più”. E noi siamo andati loro appresso come testa. Anche se il recupero fosse stato (più giustamente) di 9 minuti, non avremmo fatto niente. Ci hanno convinti loro che la partita era ormai finita.

La testa, dicevamo. Perché andando indietro di 10 minuti dal goal del Siviglia, era successo ben altro. Nonostante si deambulasse in campo come due pugili suonati, i loro centrocampisti erano stanchi, Ocampos non si reggeva in piedi, Fernando aveva bisogno del deambulatore, noi avevamo preso il centro del campo e avevamo avuto una occasione gigantesca per mettere – noi – la partita in ghiaccio. OK, si sbaglia, si può sbagliare, non è questo il mio punto. Il punto è che quei 2-3 minuti erano quelli dove dovevi tramutare l’inerzia psicologica della partita a tuo favore. In bilico tra il nostro dispiacere per l’occasione persa e la loro paura per essere stati infilati in contropiede, doveva prevalere quest’ultima. Era il momento di fare dei cambi offensivi. Si dava il messaggio per noi di spingere per vincere e per loro che era giunto il momento di avere paura. Gli saremmo entrati sottopelle, psicologicamente. Della tattica sarebbe importato relativamente, si era in una finale e abbiamo detto che le finali si vincono con la testa e non coi piedi. Ci penso da ieri sera. Questo è stato l’errore. Poi la sfortuna dell’autogoal viene da altre situazioni contingenti: abbiamo concesso tanti falli proprio alla squadra che sa giocare meglio sulla trequarti, che sa tirare le punizioni meglio, e aveva un airone in campo a prenderle tutte. Dài e dài, la sfiga sa benissimo dove andare.

Questo è quanto. In una partita singola di questo sport maledetto dove se segni due o tre punti vinci, le cose cambiano in un attimo, specialmente quando le regole del gioco cambiano dal piede alla testa. Resta la consapevolezza che non sarà la prima partita importante che questo gruppo giocherà, che l’outlook è grandemente positivo, e che le ambizioni sono molto maggiori di quanto già abbiamo visto e ci ha entusiasmato quest’anno.

Ci siamo andati vicini, ma continuando cosi’ la vedremo ancora piu’ da vicino

E poi.. non me ne dimentico. Lo so che Conte ha parlato anche ieri sera. Se volete l’opinione di chi scrive è che Conte non sta facendo cose molto diverse nella sostanza rispetto a quanto fatto nelle sue altre esperienze nei club. Ora lo stiamo provando in prima persona e per questo ci costerna e ci tocca molto più da vicino. In tutta onestà sarebbe molto, molto meglio se rimanesse perché per la macchina che si sta costruendo è un pezzo importantissimo, ma è anche vero che se uno ha deciso di andarsene non lo si può legare in un posto, e le sue “argomentazioni”, dalla società, alla famiglia, etc, mi paiono più scuse per poter giustificare la sua partenza. Ripetendo, molto felice di sbagliarmi.

Conte fa un uso del microfono molto personale che rispecchia il suo profondo individualismo. La societa’ ha cominciato un processo di crescita ponendo l’asticella altissima e Conte e’ un importante pezzo del puzzle, ma non l’unico. Se dovesse decidere di andare via, sarebbe un peccato ma non dovra’ fermare il ritmo del nostro processo di crescita.

Detto questo, andandosene Conte, non vedo un motivo per pensare che il nostro processo di crescita possa interrompersi. Abbiamo una rosa molto competitiva con 4-5 elementi di assoluto spessore e la volontà di aggiungerne altri a breve giro di posta; abbiamo una società seria e impegnata in questo obiettivo. Abbiamo un grossissimo problema che forse, dal primo campionato a girone unico del 1929/30, questo è il momento storico peggiore per cambiare in corsa, però allo stesso tempo ci si dispera per le cose che si possono controllare, non per quelle su cui non possiamo fare niente. Se Conte dopo il confronto con la società dovesse rimanere sarebbe sicuramente molto molto meglio, ma se dovesse andarsene, noi siamo sempre l’Inter che sta tornando la vera Inter e come si è andati 12 mesi fa a cercare il top, ancora di più andremo a farlo ora.

La stagione è finita, andate in pace.

Lautaro, fa male a tutti, ma andra’ meglio, ascolta uno di esperienza come Godin.

Tzara

Nella vita ha cambiato città, Nazione, lavoro e amori ma l'Inter è sempre rimasta. Non ha molti desideri, ma se riavesse un centrocampo con Veron, Cambiasso Stankovic e Figo non si dispiacerebbe.

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