Bauscia Cafè

Credere…

La partita con la Roma l’abbiamo vista tutti e se ne è ampiamente parlato. Tra pochi giorni giochiamo con la Juventus, ma prima c’è un appuntamento che sulla carta sembra abbordabile e molti percepiscono come una discreta formalità, ma – come sappiamo – la gara è da giocare e dovremo essere bravi a non complicarcela oltre misura, come nostra abitudine e costume.

La questione alla fine è molto limpida: a me la Coppa Italia interessa. Basta ripensare agli ultimi anni e c’è poco da fare gli schizzinosi, visto che qui non si porta a casa nulla da parecchio e quest’anno non ci vedo neppure più impegnati in Europa: credo che sia doveroso affrontare questa manifestazione come se fosse la nostra Champion’s League. No, forse no. Magari nelle intenzioni, diciamo. Sulla resa tenderei a sperare in qualcosa di diverso, ecco.

“È inevitabile che con la Fiorentina bisognerà fare delle scelte perché abbiamo giocato tre partite con la stessa struttura di squadra ed è giusto dare la possibilità di giocare a chi ha giocato meno. Non dimentichiamo che se l’Inter vuole ambire a qualcosa di importante deve avere una rosa importante quindi non vedo il motivo per cui non si debba dare spazio a tutti quanti. Con la Fiorentina useremo chi magari ha giocato meno, e poi preparare la gara contro la Juventus”

Antonio Conte

Attenzione. Sul fatto che sia “giusto” dare la possibilità di giocare a chi ha giocato meno onestamente sono combattuto. Pur comprendendo perfettamente la necessità di gestire il gruppo, pragmaticamente penso che “dare spazio a tutti quanti” in una gara che determina quel che ci resta oltre al campionato possa anche non essere la scelta più saggia di questo mondo. E’ gara secca, dove i margini per rimediare sono zero: per favore, evitiamo delle sciocchezze. Quindi si gestiscano le forze, naturalmente, ma con criterio e con il risultato come stella polare.

Fig. 1

Altro da dire in questo momento francamente non ne ho e sarebbe superfluo. La Fiorentina non sta male ed è una squadra che non ha nulla da perdere, quindi non è un appuntamento da prendere alla leggera. Preferisco parlare di noi, piuttosto che degli uomini di Prandelli, così da poter dire anch’io la mia – a freddo – su quello che stiamo vedendo.

Questa squadra con la Lazio va in vantaggio e viene raggiunta, con l’Atalanta pure, con la Roma anche e con il Napoli “Deo gratias!” che l’abbiamo portato a casa, ma il finale è stato ai confini della crisi mistica nonostante fossimo pure sopra di un uomo. Diventa anche difficile credere che questa squadra possa realmente lottare per vincere qualcosa, laddove ogni volta che ci va vicino poi crolla. Tutte le volte che siamo al dunque, al momento dove stai per ottenere un risultato-chiave e devi “stringere” puoi respirare negli atteggiamenti e nelle espressioni di chi è in campo che la beffa è dietro l’angolo.

D’altronde, fino a prova contraria, se chi è in campo è il primo a non essere pienamente convinto di portarla a casa, non puoi pensare di vincerla davvero. Ci siamo riempiti per anni la bocca a parlare di mentalità, dell’importanza della testa e di avere uomini che sanno come si vince, poi in due anni – a stare stretti – riusciamo a steccare tutti gli appuntamenti dove manca un passo per vincere davvero. Se questi risultati, credo che su tanti piani qualcuno dovrebbe riflettere molto tranquillamente sul proprio operato e rendimento.

Le vittorie partono sempre da una visione e dalla profonda convinzione di farcela davvero. twittalo

Quando lamento la totale inconsistenza mentale di questo gruppo posso portare un esempio tangibile di quello che intendo. A Madrid mancano pochi minuti, hai ripreso la partita e stai pareggiando: risultato buono. Continui ad attaccare e ad avere l’atteggiamento di chi apparentemente vuole vincere la partita, prendendoti dei rischi con uscite e pressioni e finisce che prendi gol e la perdi. Fuori casa contro il Real Madrid hai continuato a giocare una certa partita. Non condivido, perchè ci si deve sempre adattare al contesto, ma posso leggere mentalità e fiducia.

Fig. 2

Poi capisci che non si trattava di mentalità acquisita, ma di ben altro, quando in campionato vai a giocare con Atalanta, Napoli e Roma. Qualcuno potrebbe pensare che i giocatori credano in loro stessi e in quello che fanno, perchè a Madrid avevano inseguito la vittoria, ma ci si deve amaramente ricredere. In una situazione di risultato buono ti schiacci, ti arrocchi dentro un negozio di cristalli e alla fine ti squagli. La costante rimane una: in un modo o nell’altro non riesci praticamente mai a portarla a casa.

Che la squadra si abbassi e cerchi di difendere il risultato, oppure che continui a giocare, qui l’esito è fondamentalmente lo stesso. Se la quota scudetto fosse novanta punti questa squadra ne farebbe ottantanove. Se la quota scudetto scendesse contro ogni logica a settanta punti, questa squadra riuscirebbe a farne sessantanove. Siamo questi, per rispondere alla domanda dell’altro giorno. Una squadra perennemente incompiuta che non riesce a fare l’ultimo passo e si accartoccia su se stessa quando conta davvero. Provino a smentirmi, ma onestamente comincio a trovare difficile anche sognare. Triste, come cosa.

Non sogno, spero. Mi auguro che le cose prendano una piega differente. Perchè è difficile fare di più dove il fuoco sacro vedi che manca prima di tutto ai protagonisti. Perchè – adesso dirò una cosa impopolare – non serviva Sun Tzu in panchina per portare a casa la partita contro la Roma a quindici minuti dalla fine l’altro giorno. Non fraintendetemi, Conte per me ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare nella gestione della partita, questo è talmente chiaro che non serve tornarci, ma un’ultima cosa in chiusura mi sento di dirla.

Fig. 3 – “Supreme excellence consists of breaking the enemy’s resistance with Gagliardini..”

Si possono anche giocare dieci minuti a spallonare, chiuso dentro l’area di rigore. Se hai la faccia cattiva, la convinzione di non prendere gol e sei morbosamente proiettato verso la vittoria, la puoi vincere anche così. E non è più una questione di tattica, di moduli, di qualità: è una questione di testa e cuore. A pochi metri dal traguardo ci sono cose che pesano più della tattica. Una squadra unita che combatte tutta in venti metri dentro un’area di rigore a difesa di un risultato per dieci minuti ci può stare assolutamente. L’Inter però l’altro giorno sembrava fragile anche con tutti ammassati dentro l’area. I giocatori tanto vicini in campo sembravano soli, lontani, ognuno isolato in una sua dimensione: quella della paura.

Le vittorie partono dalla convinzione e dal coraggio. Quanto si crede davvero di poter ottenere il risultato? La forza di andare a vincere non la infonde solo l’allenatore, ma la trovi anche nel compagno di squadra, nel tuo lavoro in campo, nella storia della partita, puoi trovarla dovunque, basta cercarla. Puoi spazzare un pallone con la paura e l’affanno di chi respira che le mura stanno per cedere, oppure puoi calciare via la palla con il ruggito di una squadra dietro di te che sente di essere un po’ più vicina alla vittoria. Puoi stare arroccato gli ultimi minuti con la paura di chi sente che non ce la farà, oppure trarre forza nella disperazione di un avversario che vede il tempo scorrere e non riesce a segnare.

Fig. 4 – “Credere…”

Il calcio è tante cose, ma a volte non andrebbe complicato eccessivamente e lo dico da amante di tattica e numeri. Alla fine ognuno scrive la propria storia, la propria partita e ci sono due tipi di squadre: quelle che vincono e quelle che cercano un’altra giustificazione, un altro capro espiatorio. Una volta è la sfortuna, un’altra ci è mancata la cattiveria, l’errore tattico, l’avversario più forte, colpa di quello, colpa di quell’altro: alla fine sono anni che la mia squadra non vince e continuo a farmi sangue amaro, sbraitare e infine ritrovarmi a credere nella gara successiva, in un loop eterno di cui sono dipendente.

Il_Casa

Interista, fratello del mondo. Dal 1992 un'unica fede a tinte rigorosamente nerazzurre. Sobrio come Maicon, faticatore come Recoba.

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