Bauscia Cafè
I giocatori dell'Inter esultano dopo il gol al Cagliari negli ottavi di finale di Coppa Italia

C’è qualcosa di diverso.

Secondo una tradizione e un abusato topos letterario, uno dei motori principali che guida l’ispirazione dello scrittore è un moto interiore, un disagio, un desiderio di tradurre la propria vita tormentata e l’insoddisfazione di ciò che lo circonda nel proprio linguaggio artistico. Se questo topos letterario dovesse valere per i propositi di questo blog, dopo la partita casalinga di Coppa Italia contro il Cagliari di ieri sera ci sarebbe ben poco da scrivere, perché di insoddisfazioni e di frustrazioni ce ne sono state davvero poche.

Ricordo quello che ci siamo scritti anche in queste pagine, riguardo la continuità, l’identità di squadra, le crisi attorno a Natale.. Logicamente siamo nel pieno della stagione e non abbiamo la lampada magica per sapere come andrà a finire, però c’è un’idea, un concetto che si sta spandendo per l’area come un vento che ci avvolge: non è come le volte passate.

Questa sensazione ci sta prendendo per molti motivi. Il primo, è che abbiamo un gioco chiaro nel quale ogni calciatore che scende in campo si identifica e sa dall’inizio qual è il suo compito, sa come si devono affrontare le partite, anche quelle apparentemente meno difficili come un ottavo di finale di Coppa Italia. Non importa quanti minuti si sia giocati in precedenza in stagione, se si è un titolarissimo o un panchinaro fisso, o se si è appena ritornati da un infortunio. Ognuno ha il suo spartito e suona d’insieme come in un’orchestra, con le sue armonie e modulazioni, accelera quando deve andare forte, e controlla quando c’è un pianissimo. Tutti insieme.

Forse non è come nelle passate stagioni.

Questo spartito è costruito a immagine e somiglianza di chi dirige l’orchestra, ma anche di ognuno degli interpreti. Ed è anche per questo che Dimarco quasi mai utilizzato in precedenza, ha arato la fascia innumerevoli volte nel primo tempo e ha fatto sfoggio del suo educatissimo piede; per questo che Sanchez, al rientro da un lungo stop, ci ha messo cinque minuti per trovare l’intesa con Lukaku e con gli altri compagni, come se ci avesse giocato sempre insieme in stagione; per questo Ranocchia ha diretto bene la difesa rimanendo sulle gambe soltanto in occasione del goal della bandiera da parte di Oliva. Nonostante ci sia da fare la tara all’avversario in grossa difficoltà, questo è un grandissimo plus. Significa che con questa identità di gioco di squadra, avendo tutti i calciatori a disposizione è possibile far riposare all’occorrenza chi ne ha più bisogno, che è esattamente ciò che ci è mancato da Ottobre fino ad oggi e che sarà vitale in vista di un girone di ritorno che si preannuncia caldissimo.

Il terzo ed ultimo motivo è un corollario dei primi due. Quante volte nelle scorse stagioni abbiamo avuto dei periodi di ottima forma? Molte. Quante volte, in occasione di partite apparentemente facili, ci siamo trovati in difficoltà e ci siamo complicati la vita da soli? Anche qui, molte. Adesso, al di là del goal di Lukaku dopo pochi secondi che ha favorito una certa narrazione della gara, il vero e grande punto di rottura con le precedenti stagioni sembra essere il fatto che la squadra appare così solida dal punto di vista psicologico che impone la propria mentalità all’avversario e cerca sempre di porre l’inerzia della gara sotto il proprio controllo. Ora, ovviamente dall’altra parte un avversario c’è sempre, per cui all’occorrenza bisogna sempre adattarsi, coprirsi, andare anche in ritirata se necessario. Però a differenza delle altre stagioni non ci sono mai stati chiari momenti di sbandamento. Poi si vince, si perde, si può anche perdere dopo essere stati in vantaggio 2-0 in trasferta, però mai si è (ancora) vista la squadra andare chiaramente in bambola per più di qualche sparuto istante nel corso di una partita. A questo, vorrei aggiungere una famosa dichiarazione di Antonio Conte in una delle prime conferenze stampa da allenatore della Beneamata. Conte disse (vado a memoria): “basta con la pazza Inter”. Non intendeva tanto l’Inter che ci avrebbe fatto tutti trepidare fino all’ultimo minuto secondo delle sceneggiature che soltanto noi sappiamo costruirci, perché questo è il nostro DNA, non è mai cambiato con millemila allenatori che si sono succeduti, non cambierà neanche con Conte. Il nostro allenatore intendeva in cuor suo che prometteva di non farci più avere una Inter determinata in un big match contro una grande avversaria e poi apatica e abulica tre giorni dopo contro una piccola, non ci sarebbe stata più una Inter incostante, senza personalità, imprevedibile nel gioco e nel risultato ma nel senso negativo del termine. In questo senso, anche a stagione non ancora conclusa, posso dire che questo obiettivo lo ha già raggiunto.

Vorrei dedicare un ultimo pensiero a Borja Valero, come un post scriptum. Abbiamo visto poche settimane fa le immagini sui social del suo allenamento il giorno di Natale. Due giorni fa è stato il suo compleanno, dove ha spento 35 candeline. Ieri sera ha giocato una partita fenomenale per intelligenza tattica, corsa, dedizione e qualità di gioco. Personalmente ammiro molto Borja Valero, grande professionista, consapevole del valore del duro lavoro per emergere ad alti livelli, consapevole ancor più dei propri limiti tecnici ma soprattutto fisici. Per ovvi motivi non troverà ancora molto spazio in squadra in stagione a meno di altri sciagurati filotti di infortuni, però sappiamo che se verrà chiamato ancora in causa saprà dare il suo contributo al massimo per il bene della squadra. Per questi motivi, ieri sera lui è stato il mio personale MVP.

Tzara

Nella vita ha cambiato città, Nazione, lavoro e amori ma l'Inter è sempre rimasta. Non ha molti desideri, ma se riavesse un centrocampo con Veron, Cambiasso Stankovic e Figo non si dispiacerebbe.

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