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Eriksen e i suoi fratelli: il mercato invernale nerazzurro

Con la fine del mercato di gennaio, da molti agognata, da tanti sopportata, da tutti sospirata, l’Inter esce da qualche equivoco che si era portata dietro fin dalla sessione estiva e dall’allestimento della rosa per il nuovo corso di Conte, e ne lascia qualcun altro altrettanto datato: diamo un’occhiata, complessivamente e in dettaglio, a ciò che è successo negli ultimi trenta giorni in casa nerazzurra.

Partiamo da un discorso probabilmente noioso, ma che è imprescindibile ormai se si parla di campagne acquisti, e cioè i limiti imposti dal Fair-Play Finanziario. Per chi ha interesse e ha gli strumenti per comprendere un’analisi di bilancio fatta come si deve, rimandiamo al thread di @SwissRamble che analizza in dettaglio i conti dell’Inter 2018/19 qua.

In ogni caso, possiamo semplificare moltissimo dicendo quel che avevevamo già accennato 3 mesi fa nel post di previsione del mercato nerazzurro e di sfuggita, perché è un argomento sempre fonte di discussioni infinite tra i complottisti finanziari (“Il FPF esiste solo per noi”), quelli che non hanno capito come funziona (“Suninghe non caccia i sordi, purciari, pezzenti!”), e quelli che hanno capito come funziona ma ce l’hanno con Suning in quanto cinesi (“Suning non vuole vincere, e quindi non si sbatte più di tanto per trovare sponsor farlocchi e aumentare il fatturato”).

Non è certo questa la sede né l’occasione giusta per smontare accuratamente le tre posizioni, posto che con un minimo di raziocinio ed osservazione la prima si smonta da sola: persino il Barcellona con Suarez ai box per i prossimi mesi ha rinunciato a sostituirlo, ed esclusivamente per ragioni finanziarie, mentre il Manchester United ha dovuto ripiegare su Ighalo (Ighalo!) perché il resto costava troppo per questo esercizio contabile.

Ighalo (Ighalo!)

Possiamo quindi figurarci come stiano messi gli altri che non hanno neanche lontanamente i mezzi di due superpotenze come i Blaugrana ed i Red Devils.

La seconda è un problema di ignoranza, e in quanto tale non c’è molto altro da dire, anche se son d’accordo nell’affermare che tifare la propria squadra non dovrebbe costringere nessuno ad avere le conoscenze di un commercialista: ma se il calcio è cambiato non è colpa di chi lo fa notare, e parlare di mercato criticando questa o quella scelta senza avere un minimo di basi di questo tipo è pressoché inutile.

Dopo questa premessa, lunga ma doverosa, andiamo al nocciolo della questione: nel mio post di tre mesi or sono accennavo quindi al -30 milioni di euro come limite massimo cumulativo triennale (“rolling”, direbbero quelli fighi) da rispettare per non incappare in altre possibili sanzioni: poiché l’Inter chiude il proprio esercizio contabile al 30 giugno prossimo venturo e non al 31 dicembre scorso come invece fanno molte altre squadre e/o aziende, significa che a quella data il passivo di bilancio calcolato secondo i criteri della normativa UEFA sul FFP deve essere, per l’appunto, non più pesante di 30 milioni di euro. Il problema dell’Inter nel mercato di gennaio, da un punto di vista finanziario e di possibilità di spesa, era che questo limite è già stato raggiunto durante la sessione estiva.

Ecco quindi che le parole di Conte dopo, e di Marotta prima (“uno entra solo se uno esce”), si capiscono un po’ meglio, perché quel passivo di -30M€ poteva solo essere eventualmente ridotto, ma mai aumentato. Non stiamo qui a fare i conti in dettaglio con ingaggi, ammortamenti e quant’altro, anche perché c’è chi lo può fare molto meglio di me: limitiamoci a dire solo che l’approssimazione abbastanza rozza “uno entra, uno esce” è sufficiente per affermare che, rispettando questo criterio, l’Inter sarebbe riuscita anche a rispettare quel limite al 30 giugno, a meno di trovare un pazzo disposto a dare un giocatore utile all’Inter in prestito gratuito ed a pagargli anche l’ingaggio durante la permanenza in nerazzurro.

E così è stato: l’Inter ha cercato di migliorare alcune zone del campo in evidente difficoltà vuoi tecnica vuoi per infortuni continui e sopravvenuti, ma non è probabilmente riuscita a fare tutto quel che doveva essere fatto secondo i desiderata di Conte e, personalmente, credo anche della dirigenza.

Un altro limite, ed anche di quello ne avevamo già accennato nel pezzo di qualche mese fa, è dato dalle liste, sia UEFA che serie A. Quelle europee sono più stringenti di quelle italiane e presentano poi un problema pratico di iscrizione, visto che la lista dei giocatori per partecipare all’Europa League prevede un massimo di tre aggiunte (o sostituzioni, se il limite massimo degli iscritti è stato già raggiunto): questo vuol dire che anche se l’Inter avesse acquistato a gennaio, poniamo, 5 giocatori, due di loro non avrebbero potuto essere schierati in EL in ogni caso. Ma andiamo con ordine.

L’uomo che ha ispirato gli Alphaville prima ancora di nascere

Ashley Young, classe 1985, è stato acquistato a titolo definitivo dal Manchester United che l’avrebbe perso a zero a giugno in ogni caso. L’inglese, il terzo nella storia dell’Inter dopo Gary Hitchens e Paul Ince, ha firmato un contratto fino a giugno con l’opzione per prolungarlo di un anno. Conte voleva esperienza e versatilità, e da quel che si è visto Young le ha entrambe, e in abbondanza: infatti, l’indisponibilità prolungata di Asamoah, le non perfette condizioni fisiche di D’Ambrosio e la necessità di far rifiatare Candreva e Biraghi, hanno costretto il tecnico nerazzurro a schierarlo titolare immediatamente. Young si è disimpegnato benissimo contro il Cagliari servendo pure l’assist a Lautaro per il gol del momentaneo 1-0, molto bene contro la Fiorentina e discreto a Udine. In ogni caso, se la motivazione numero uno era quella di dare più opzioni a Conte sulle fasce fino a fine stagione, sembra proprio che Ashley Young sia stato un acquisto perfetto in tal senso. L’uscita corrispondente è quella di Federico Dimarco, cresciuto nelle giovanili nerazzurre, che si è spostato a Verona sponda Hellas in prestito, con diritto di riscatto a favore degli Scaligeri per una cifra (pare) di circa 8 milioni di euro. Il ventiduenne milanese ha sempre incassato grandi parole di stima da parte di Conte nei suoi confronti, nonostante le sole 4 apparizioni complessive in tutte le competizioni, e approda a Verona come alternativa di Lazovic sperando di giocare un po’ di più.

Venuto a dettar legge sulla fascia, uno spartiacque nell’interpretazione del ruolo, guida l’esodo di giocatori dalla Premier League all’Inter

Altro rinforzo sulle fasce, ed ex-giocatore del Chelsea di Antonio Conte con il quale ha giocato due stagioni, è Victor Moses, nigeriano di ventinove anni con passaporto britannico, e con una storia personale sulle spalle davvero terribile. Il laterale è di proprietà ancora del Chelsea che l’aveva dato in prestito al Fenerbahçe proprio un anno fa, nel mercato di gennaio. Con i turchi Moses ha giocato poco più di una ventina di partite sommando quelle della scorsa stagione a quelle della stagione corrente, ma a novembre si è infortunato e non ha più visto il campo da allora fino a domenica sera, quando Conte l’ha schierato titolare contro l’Udinese. L’ottavo calciatore nigeriano della storia dell’Inter (West, Kanu, Martins, Obi, Obiora, Obinna, Eliakwu gli altri sette con almeno una presenza nella prima squadra nerazzurra) arriva quindi a vestire il nerazzurro in prestito dal Chelsea, con un diritto di riscatto a favore dell’Inter di circa 10 milioni di euro. La scelta di uno dei giocatori che più hanno meravigliato per le prestazioni fornite durante i due anni londinesi di Antonio Conte ha quindi evidenti spiegazioni: un giocatore che, nell’idea di Conte, è di sicura resa e sicuro affidamento, unendo esperienza e conoscenza del ruolo a capacità atletiche fuori della norma. Libera quindi la fascia destra Valentino Lazaro, l’austriaco appena arrivato in estate dall’Hertha Berlino, ma mai pienamente convincente. Sul ventitreenne di Graz, approdato a Newcastle in prestito oneroso e con diritto di riscatto da parte dei Magpies per una cifra intorno ai 27 milioni di euro, si potrebbero scrivere interi capitoli.

Resusciterà in Premier League?

Bluff o semplicemente ha bisogno di più tempo? Giocatore voluto da Conte o dalla società? Forte ma inadatto al modulo o semplicemente non all’altezza?

Personalmente parlando, io credo che, come sempre, ci siano molte verità tutte assieme: l’infortunio appena arrivato in ritiro lo ha tagliato fuori dalle prime rotazioni e per più di un mese ha dovuto solo pensare a recuperare posizioni, cosa che per un neo-arrivato in una realtà che già di base era molto diversa da quella cui era abituato, sia tatticamente che culturalmente, rimane tutt’altro che facile. Le necessità di Conte sommate all’obbligo di tenere altissima l’asticella delle prestazioni e dei risultati ottenuti, ha fatto il resto: nelle poche occasioni avute, Lazaro non ha mai dato l’impressione di riuscire a porsi in una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti del ruolo né a dare segnali così convincenti. Sulle cause, e mi ripeto, credo ognuno possa avere un’opinione, anche se la verità ce la potrebbero dire solo lui e lo staff tecnico che l’ha allenato in questi sei mesi.

In ogni caso l’austriaco, anche nelle prime dichiarazioni rese dall’Inghilterra, ha fatto chiaramente intendere che ritiene la sua avventura nerazzurra tutt’altro che conclusa, ed anzi spera che un buon girone di ritorno in Premier convinca Conte a puntare decisamente su di lui nella prossima stagione. Di certo, però, quella di Valentino Lazaro dovrebbe rappresentare un’ottima learning lesson per la dirigenza nerazzurra, poiché per le motivazioni spiegate all’inizio e legate alle norme del Fair-Play Finanziario, spendere la cifra di 22M€ su una scommessa e perderla rischia di condizionare non solo la sessione di mercato in cui l’acquisto si perfeziona, ma anche quelle immediatamente successive. Non abbiamo ancora la forza economica necessaria per permetterci un flop così costoso. Ma poiché capita a tutti di sbagliare acquisti, speriamo solo di arrivare presto alla situazione in cui un Lazaro sbagliato crei del disappunto ma non della disperazione.

Il Verbo

Ciliegina, anzi ciliegiona, sulla torta, è arrivato il centrocampista in più che tutti auspicavano, vista la moria nel ruolo che sta colpendo l’Inter 2019/20 da ottobre ad oggi senza soluzione di continuità. Solo che il centrocampista arrivato è una stella del calcio mondiale, si chiama Christian Eriksen, ha 27 anni, è danese, gli scadeva il contratto col Tottenham a fine stagione e lo volevano tutti. Ma come ha fatto notare Conte nell’ultima conferenza stampa a giornalisti molto distratti e impegnati a scrivere che Eriksen è un buon giocatore ma non un fuoriclasse, nonché a cercare di spacciare una stupidaggine assoluta come quella che possa giocare da seconda punta, l’arrivo del danese dà una dimensione nuova all’Inter, e sicuramente ne dà una molto diversa all’appeal della società ed alle prospettive non solo immediate – ché Eriksen avrà bisogno di ambientarsi anche lui, nonostante sia un centrocampista fenomenale nelle sue caratteristiche – ma anche future. Il danese ex-Ajax non ha esordito brillantemente in campionato: si è visto chiaramente un certo ritardo nella condizione e nel passo, oltre a un ovvio momento di passaggio nel capire la posizione in campo e conoscere i compagni. Anzi, a me sembra scontato che Conte lo abbia messo in campo solo a causa dell’assoluta emergenza del reparto che assomiglia più a un ospedale da campo che a un centrocampo di serie A, altrimenti lo avrebbe fatto accomodare in panchina come successo contro la Fiorentina in coppa Italia.

La spesa sostenuta per Eriksen è stata di una ventina di milioni per averlo subito invece che gratis a giugno, ma senza correre il rischio che il giocatore potesse essere messo nel mirino, in questi prossimi cinque mesi, da chi in realtà aveva già pensato di prenderlo, vale a dire pesi massimi come Real, Bayern Monaco, Manchester United e forse Barcellona. La società ha messo a segno un colpo da maestro senza se e senza ma, e questo – e lo dico ora a bocce ferme – rimane tale anche se, in maniera del tutto improbabile, Christian Eriksen dovesse rivelarsi inadatto o dovesse rendere diversamente da come previsto dal suo status di stella del calcio internazionale. Dimenticatevi tutte le stupidaggini sentite o lette nei media sportivi tradizionali e mainstream che di Eriksen ne hanno parlato o da incompetenti o, molto peggio, allo scopo di ridimensionare la caratura dell’acquisto: perché il segnale extra-campo che l’Inter ha dato a tutto il mondo del pallone internazionale è di quelli che non si possono ignorare.

Questo è quel che pubblicava non più tardi di novembre 2019 qualche giornale europeo. Si gode? Si gode, si gode.

L’acquisto di Eriksen mette l’etichetta di destinazione possibile sulla maglia nerazzurra per tutti quei giocatori di livello superiore che dovessero aver voglia di cambiare aria in estate, e che sono in definitiva quel che all’Inter serve per compiere il definitivo salto di qualità.

Nessun centrocampista è uscito per far posto al danese, nonostante fino alle ultime ore di mercato Matias Vecino sembrasse avviato sulla via di Liverpool, sponda Everton, richiesto da Ancelotti per il centrocampo dei suoi “Toffees”. È uscito invece un attaccante, Matteo Politano, protagonista suo malgrado di uno degli episodi più clamorosi del mercato invernale, vale a dire il mancato scambio che lo ha coinvolto insieme al romanista Spinazzola, giudicato troppo a rischio dalla dirigenza nerazzurra a causa dei suoi trascorsi medici, e sul quale la Roma non ha concesso la possibilità, richiesta dall’Inter, di svolgere alcuni test atletici supplementari rispetto alle visite mediche di idoneità sportiva. Sfumato l’affare, il delusissimo Politano ha impiegato un po’ a fare mente locale ed accettare l’offerta del Napoli, che lo ha preso in prestito oneroso biennale (un paio di milioni) ma con un obbligo (non diritto, e questo come potete immaginare fa la differenza tra aver potuto finanziare l’affare Eriksen nell’immediato e il non poterlo fare) di riscatto fissato ad una ventina di milioni più qualche bonus. Per l’ala cresciuta nella Roma e acquistata definitivamente dal Sassuolo proprio la scorsa estate si chiude così la parentesi interista. Al di là di questi ultimi mesi, dove l’idea di calcio praticata da Conte lo ha evidentemente penalizzato come nessun altro nella rosa, e dove queste caratteristiche inadatte lo hanno progressivamente innervosito prima e demoralizzato poi, causandone prestazioni via via peggiori anche nei piccoli spezzoni di gara in cui veniva mandato in campo, rimane a referto una stagione decente sotto la guida di Luciano Spalletti dove invece le sue caratteristiche sono state esaltate; ma, anche in quel caso, il valore assoluto del giocatore non è sembrato tale da giustificarne l’acquisto. Certo, questo è il giudizio col senno di poi, perché l’Inter 2018/19 aveva bisogno di un esterno offensivo e gli affari col Sassuolo hanno permesso anche qualche transazione ai limiti dell’acrobazia finanziaria: certi favori si pagano in un sistema siffatto, anche comprando un giocatore che forse non dava garanzie assolute di poter essere all’altezza di una squadra come l’Inter. Vedremo sotto il Vesuvio se questa valutazione è troppo severa oppure è corretta.

Il ventilato acquisto di un attaccante al posto di Politano, e segnatamente individuato nei nomi di Giroud e Llorente, non è andato in porto, e questo potrebbe rappresentare l’incompletezza del mercato invernale nerazzurro cui accennavo all’inizio, per quanto a mio parere l’acquisto di Eriksen spenga ogni ombra possibile. Credo che la punta fosse voluta, e non solo da Conte che avrebbe senz’altro bisogno di una riserva di Lukaku; credo anche che alcune manovre di mercato del club di Viale della Liberazione incentrate sulla prossima stagione, abbiano anche sconsigliato di impegnarsi finanziariamente in maniera pesante su profili in là con l’età come le due punte del Chelsea e del Napoli: chi scrive ritiene, da alcune informazioni ricevute in via confidenziale, che Dries Mertens si sia promesso ai nerazzurri per la prossima stagione, e questo andrebbe ovviamente a pesare sul roster 2020/21 in termini di giocatori in là con gli anni e titolari di un contratto pesante ancora lontano dalla scadenza. L’attacco rimane quindi un reparto un po’ corto, considerando l’incognita sulle condizioni di Sanchez e l’inesperienza di Esposito, entrambe viste negli ultimi due impegni dell’Inter contro la Fiorentina in coppa Italia e contro l’Udinese in campionato. D’altro canto, la mezz’ora finale di Sanchez proprio contro l’Udinese dice che il cileno può essere davvero l’arma in più, mentre per l’esperienza che manca al talentuoso diciassettenne nerazzurro non si può che fargliela fare mandandolo in campo, così come sta capitando ad altri promettentisssimi talenti in giro per l’Europa coetanei del nostro Sebastiano, e se va bene per Conte non capisco perché non debba andar bene per noi tifosi.

Loading, please don’t turn off your Inter transfer market

Un’ultima considerazione generale su questa sessione di mercato, che a mio parere rimane una delle migliori in assoluto, estati comprese (forse esclusa l’ultima), degli ultimi dieci anni: l’esperienza e la forza fisica richieste da Antonio Conte per allungare la rosa in termini di profondità della panchina sono state parzialmente esaudite, e non è un caso per me che siano state ottenute pescando in Premier League o giocatori che comunque sono cresciuti ed hanno percorso la quasi totalità della loro carriera in EPL, come Moses. Quel che Conte ha detto spesso nelle conferenze stampa che ho potuto ascoltare dall’inizio della sua avventura in nerazzurro è che l’intensità e il ritmo con cui si gioca in serie A è molto lontano dagli standard della Premier League, e che uno dei suoi neanche tanto velati obiettivi è quello di far giocare l’Inter secondo quegli standard. Mi sembra quindi più che logico che i tre neo-acquisti abbiano tutti quell’esperienza, anche atletica, in modo da poter essere più velocemente adattati allo spartito che Conte sta facendo suonare ai suoi da luglio in ritiro. Non ci resta che sperare che anche i nuovi strumentisti suonino la musica della vittoria e della competitività che l’Inter di questa stagione sta facendo vedere a tutti noi tifosi: domenica scorsa erano in campo tutti e tre, e il risultato finale lascia ben sperare.

Speriamo, allora

Hendrik van der Decken

Il capitano dell'Olandese Volante, condannato a guardare il calcio per l'eternità senza mai vedere il 433 in nerazzurro. Posso toccare terra solo quando l'Inter vince in Europa, perché quando accade c'è sempre un "Oranje" in squadra. Mentre navigo, guardo l'Inter, un sacco di Eredivisie, Jupiler League e Keuken Kampioen Divisie, bestemmiando l'Inter e il N.E.C.

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