Bauscia Cafè

La maglia che vorrei trovassero nel baule i miei Nipoti

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Sarei tentato di sprecare righe sulle nostre nuove maglie ma, vi confesso, son un po’ stufo di questi sacchetti ipertraspiranti da stock brandizzati dal solo stemma. Non verrò meno al rituale stagionale, le analizzerò con il distacco minimo consentito, ma prima di polemizzare sulla politica industriale dei brand sportivi volevo raccontarvi una cosa di gran lunga più interessante.
In questa anno mi sono reso conto di aver, così per scherzo, buttato giù quasi settanta concept di maglie Inter. Sì, una brutta malattia che si lega all’insonnia (chi è interessato a devolvermi il 5×1000, mi contatti in privato).
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Il tutto nasce dall’alienazione che mi provocano le maglie dell’Inter da qualche anno: scariche, industriali, replicanti, senza personalità, senza storia, solo mere varianti catalogo che scandiscono le stagioni. In contrapposizione, in questi mesi, ho cercato di immaginarle con riferimenti storici, dettagli identificativi, colori tradizionali, simbologia a e forme classiche mixando il tutto. Qualcuna mi ha soddisfatto di più, altre meno.
Da luglio dell’anno scorso mi rimbalza in testa l’idea che il 9 marzo 2018 sarà il nostro 110° anno di passione. In questi mesi ho provato più volte ad immaginarmi un maglia che celebri tale avvenimento (sbaglio a pensare che debba essere scontato che per quella data debba esistere un maglia celebrativa? E non intendo una patch da 400 euro), ma senza mai sentirmi soddisfatto davvero.
Sarà lo sponsor tecnico, sarà lo sponsor commerciale, sarà che la maglia crociata l’abbiamo già rispolverata, sarà che Copa Football ha fatto la maglia del ’65 che mi fa impazzire, non lo so, ma è davvero necessaria un maglia dedicata ai 110 anni? Sì.
Sì perché ogni tanto è giusto mettere un punto, un brischino, che metta in chiaro quale sia l’identità di questo ideale che è l’Inter e che freni le velleità di inquinare la nostra immagine. Se ci lasciamo passare tutto sotto il naso, finirà che i miei nipoti avranno la maglia rosa e gialla a strisce diagonali e saranno pure contenti di averla. No.
Esattamente come è toccato a me da bambino, dovranno aprire un baule, trovare maglie che raccontino una storia, raccontino una famiglia, raccontino un ideale.
Dandomi questa risposta mi è tornato in mente davvero il baule dove trovai della maglie cucite, solo strisce ed elastico.
Le feci per i miei fratelli“, disse mia nonna. Erano di due squadre diverse, di quelle che sono andate in B.
Nonna non c’è la mia squadra
L’abbiamo data via, chiedi al tuo papà” (suo genero, eh, per chiarire il DNA non nerazzurro).
Ovviamente mio padre solo a sapere che avevo avuto contatti del terzo tipo ebbe i brividi, e non fece passare molte ore prima di portarmi a casa una maglia formato mini con i colori giusti (fino a quel momento usavo, inconsapevolmente, per giocare una maglia away del Brasile). Non prima di essere passati in cantina a ripassare i poster di Facchetti, Mazzola ecc.
Quello che mi colpì della mia nuova maglia era che aveva una scritta bianca sopra un rettangolo nero, quelle del baule dei miei prozii no. Ma era necessaria? Chiaro, non guardavo ancora la Domenica Sportiva e non avevo certo la fissa per i dettagli della maglie, giocavo solo a calcio in cortile dicendo “io faccio l’Inter“. Sono figlio di Misura e del calcio commerciale, ma è proprio qui che ho trovato la via che stavo cercando.
Cosa deve avere un maglia che voglio lasciare nel baule ai miei nipoti? O meglio cosa non deve avere?
Non deve avere sponsor, non deve avere brand, non deve avere plastica, non deve non avere i colori giusti.
Come deve essere? Elegante e senza tempo.
Quale simbolo deve portarsi nel futuro? Lo stemma? Quale?
Non per blasfemia, ma ne abbiamo una dozzina e nella migliore delle ipotesi rischia di inglobarsi un leoncino. Qui, ammetto, mi sono arenato.
Come fai a dichiarare chi sei senza il tuo nome? Prima del nome, a dire chi sei è il posto da cui vieni, come Leonardo da Vinci o Caravaggio. Sei chi viene da. Siamo la FCI Milano.
Il caso vuole che nel mentre di tutto ciò ho l’occasione di godermi, dopo tanto tempo, una bella visita guidata in Santa Maria delle Grazie. Mentre penso a quanti tesori d’arte abbia Milano e quanto non siano percepiti come tali, mia sorella (che mi fa da guida) inizia a raccontarmi tutti i simboli presenti nella zona delle absidi: “La Cicogna che…bla bla bla…la  scopa…bla bla bla…il Drago Tarantasio, Simbolo Visconti signori di Anguaria (dal latino anguis serpente) detto dai milanesi ‘Il Biscione’ per via di varie leggende che…” BOOM.
Biscione - S.M. delle Grazie Milano

-Ok, la barca di Truman tocca il cielo finto, ora posso prendere la scala e tornare nel modo reale.-

Era ovvio, ed era sotto il mio naso. Cosa non potrà mai cambiare? Le origini, Milano e la sua storia, la palude bonificata dai cistercensi, la terra delle bisce d’acqua. Cosa rende uniche una striscia nera affiancata ad una azzurra? Il legame con Milano.
Ovvio che mi porto a bordo il biscione, ma in quel forma lo metto su una maglia? Serpentello anni ’80? No, ok noi ci siamo affezionati, ma non ci facciamo una bella figura. Drago sputafuoco politicamente corretto di Nike? Ok, mi ricorda il Triplete, ma quel fuoco? No.
Tra le mille rappresentazioni del biscione nell’araldica lombarda ne trovo uno che mi soddisfa, sinuosità e nodo del serpente con fisionomia vicina anche alla leggenda che parla di un drago. In parallelo a tutto ciò scartabello tutti libri che riesco a reperire con foto di maglie con il simbolo del Biscione faticando non poco. “No ma guarda che non c’è mai stato” – Sticazzi, sono sicuro di averlo visto. Infatti salta fuori.
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Non vi nascondo che in meno di 2 orette la maglia viene su da sola, le scelte stilistiche sono inevitabili, l’eleganza del 1908-10, strisce strette da camicia senza esagerare, colletto con strisce, 4 bottoni come nel 1912. Ok ora la maglia esiste, ma solo in grafica.
La pubblico, inaspettatamente gira e piace anche a qualcuno, uno giorno me la ritrovo in giro per i siti sportivi.
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Su questa mia idea di maglia mi ero confortato più volte con chi le maglie le crea nella realtà, prima di ritirami a pensare. Dopo dieci munti che era online mi ha scritto “questa la facciamo” Non vi nascondo che il momento più emozionante è cercare di raccontare la tua maglia, di spiegarla a chi le darà forma e di attendere che ago e filo facciano il loro lavoro dando, come per magia, vita ad una tua idea. Non so come spiegarvi la soddisfazione di quando l’ho vista.

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Grazie a chi oggi posso indossare le mia maglia? Grazie a Paolo Grechi e a La Sartoria Sportiva del Calcio Retrò di Milano. Un tempio dell’identità calcistica. Grazie a questo luogo e grazie a Paolo ho cambiato radicalmente il modo di intendere e concepire una maglia di calcio.
La maglia è un percorso, una catarsi, una viaggio per Namek del tutto personale, ognuno di noi è una maglia e ognuno di noi se la può creare. Lo so, non è un concetto facile, la maglia è un meccanismo passivo, qualcuno la fa e io la prendo, una convenzione per comodità e basata sulla fiducia del tifoso nei confronti di chi la realizza. Fiducia che io oggi non ho più in Nike e, forse, neanche nell’Inter.
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Il bello di questo luogo è che tu sei al centro, la maglia gravita sulla tua passione. Questa storia è nata come una esigenza strettamente personale, ormai chiusa: ho la mia maglia appesa in camera e sono soddisfatto, probabilmente ne ordinerò un’altra per mio padre. Detto questo il modello, l’idea è a disposizione di ogni interista che lo senta proprio ma anche di chi si senta di modificarlo a piacimento. Questa libertà è impagabile.
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Dopo questo mio percorso forse potete immaginare l’insofferenza e la frizzante noia di culo che posso provare quando vedo l’ennesimo stock di catalogo sempre uguale, in plastica, con delle strisce nelle strisce a resa discontinua spacciate per “innovative perché si ispirano allo skyline di Milano“. Ma brematurata la supercazzola o scherziamo? Come se fosse antani con strisce a cazzo per due o solo in quattro? Lo vede il dito (medio), lo vede che stuzzica.
Non so se mi spiego.
Non son qua certo a dire che chi fa non sa fare ciò che fa, son qui a dire che come tifoso non posso ritenermi soddisfatto per essere un acquirente di sacchetti di plastica ipertecnologici e superperformanti (ah, le replica no però) la quale anima è la variante stemma. Maglie bianche per tutti, maglie rosse per tutti e però, attenzione cambia lo stemma…son piatte e banali? No, si dice “minimal ed eleganti“. Un regime stilistico avvilente, una formattazione angosciante, oggi comprare un maglia è come entrare all’Ikea, che tu sia a San Giuliano Milanese o nel Borneo è tutto uguale, cambia solo lo stemma.
Ma che Asensio ha tutto questo?
Vi dico la verità, ho in bozze una analisi delle due nostre nuove maglie, pregi (pochi, ma ci sono) e difetti, foto, dettagli ecc…ma ho deciso che non è oggi il giorno, magari aspetto la terza, la mimetica ottanio.
Concludo.
Questa storia esula da ciò che l’Inter decide di fare: il tifo è mio, il baule che lascerò ai miei figli e nipoti è in casa mia, tocca a me e non certo a Nike o a Suning passare i valori e la tradizione, è una mia responsabilità. Un percorso come questo lo posso consigliare a tutti come esperienza interessante (tranquilli, non servono i render, basta un’idea) ma non vi nascondo che sarei anche contento di vedere una maglia dell’Inter carica di personalità -basta davvero poco-, come sarei contento di veder uscire il 9 marzo una bella maglia celebrativa e non solo una patch.
Nel caso vada male, io so cosa mettere.
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rupertalbe

Designer - Mourinhano

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