Bauscia Cafè

Quinti

Era difficile immaginare una serata migliore per l’addio a capitan Zanetti, dentro e fuori dal campo: spalti gremiti di famiglie festanti, bambini sorridenti, esordienti del tifo venuti a tributare il loro affetto verso l’inossidabile numero 4 nerazzurro e l’Inter che, dopo un inizio a dir poco da tregenda, faceva della Lazio un sol boccone con una sorta di tributo nel tributo: 4 tiri in porta per 4 reti (tutte molto belle) da dedicare a quella maglia che, da lì a poco, sarebbe stata ritirata per sempre.
Una notte di occhi lucidi, di applausi e dediche, di un addio che è di fatto un arrivederci poiché l’Inter resterà la casa di Javier Zanetti chissà ancora per quanto altro tempo, di argentini di ieri e di oggi che danno il meglio per regalare ancora un sorriso al loro leader.
Palacio alla penultima giornata di campionato corre ancora con la lucidità e la tecnica di un giovincello, trova la porta come se inserisse le chiavi nella toppa (doppia p, non fate i furbi)
di casa sua, dialoga a meraviglia con quel torello di Maurito Icardi, anche lui a segno, anche lui pronto alle sportellate e a timbrare il cartellino al momento giusto, per dare continuità al DNA argentino della nostra Inter.
Tutto molto bello, ma mentre ero lì a godermi lo spettacolo di una celebrazione storica, una bordata di fischi ha squarciato l’atmosfera festosa come un pernacchione durante la Santa Messa. Mazzarri, già.
Probabilmente ai tanti presenti non era andata giù l’assenza di Zanetti nell’ultimo derby della sua carriera o quella nell’undici titolare che da lì a poco avrebbe affrontato la Lazio, ma vedere il tecnico nerazzurro impassibile davanti ai gol dei suoi ragazzi, con un ghigno a metà tra il broncio e la voglia di vendetta, si è rivelato un dettaglio comprensibile sì, se considerato come reazione all’atteggiamento del pubblico, ma paurosamente fuori luogo se paragonato alla serata di festa.
L’impressione è che una reazione tale non sia passata inosservata neanche dalle parti di Erick Thohir: c’è in ballo il rinnovo di Mazzarri con eventuale prolungamento di contratto, c’è il famigerato “progetto” da mettere nero su bianco, c’è un’unità di intenti tutta da costruire, c’è una concretezza da trovare dietro le parole date in pasto ai media, con riconferme più o meno chiare del tecnico toscano che non hanno mai  convinto fino in fondo.
Facciamo un gran parlare di come debba essere vissuta l’Inter: ne hanno scritto in tanti, voi che leggete questo simpatico blog sapete meglio di me quanto sia bello e dannatamente difficile essere interisti e vivere l’Inter, da tifosi come da attori di primo piano.
La sensazione di chi scrive è che uno come Mazzarri non abbia mai legato con questa caratteristica: non sono uno di quelli che sostiene la causa dell'”Inter agli interisti”, è una questione di approccio, di sensibilità umana ancor prima che professionale.
Mi pare che Mazzarri, in tal senso, abbia pestato una merda gigantesca con quel suo atteggiamento costantemente spocchioso, rigido oltre ogni limite, altezzoso e presuntuoso quasi quanto la sua insistenza sul dannato 352.
E mi pare che le ultime parole di Thohir nei suoi confronti tradiscano una certa difficoltà nell’ammorbidire un rapporto che sembra fragile proprio sui punti cardine di quello che ET vorrebbe costruire nell’immediato futuro.

Rolando e Biava giocano a rubabandiera. Klose è ancora terrorizzato dalla Samuelata. Jonathan in 16:9.
Rolando e Biava giocano a rubabandiera. Klose è ancora terrorizzato dalla Samuelata. Jonathan in 16:9.
I giornali adesso si affannano nell’indicare se Mazzarri sia già stato confermato o meno, se ci sia un successore-fantasma che attende il via libera o se sia ancora tutto da delineare al tavolo, dove ognuno presenterà le proprie richieste.
Una nuova stagione con un allenatore sfiduciato e in scadenza di contratto significherebbe delirio puro e costituirebbe una giustificazione non da poco per i giocatori: sapete benissimo che non apprezzo il calcio di Mazzarri e il suo modo di gestire la squadra, ma se conferma deve essere che sia fatta con la volontà reale di proseguire con lui, e non per una semplice questione economica. Sarebbe il primo, gigantesco errore della gestione Thohir.
Tornando al match di sabato sera, il 4-1 finale non inganni: è stata la solita Inter, nel bene e nel male, ma con qualche buona notizia in più.
La fragilità difensiva mostrata sul vantaggio laziale aveva precipitato nell’incubo di un nuovo 5 maggio in piccolo molti dei presenti sugli spalti, ma fortunatamente c’era abbastanza voglia di far bene per l’Europa e per salutare degnamente Zanetti da ribaltare in mezz’ora il risultato con tre reti di rara bellezza.
Non tanto per le finalizzazioni, banali  per gente come Icardi e Palacio, quanto per i capolavori di ingegneria calcistica che si nascondevano dietro gli assist vincenti di Kovacic, più che mai uomo-partita.
Mateo era ovunque, con una lucidità invidiabile e una tecnica di qualità superiore. Il passaggio per il gol del 2-1 era inimmaginabile vedendolo dall’alto delle tribune, figuriamoci sul campo. Inutile dirvi quanto sia bello ritrovare il talentuoso croato ai livelli che gli competono, e rende ancor più lieti che questo canto del cigno (il primo di una lunghissima serie, mi auguro) sia arrivato proprio in una serata così speciale.
È da Mateo che si riparte.
Non poteva poi mancare il gol dell’ex, un Hernanes in condizioni fisiche a dir poco precarie, ma abbastanza lucido da trovare la porta di Berisha con un fendente dei suoi nella ripresa.
Doveroso recuperarlo al 100% per la prossima stagione.
E non potevano mancare i soliti errori degli esterni in fase difensiva: Jonathan sembra ripiombato nelle difficoltà di chi ha limiti tecnico-tattici insormontabili, con quelle finte eterne che mi ricordano le movenze di Chin Gentsai, il vecchio ubriacone di King of Fighters (gli amanti del videogioco anni 90 ricorderanno, credo), mentre Nagatomo, indubbiamente attivo in fase offensiva, risultava offensivo nei confronti del pubblico in fase difensiva e nel secondo tempo si beccava i ripetuti cazziatoni della premiata ditta Ranocchia-Handanovic, con quest’ultimo autentico salvatore della patria in almeno 4 (toh, ancora!) occasioni.
Nulla di nuovo, dicevamo.
L’Europa doveva arrivare ed Europa è stata. Una competizione in più per il prossimo anno, una sifda in più per la squadra che verrà e per la preparazione atletica da fare. L’augurio è che la società valuti anche questo non trascurabile dettaglio, prima di riconfermare Mazzarri. Il mio personalissimo tributo va invece ad un altro probabile addio, quello di Walter Samuel: partita esemplare la sua, ma che la Samuelata sia arrivata addirittura dopo il settimo minuto tradisce la sua età anagrafica. Dire che mi mancherà tantissimo è troppo poco. Leader silenzioso e uno dei migliori difensori in assoluto nella storia dell’Inter, ne riparleremo grondanti di lacrime, in attesa che Vidic non lo faccia rimpiangere.
A breve parleremo anche dell’altro grande evento di sabato, quel #Cotoletta14 che ha incoronato i baldi giovini (no) di BausciaCafé vincitori di un torneo di calcetto a dir poco epocale, nonostante la presenza di due loschi individui che di nerazzurro avevano giusto le maglie.
Ma questa, miei piccoli lettori, è un’altra storia.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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