Bauscia Cafè

Amaro, ma non troppo

Quanti di voi erano convinti di uscire dall’Olimpico con almeno un punto alla vigilia di Roma-Inter?
Non vedo mani alzate.
Ed era effettivamente piuttosto scontato che una squadra in salute, a punteggio pieno e difesa imbattuta nelle partite casalinghe, più forte in tutti i reparti (riserve incluse), battesse la derelitta Inter post-mazzarriana, ancora in cerca di una identità tra interpreti fuori ruolo, assenze pesanti e stupidità calcistica mal distribuita.
La missione che Mancini ha accettato con sprezzo del pericolo è cominciata con un trittico di partite insidiose nelle quali certi problemi sono riemersi sistematicamente: gara dopo gara però l’Inter, malgrado le centinaia di bestemmie provocate tra i tifosi durante la visione, ha effettivamente mostrato qualcosa di diverso.
L’euforia paradossa che il Mancio ha diffuso nell’aere è coincisa con più cattiveria in campo, capacità di reagire con veemenza al solito, puntuale gol dello svantaggio e anche una certa dose di culo, che non guasta mai viste le ultime, nefaste stagioni, deficitarie anche in tal senso.
A Roma, facendo uno sforzo di ottimismo nonostante una classifica che ci vede mestamente undicesimi, nella famigerata parte destra del tabellone, ma comunque a “soli” sei punte dalla chimera chiamata terzo posto, non ho visto affatto una brutta Inter: piuttosto ho visto brutte cose, sciagure dei singoli che ci condannano all’affanno perpetuo.
Errori di comunicazione, interventi completamente fuori tempo e fuori luogo, movimenti imprecisi, diagonali mancate, falli non spesi o spesi malissimo, nella dabbenaggine calcistica che accompagna le nostre sconfitte non manca davvero niente.

Diciamo che non l'abbiamo vista moltissimo, dai.
Diciamo che non l’abbiamo vista moltissimo, dai.
Inutile stare qui a fare processi al Juan Jesus, Dodò, Ranocchia o Guarin di turno: nel calcio si vince e si perde in undici uomini, anche quando a sbagliare sono sempre gli stessi.
Mancini lo sa bene, come sa bene che insistere con i fuori ruolo sia un modo temporaneo per provare a cercare una soluzione, un surrogato di quel modulo che, con i giocatori adatti, lui vorrebbe proporre in modo continuativo. Non riesco a biasimarlo, ma forse sarebbe il caso di sospendere le richieste di mercato fatte “sul campo” fino a gennaio, pensando al modo migliore di fare nove punti nelle prossime tre partite, salvaguardando però quei progressi di mentalità, grinta e voglia di soffrire che si sono comunque visti nelle poche gare della sua gestione.
Pensare ai punti lasciati per strada finora, con un calendario più che favorevole e una classifica così corta, fa girare le palle in modo vorticoso: appena due vittorie in più ci avrebbero proiettati esattamente a pari punti con il Napoli. Per fare l’albero ci vuole il fiore, ma per recuperare posizioni servono i punti e per fare punti servono risultati e continuità, quella continuità che solo un undici consolidato, scevro il più possibile dalla clamorosa quantità di cazzate evitabili viste in questi mesi può garantire.
In attesa degli interventi (perché ci saranno, vero Thohir? VERO???) sul mercato di riparazione, a Mancini si chiede, ancora una volta e come al suo predecessore, di sfruttare quello che ha a disposizione per limitare i danni, strutturare al meglio l’idea di calcio che già si intravede e abbinare all’entusiasmo, piacevole quanto effimero, se non corroborato dalle vittorie, miglioramenti evidenti non solo nell’approccio, ma soprattutto nel gioco d’attacco e nella capacità di compensare, se non ridurre al minimo, gli atavici difetti di giocatori deboli, nei piedi come nel carattere.
A questa Inter mancano i leader in campo e un sacco di altre cose, ma è arrivato il momento di smetterla di nascondersi dietro a un dito per affrontare a testa alta le responsabilità che vestire una maglia come quella nerazzurra comporta. Chi non riuscirà a capirlo sarà pregato di accomodarsi in panchina, o altrove.
O almeno lo spero.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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