Ci siamo capiti, no?
Bene, iniziamo con la sagra delle banalità allora: l’Inter ha un piede fuori dalla Champions League, zero vittorie in tre partite sono inaccettabili, i giocatori non rendono quanto dovrebbero, Perisic non può fare la seconda punta, la difesa non sa stare in campo, Vidal è un pacco, Conte prende 12 milioni eccetera eccetera. Siamo tutti d’accordo? Perfetto, ottima base di partenza. Ora passiamo oltre.
Il punto -che mi lascia molto molto perplesso- è che io non riesco a inquietarmi per questa ignobile serie di risultati visti in questo inizio di stagione. E non perché non mi interessi, perché sono distaccato o chissà cosa, attenzione: proprio perché quello che vedo in campo mi racconta una storia diversa, totalmente diversa, da quella che vedo nei risultati. Dice “sì, ma a calcio conta il risultato” e io sono d’accordissimo, figuriamoci: sono il primo sostenitore di questo, ed è quello che ho sempre risposto agli amanti del bel gioco, al milandisacchi, al tiki taka e a mille altre fesserie di cui ciclicamente si riempie la bocca chi parla di calcio. Però.
Però io non posso non vedere che l’Inter ieri sera è andata a Madrid a giocare contro il Real accettando lo stesso piano tattico degli avversari: giochiamo a viso aperto e vediamo chi si fa più male. Contro il Madrid.
L’Inter è andata in Champions League a giocare da grande, grandissima squadra: sbagliando, certo, sbagliando molto e in maniera imperdonabile. Ma giocando da pari, e alla pari: siamo andati a prendere il Madrid con cinque uomini nella loro trequarti, ad accettare gli uno contro uno quando necessari, a costruire dal basso palla a terra, a palleggiargli in faccia con il portiere. Questo, mi dispiace tantissimo per chi si appresta a leggere quello che sto per scrivere, è un piano tattico e mentale preciso e in perfetta continuità con quanto visto nelle ultime partite e da inizio stagione ad oggi.
Quindi smarchiamo il campo da un punto: non è corretto -e non è accettabile- dire che questa Inter non ha un gioco, non ha personalità, non ha idee e non ha piani tattici sviluppati. twittaloCe li ha, eccome se ce li ha, e sono anche i più “europei” che abbiamo mai visto da queste parti.
Poi intendiamoci: ve lo sta dicendo uno che dei piani europei non ha mai saputo che farsene, e che è tutt’altro che entusiasta davanti a questo tipo di discorsi. Però un conto è un giudizio personale (andatelo a dirlo a Klopp o Guardiola che quel piano lì vi fa schifo), e tutt’altro è fare finta che quello che si vede non esista.
Sono stati altri gli errori dell’Inter ieri: sono stati errori di personalità (Vidal, ancora tu?), errori di pulizia tecnica (Hakimi, il covid ha effetti così disastrosi?), errori di posizione e presenza mentale (De Vrij, che intenzioni abbiamo?). Non errori tattici. E sono gli stessi che vediamo da molte partite a questa parte: quella che chiamiamo a volte leggerezza, mancanza di cattiveria o di cinismo. Quegli stessi errori che ci hanno portato a pareggiare -altrettanto ingiustamente, forse anche peggio- le due partite precedenti nel girone europeo e quella in campionato col Parma. E sono errori che vanno corretti, assolutamente, perché a calcio non vince chi gioca meglio.
L’idea è che questa Inter viaggi ben poco in continuità con quella dell’anno scorso, e sia quindi sostanzialmente un cantiere aperto. E’ stata una scelta lucida e ragionata dell’allenatore che ha voluto probabilmente accelerare un processo di maturazione e crescita che di solito richiede almeno un anno in più. Ed è una scelta rischiosa, i motivi sono così ovvi e sotto gli occhi di tutti che sembra persino banale sottolinearli: è una scelta rischiosa perché può reggere solo se supportata dai risultati. In assenza di quelli, i dubbi che vengono a chiunque sono talmente tanti e talmente grandi da risultare difficilmente estricabili. Sarà l’allenatore, quindi, a prendersi le responsabilità di questo nuovo percorso che ha deciso di intraprendere.
Però, alla luce di questo, non risulta così strano e irrazionale sentire lo stesso allenatore che parla di soddisfazione per quanto visto in campo nelle ultime partite: perché la traccia è chiara, è evidente, e la crescita dal punto di vista del gioco lo è altrettanto. Perché è aggrappandoti alle tue idee e alla tua traccia che quando ti sei trovato sotto 2-0 a Madrid hai trovato la forza e il piano per rimetterti in pari, mandando per lunghi tratti all’aria un Real che a quel punto avrebbe dovuto essere in controllo totale e costringendo Zidane a mettere dentro due velocisti -di classe, tantissima classe- per provare a sfruttare lo spazio che i suoi non riuscivano più a prendersi.
Poi è chiaro che la soddisfazione per gioco e atteggiamento a un certo punto finisce, e diventa indispensabile iniziare a fare risultato.
Però il filo logico è lì, è tracciato. E anzi possiamo dire che paradossalmente quello che è stato il punto di forza dell’Inter di ieri sera è stato anche ciò che ne ha causato la sconfitta: talmente forte -e non completamente giustificata, è chiaro- era la convinzione nei propri mezzi, che all’80’ dopo aver riagguantato un pareggio che sarebbe stato oro, c’era ancora la spinta all’aggressività. C’è Hakimi che va a pressare alto sulla destra su indicazione dell’allenatore, De Vrij che esce fino a centrocampo inseguendo la voglia di ribaltare l’azione, e Vinicius che prende d’infilata D’Ambrosio. Il tacco di Bastoni che non arriva su quel rasoterra, e Rodrygo ha la più facile delle occasioni.
Un contropiede. All’ottantesimo. A Madrid.
E qui che si apre la discussione, ed è questo il punto sul quale si giocherà il futuro di questa squadra:
A me ancora adesso girano terribilmente, e da “risultatista” convinto non avrei dubbi a scegliere la prima strada.
Ma se quest’Inter arriverà ad imporre il suo nuovo calcio e a ottenere risultati importanti -come Conte crede e noi speriamo- tanto, tantissimo sarà dovuto a quel pressing alto di Hakimi, all’80’ sul campo del Real Madrid.