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L’ora della verità

AJrriva al dunque la stagione nerazzurra, con la prima semifinale europea 10 anni dopo l’incredibile notte del Camp Nou. Di fronte non ci sarà il Barcellona ma lo Šachtar Donec’k, traslitterata in inglese e quindi più conosciuta come Shakhtar Donetsk, la squadra nata nel 1936 dalla decisione del Consiglio Sovietico della Cultura Fisica e dello Sport di dare lustro ai minatori del Donbass e al loro rappresentante più famoso, quell’Aleksej Grigór’evič Stachánov divenuto famoso per la sua incredibile produzione giornaliera di materiale estratto dalle miniere di carbone del luogo. La squadra, infatti, venne fondata col nome di “Stachanovec” in suo onore, e prese il nome di Šachtar (“miniera” in lingua ucraina, appunto) solo nel 1961.

Lo Shakhtar ha attraversato gli ultimi vent’anni sempre alla ribalta nelle competizioni europee, subendo anche le conseguenze nefaste della guerra civile scoppiata nella regione nel 2014: i 13 titoli nazionali dal 2000 ad oggi, le 11 coppe nazionali e le 7 supercoppe nazionali, la mettono di diritto in cima al calcio ucraino del XXI° secolo. 

Taison, uno di quelli molto pericolosi per stasera: corsa inesauribile e piedi notevoli

In Europa questo valore ventennale si è tradotto in una coppa UEFA vinta nel 2009, un’altra semifinale di Europa League raggiunta quattro anni fa, diverse edizioni di EL dove ha raggiunto la fase ad eliminazione diretta, quattro ottavi di finale in CL e un quarto di finale, sempre nella massima competizione europea. La caratteristica dello Shakhtar è, da più di vent’anni, quella di avere sempre tra le proprie fila una foltissima colonia di calciatori brasiliani, alcuni dei quali nel frattempo naturalizzati: oggi ce ne sono 12 di nascita in rosa, di cui due con passaporto ucraino, i talentuosi Marlos e Junior Moraes.

la cifra tecnica della squadra è simboleggiata benissimo da questa colonia storica verdeoro: lo Shakhtar in tutti questi anni, grazie a Mircea Lucescu che ha impostato un lavoro tattico durato più di dieci anni, che è stato poi proseguito da allenatori che hanno sempre basato sul palleggio, la velocità e la tecnica individuale la costruzione della manovra, ha sempre espresso dei buoni valori collettivi dimostrati dai risultati raggiunti, e soprattutto ha sempre rappresentato un osso duro per chiunque l’abbia incontrata.

Inutile quindi dire che la partita sarà dura, difficile e tutt’altro che scontata nel risultato finale. Ma è altrettanto innegabile che l’Inter, quest’Inter 2019-20 con tutti i suoi molti pregi e qualche difetto ancora significativo, parta favorita nei pronostici, anche se non di molto e forse meno di quanto molti pensino. I ragazzi di Antonio Conte hanno dimostrato contro due avversari a loro modo tosti in maniere completamente differenti, quali Getafe e Bayer Leverkusen, di avere, mezzi, gamba e convinzione per misurarsi finalmente ai livelli che noi tifosi vorremmo sempre vedere: una semifinale europea, e se non è CL che sia l’EL, competizione che dai quarti in poi mostra sempre dei valori assoluti molto alti, e vincerla è tutt’altro che facile.

Molto, moltissimo, passa dai piedi, dalle gambe e dalla testa di questi tre ragazzi. Speriamo bene.

Ed è proprio nelle teste dei giocatori, dello staff, della dirigenza, che questa partita va assolutamente vinta prima ancora di vincerla sull’erba della Merkur-Spiel Arena di Düsseldorf con le mosse tattiche che Conte sta preparando per fermare la minaccia nero-arancione a fortissime tinte verde-oro: la convinzione, inseguita in campionato per tutta la stagione, di essere giocatori finalmente vincenti di una squadra finalmente vincente. 

A costo di farla suonare come una provocazione voglio dire che, paradossalmente, questa partita contro lo Shakhtar è, per certi versi, più importante della finale stessa.

Una finale, una volta raggiunta, “non si gioca: si vince”, come disse Samuel Eto’o nello spogliatoio del Bernabeu quella notte madrilena del 2010 che tutti ricordiamo. Ma al di là della legittima amarezza e delusione di tutti per una finale eventualmente persa, a mente fredda emergerebbero comunque le note esclusivamente positive che una finale giocata contro un avversario come il Siviglia o il Manchester United, qualunque esito abbia, significherebbero per l’Inter di oggi.

Questo significato si può tradurre con una, ed una sola, frase molto semplice: "Siamo tornati, e siamo finalmente pronti a vincere, in Italia e in Europa". twittalo

Ecco perché la partita di stasera vuol dire molte cose, tutte molto importanti e alcune, da un punto di vista storico-calcistico dell’Internazionale Milano, enormi: perché dopo gli ultimi dieci anni passati attraverso delusioni, arrabbiature, illusioni e conteggi necessari più a adatti a commercialisti che a tifosi, eppure inevitabili, una finale europea rappresenterebbe davvero l’oasi alla fine di una traversata nel deserto di questi anni che ha prosciugato in molti casi anche la passione, creando rancori, dividendo i tifosi in fazioni, incastrando nelle menti stanche di piazzamenti non consoni alla storia ed al prestigio del club convinzioni a volte assurde, quali quelle che in qualche caso ancora circondano l’attuale proprietà.

Ed ecco perché io spero con tutto il cuore che l’Inter trovi la chiave per estrarre dalla miniera di Düsseldorf la pepita d’oro della finale di venerdì prossimo, il come mi è davvero indifferente mai come stavolta, e che come Stachanov da lì in poi continui ad estrarre vittorie e finali in quantità record, titoli che quest’Inter e tutti noi tifosi ci meriteremmo di festeggiare dopo tanto penare.

Forza ragazzi!

Hendrik van der Decken

Il capitano dell'Olandese Volante, condannato a guardare il calcio per l'eternità senza mai vedere il 433 in nerazzurro. Posso toccare terra solo quando l'Inter vince in Europa, perché quando accade c'è sempre un "Oranje" in squadra. Mentre navigo, guardo l'Inter, un sacco di Eredivisie, Jupiler League e Keuken Kampioen Divisie, bestemmiando l'Inter e il N.E.C.

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