Bauscia Cafè

La mandrakata

Sono le 8:32 di mattina quando apro gli occhi dopo una nottata leggermente insonne, in cui mi son svegliato più volte a causa di un pensiero che il mio inconscio stava pian piano iniziando a farmi ronzare nella testa. Consapevole di non aver dormito una sega controllo l’analisi del mio sonno e ne ho la conferma: ho riposato solo per 6h26′ con un punteggio del sonno pari a 77 su 100. Per molti di voi sarebbero dei numeri e una prestazione incredibile ma per uno come me, abituato a dormire minimo otto/nove ore, quelle sei sono una disfatta. Preso coscienza e focalizzato appieno il pensiero che ha disturbato il mio sonno, decido di alzarmi per andare a fare colazione.

Arrivati a questo punto vi starete chiedendo sicuramente due cose:

  1. qual è questo pensiero?
  2. e soprattutto cosa c’entra tutto questo con l’Inter?

Vi assicuro che tutto torna e ve lo dico subito io: c’entra, c’entra.

Bene il pensiero è molto semplice. Sono arrivato al punto che delle analisi tecnico-tattiche delle partite non me ne frega più una sega di nulla, tanta è l’apatia con cui le guardo a causa di questa banda di scappati e vista anche la poca empatia che mi trasmettono. Quindi d’ora in poi le racconterò narrando le gesta del mio navigato compagno di viaggio. Per cui, patti chiari e amicizia lunga.

Dove eravamo rimasti quindi? Ah sì, al punto in cui vado a fare colazione. Dopo essermi dato una sciacquata al viso per prendere vita, mi dirigo verso la cucina per ricevere il buongiorno dei miei ma lo scenario che mi si presenta davanti è totalmente inaspettato. Vuoto totale. Deserto. Cucina disabitata. Dopo lo stupore iniziale, che dura ben per 30/40 secondi nei quali sono inebetito come un troll, capisco il motivo dello scenario che ho di fronte. I miei genitori sono usciti di casa. Sì lo so, certi ragionamenti fini sono solo per delle menti eccellenti come la mia. Non so bene il motivo per cui siano fuori, ma lo suppongo. Sono le 8:35 e quindi mia madre deve essere per forza a lavoro e mio padre sarà uscito per andare a fare la spesa. Nel mentre partorisco questi pensieri sopraffini (durati il tutto la bellezza di 10 secondi netti, dopo i quali il mio cervello è tornato nella modalità stand-by vista l’ora) sento un rumore metallico nelle vicinanze e un gran vociare inconfondibile: sono le voci dei miei. Sono di ritorno dalla spesa per la cena della vigilia e hanno pensato bene di andare di prima mattina per evitare file. Mia madre non fa in tempo ad entrare in casa e posare le borse che subito se ne riesce diretta a lavoro e nello stesso istante fa l’ingresso il protagonista di questa nuova serie di post: Mandrake. E lo fa in grande stile, come solo i veri showman sanno fare. Avendo captato la mia presenza in cucina una volta varcata la soglia di casa esordisce intonando a pieni polmoni “Garrisca al vento il labaro viola, sui campi della sfida e del valore” per celebrare la disfatta di “quei maledetti della famiglia Agnelli” della sera prima.

Mandrake non è altro che mio padre. Nato nel 1945 a Sorano, un piccolo paese dell’entroterra maremmano. Secondogenito, dai genitori – umili ma curiosi del mondo – acquisisce la voglia dell’apprendimento culturale. Il contesto socio-economico ne condizionerà la carriera scolastica, ma nonostante tutto in età adulta consegue il diploma di Ragioniere. Mandrake ha capito presto come va il mondo e si è sempre schierato, cristianamente, dalla parte dei più deboli. Da sempre comunista italiano, ne difende la grandezza ideale non ignorando successi ed errori. Lascia Sorano, l’amato paese, nel 1987 allorché si trasferisce nel capoluogo dove attualmente vive. La maggior parte del suo percorso terrestre lo ha già compiuto. La vita lo ha posto di fronte a gioie e dolori, i capelli iniziano ad imbiancarsi, ma proprio oggi, alla vigilia del terzo millennio, in un quadro di valor propugnati, affronta la sua più bella e impegnativa avventura, tesa alla crescita educativa di quello che è il più bel regalo che mai abbia ricevuto dalla vita: il figlio Giuanín.

Queste sono le parole con cui si è descritto lui stesso nella copertina anteriore del libro di memorie scritto ben vent’anni fa, e non potevo sceglierne di migliori per presentarvi il personaggio.

Mandrake

Torniamo al racconto della giornata. Dopo aver udito i suoi versetti intuisco che oggi Mandrake è carico, la sconfitta della Juventus lo ha galvanizzato ed è pronto ad assaporare qualcosa di importante. Il resto della giornata scorre via veloce e giusto all’ora di pranzo si ringalluzzisce vedendo gli highlights della sera prima e incomincia a sparare i primi colpi. Inveisce senza senso contro “il mattarello” e contro “la faccia a bigonzo” (traduzione di faccia da stupido). I due destinatari delle offese sono Cuadrado e Buffon rei di essersi fatti cacciare per tentato omicidio, il primo, e di avere effettivamente una faccia da coglione il secondo. Mandrake gode della disfatta bianconera e in preda all’estasi mi comunica di volere il caffè “che tanto il generale oggi non c’è e non mi rompe i coglioni se lo bevo. In culo ai cardiopatici”. Il generale altro non sarebbe che mia madre, impegnata nel pranzo natalizio con le colleghe. Finito il pranzo le nostre strade si separano in attesa della partita, entrambi ci ritiriamo nelle nostre stanze: lui si reca nel suo studio ad ascoltare musica ed io nella mia, dove inizio a mettere in ordine le prime piccole perle di giornata. Ad una prima lettura deduco che la giornata sarà produttiva e mi preparo allo show del tardo pomeriggio.

A meno di un’ora dall’inizio della partita Mandrake irrompe nella mia camera per annunciarmi che andrà momentaneamente nello scantinato ad aspettarle “il Paolini” così da scambiarsi i doni natalizi. Il Paolini è un suo coetaneo con il quale condividono la passione per la pittura e spesso si ritrovano insieme per dipingere nudi femminili usando come modelle donne dalle forme giunoniche. Non è vero, questo delle donne giunoniche me lo sono inventato.
Quando mancano cinque minuti all’inizio della partita Mandrake rientra in casa scuro in volto e imprecando contro l’amico di cui sopra, reo di non essersi presentato all’appuntamento. Questo fatto lo turba al tal punto che passerà l’intero primo tempo a borbottare fra sé e sé intervallando ogni tanto il brontolio con delle offese a Perisic “che pascola in campo come una pecora rincoglionita” e prendendosi a cuore la salute di Barella visto “che il povero Barellino viene menato da tutti come fosse una pentolaccia”. Insomma la prima frazione scivola via velocemente senza grandi spunti da parte del nostro eroe.

La pecora rincoglionita

Il mancato scambio di regali l’ha turbato a tal punto che sente il bisogno di sfogarsi con qualcuno e trova così conforto in un’altra figura amica, una che nel momento del bisogno non può mai tradirlo: Salerno. Salerno è un signore di due anni più grande, compagno di lunga data di militanza politica e di passione sfrenata per l’Inter. Insomma è il suo “Er Pomata” e come ogni spalla che si rispetti non manca mai all’appuntamento. Tra i due parte una discussione tattica sui primi 45 minuti nei quali viene ribadito da Mandrake che “Perisic l’ho visto male, ha fatto poco. IO lo cambierei, la spinta non l’ha data” e preso da uno scatto d’ira asserisce che

"IO VOGLIO VINCERE DIO SANTO! IO VOGLIO VINCERE! 'UN SO PER PERDERE MAREMMA SCHIFA!" twittalo

La telefonata continua analizzando il piano tattico da tenere nella ripresa per evitare di subire le avanzate scaligere, fino a che non si arriva al punto in cui i due compagni di avventura si salutano dandosi appuntamento al momento del gol. I due innamorati si separano e Mandrake torna davanti alla tv per prepararsi all’inizio del secondo tempo, giusto in tempo per scagliarsi e inveire contro Di Canio appena apparso sullo schermo: “Stai zitto fascista te. Fascista e brutto. Laido schifoso”. La telefonata l’ha rinfrancato ed è pronto alla battaglia.

La posta in palio è alta e si intuisce dalla fitta pioggia di imprecazioni e bestemmie che inizia a produrre a ruota, intervallate dalle solite offese a Perisic che “oggi non va e va cambiato subito. Che cazzo aspetta toupet”. Neanche il tempo di godersi l’ennesimo vilipendio al croato che subito questo sentimento viene sostituito dalla gioia del gol che lo porta in estasi. Prima un “VAI. VAI ‘orca madosca. Dio Lukaku. Vai LAUTARACCIO! VAI!” e subito dopo l’immancabile telefonata a Salerno per condividere la gioia del gol che si conclude con un poetico “Lautaro te l’ha messo in culo a te e a tutta la tu famiglia. Dillo ancora che non segna. Vai a mangiare stronzo“.
I due si vogliono bene e se lo dimostrano così.

Lautaraccio

Il nostro protagonista smorza subito i toni dell’entusiasmo, torna a concentrarsi sulla partita e senza dare respiro agli undici in campo afferma di volere “subito il 2-0 così ci si riposa” e continua ad offendere Perisic anche quando quest’ultimo non ha colpe. Mandrake ormai ha deciso che il croato è il male odierno e nessuno lo sposta dalle sue convinzioni. Da lì a poco accade il fattaccio. Il generale torna a casa e nello stesso istante il Verona trova il pareggio su papera di Handanovic. Mandrake è confuso, non sa con chi scagliarsi. E per non fare un dispetto a nessuno ne ha per tutti e due. Prima accusa il generale rea “di essere milanista e cattiva nell’animo tale da portare iella” e subito dopo ne ha per Handanovic al rivolge un “MIHALO TE (guardalo tu stesso) COSA HA COMBINATO ST’IMBECILLE“.
Mandrake ha accusato il colpo. La doppia combo rientro del generale e gol subito l’ha colpito in pieno e come un animale ferito incomincia a lamentarsi di continuo bestemmiando ininterrottamente per cinque minuti contro chiunque dei nostri tocchi il pallone e continuando a ripetere che “solo noi si possono prendere dei gol da stronzi così. S’era in otto in area, IN OTTO CONTRO UNO. DEMENTI“.
Fortunatamente l’Inter torna subito in vantaggio con “il vecchio Skriniar che s’è rifatto che era complice” e la calma torna a riaffacciarsi in lui.

Il “vecchio” Skriniar

Calma che risulta essere momentanea e neanche l’uscita dell’odiato Perisic riesce a tenerlo a bada. Gli ultimi 20 minuti li vive con una tensione addosso che nemmeno fosse una finale di Champions. Si alza in piedi e in preda al palletico (traduzione: muoversi in modo involontario, nervosamente arrecando anche un certo disturbo a chi sta vicino) incomincia a incitare gli undici in campo asserendo “ragazzi fate i bravi mi raccomando, che soffro anche di cuore. ‘un mi fate patì così” alternandolo con “che tensione, che tensione che c’ho” e con“oggi si vince il campionato, sti tre punti so’ vitali”.

L’apice della tensione arriva a dieci minuti dalla fine quando viene fischiata una punizione dal limite al Verona che viene accolta con un “ma che cazzo fischi stronzo! Quello è piccoletto è normale che va pe’ terra”. Scampato il pericolo il viso, che era diventato momentaneamente pallido, torna a riprendere colore e così lui al tempo stesso torna ad inveire contro i nostri che “son così stronzi che si divertono a mangiarsi i gol per farmi patì”. Gli ultimi scampoli di partita servono ad elogiare Hakimi “che se ti prende a petto t’ammazza, maremma rospa che treno” e ad inveire contro la terna arbitrale rea d’aver annullato il terzo gol a Lukaku con un poetico “annulami la fava, merdoso”.

Nemmeno il fischio finale sembra calmarlo del tutto, l’adrenalina scorre ancora forte in lui tanto dal farlo inveire a pieni polmoni contro i nostri “perché contro degli scappati di casa non si può patì così come dei cani randagi” ,“mi faranno morì accorato a breve”. Così dopo essersi bevuto un’intera bottiglia d’acqua per rinfrescare le fauci, lascia la cucina dirigendosi baldanzoso verso le sue stanze canticchiando “La porti un bacione a Firenze che ll’è la mia città, ma in cuor l’ho sempre qui. La porti un bacione a Firenze, io vivo sol per rivederla un dì”, ignaro del fatto che l’eco della sua leggenda stia per spargersi in tutto il mondo.

P.S. per la realizzazione di questo post si ringrazia Grappa che con i suoi racconti sulla gesta di Briatore & Friends (che vi consiglio di recuperare cliccando sul link che vi ho incorporato) mi ha dato lo spunto per fare altrettanto.

Braffo

Sono il Chief Games Officer di Bauscia Café. Metà stronzo, metà testa di cazzo.

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