Bauscia Cafè

Clandestino Inter

(Nota: questo post è stato scritto prima dell’acquisto di Kondogbia)
Per gli amici di Bauscia Café, con i quali, uno a uno, Adriano 5th of November ha fatto asilo-elementari-medie-liceo, un post tra il malinconico e il tragico, scritto da persona ‘matura’ affetta da senilità precoce.
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Ascolto consigliato: The Passenger – Siouxsie and The Banshees (Iggy Pop cover) Clip originale
Il tempo, bastardo o galantuomo che sia, o la vita stessa, anche lei principessa o puttana, inevitabilmente, inesorabilmente, ti cambia. O cambia anche solo il modo con cui vivi persone e passioni. Con cui vedi il mondo. E i tanti viaggi, iniziati anni fa, hanno ora colori diversi. Sei sempre in strada, ma tiri la tendina e ti chiedi se non sia venuto il momento di scendere.
Questa è l’originale e patetica conclusione alla quale sono arrivato mentre mi accingo a riavvolgere il nastro e tornare al punto di partenza di questo vagabondaggio mentale che credo fosse iniziato con la noia e la disillusione per questa (ennesima, anemica e anonima) stagione nerazzurra, che termina con strascichi imbarazzanti in questo (lisergico) inizio di calciomercato.
A mo’ di disclaimer virtuale, facciamo che clicco “SÌ” a tutte le seguenti domande che permettono (dovrebbero permettere?) di ricevere la ‘Patente dell’Interista Vero’: sei maggiorenne / tifi Inter sin da bambino / sei andato con una certa frequenza allo stadio e non sei rimasto solo in poltrona / hai fatto trasferte / eri a S.Siro quando Juary ha segnato nella nebbia l’unico gol con la maglia dell’Inter che nessuno ha visto / hai gioito per l’acquisto di Klaus Bachlechner / hai seguito l’Inter con Beppe Chiappella e anche dopo l’Alaves / ti ricordi di quando stavamo andando in B con Pinna Marini in panchina (ma vincemmo l’Uefa…)
Applicando la logica dei social network, con in tasca la patente, o perlomeno il foglio rosa, potrò probabilmente dire il cazzo che voglio e inanellare una serie interminabile di stronzate, beccandomi magari del deficiente, ma spero non del ‘non interista’, che è di sicuro l’offesa peggiore.
Sventolando il disclaimer, potrò quindi dire la mia su una stagione che per il sottoscritto non è mai iniziata, perché “iniziare una stagione” e “Walter Mazzarri” nella stessa frase rappresentano uno degli ossimori più potenti della lingua italiana. Perché la sua idea di calcio e la mia, ammesso ne abbia una (io), sono da sempre agli estremi opposti, o perlomeno all’estremo opposto dell’idea di calcio che mi sono fatto da Heriberto Herrera in poi (Helenio non l’ho conosciuto).
Mi sono tenuto in disparte, ho guardato il cantiere da lontano scuotendo la testa come un pensionato e criticando il capomastro, mi sono rianimato per la scommessa M’Vila (ampiamente persa e vissuta altresì come sconfitta personale), ho provato disgusto nel vedere la mia Inter giocare con un futuribile 5-4-1 con cinque difensori e due interditori anche a S. Siro contro il Cagliari.
Chiariamo subito un possibile equivoco: Mazzarri è stato l’olio di ricino di fine impero Moratti e mai avrebbe dovuto sedersi sulla nostra panchina. Al Mancio voglio bene, non fosse altro perché con lui è iniziato un periodo fantastico e forse irripetibile della mia vita nerazzurra – e il motivo di questo circolo virtuoso per me fu il Mancio, per altri Guido Rossi e il complotto giudeo-interista, poco importa. E ritengo tuttora una fortuna che in un suo momento di scarsa lucidità e rincoglionimento precoce, abbia accettato la missione suicida di tornare ad allenare l’Armata Brancaleone che corrisponde all’attuale momento storico della nostra Inter. Anche solo per questo motivo, e per averci liberato di Mazzarri, gli sarò eternamente grato. Poi certo, si può disquisire se Mancini sia un grande tecnico: qualità nella gestione di un piccolo gruppo (i titolari) e soprattutto nel motivare campioni (ne abbiamo in stock?), con un profilo simil-allenatore NBA e lacune tattiche ataviche e di lettura/gestione della partita che mi portano a pensare che insomma, se fossi presidente di una squadra ambiziosa e avessi soldi da spendere, non credo punterei su Mancini come allenatore. In ogni caso, visto che noi nel presente non abbiamo soldi e le ambizioni sono momentaneamente sospese, o in ogni caso scomparse dal giorno del geniale cambio Eto’o/Forlan, il Mancio basta e avanza.
Passione e pathos in questa stagione sono stati ai minimi termini. Ho un indice personale per misurare la mia partecipazione a una stagione. E l’indice è rappresentato, lo dico con immensa vergogna, dal numero di ‘Gazzette’ dello Sport in formato cartaceo acquistato dal sottoscritto. Il rituale, da anni a questa parte, è il medesimo: dopo una vittoria che mi ha particolarmente esaltato, mi reco al chiosco, compro una copia del suddetto giornale, tengo le pagine dove si parla della nostra vittoria, strappo e butto immediatamente in un cestino tutto il resto (una volta sola ho tenuto una pagina dove ci si dilungava su una sconfitta del BBilan in concomitanza di una nostra vittoria, ma ho pensato fosse una deroga alla regola ferrea di questo rituale psycorigide e ho deciso di non farlo più).
Ebbene, il numero di Gazzette comprate quest’anno è uno squallido zero. E se da un lato può consolarmi il fatto di non avere dato una lira all’incartacozze della famiglia Agnelli, dall’altro mai avevo vissuto una stagione così insulsa, senza il minimo sussulto d’orgoglio, o partita da ricordare, tipo battere la Cjuve la domenica dopo aver preso tre pere dal Sassuolo, o quelle rimonte alla cazzo da vera Inter, tipo da 0-3 a 4-3 in quarantacinque minuti, rimonte fini a se stesse ma bellissime nel loro valore caduco ed effimero.
Niente. Calma piatta. Nemmeno la gioia di una vittoria nel derby dei poveracci contro uno dei BBilan più scarsi che io ricordi. Nessuna serata folle in Europa League, tipo rimonte con l’Aston Villa dei giorni che furono. Tutte cose che persino la smobilitata Inter di Stramaccioni aveva almeno tentato. Nulla. Vuoto assoluto. Partite sgangherate, giocatori scarsi nei fondamentali, tattica approssimativa, classifica che faccio fatica ad accettare visto la mediocrità che esprime i calcio italiano attuale (so che è una stupidaggine, ma nei momenti di cupa depressione mi dico che se fossimo stati in Premier League, quest’anno, ce la saremmo giocata fino all’ultimo con Sunderland e Newcastle per non retrocedere.. per dire… altro che arrivare in finale di Europa League…)
E provo una tristezza abissale nel pensare che l’unica vera soddisfazione quest’anno me l’ha data il gol di Suarez, l’unico gol al quale ho esultato in modo smodato (ok, anche al gol di Obi nel derby ma ça va sans dire…) e che sto diventando un vecchio gufo bavoso e guardone che, nascosto dietro a un albero, si eccita per i mancati amplessi altrui. Eh sì perché quel sabato 6 Giugno, verso mezzanotte, ho persino abbracciato un catalano ubriaco per le vie di Parigi dicendogli: “Grande Barça…! Coppa meritata…! Avete sconfitto il Male Assoluto… Bravissimi…! … … Solo che con noi cinque anni fa, col cazzo che avete vinto…”, l’ultima parte della frase detta un tono più basso, al che, seppure ubriaco, il catalano mi ha guardato perplesso ma io mi sono dileguato rapidamente.
E che bello leggere poi i pistolotti sul ‘tifare italiano’ e sul mancato spirito patriottico. Sull’argomento ha già detto tutto l’amico Settore qui. Aggiungo solo che il tifare italiano con me non funziona, forse perché sono emigrante da anni e i ‘tifiamo insieme per l’orgoglio italiano’ o ‘portiamo a casa i nostri due (o tre adesso…?) marò’, li interpreto come patetico revanscismo patriottico. Ma per quale recondito motivo, io sottoscritto, dovrei tifare gente che ruba partite da anni e che ha messo in piedi il peggior sistema malavitoso che il mondo del pallone conosca? Ladri, dopati, arroganti, tracotanti e ossessionati dai nostri colori… e io dovrei tifarli…? In nome di chi, di cosa? Se gente così perde, nello sport come nella vita, sono arci-contento. E anzi, spero perdano ancora, e provo un gusto sadico-moralista nel vederli piangere.
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Insomma, mi sento estraneo all’anno Inter, forse al mondo Inter attuale. Estraneo a una passione che prima mi prendeva tempo, energia e affetti.
Sono un clandestino, in un momento in cui la tendina pietosa del termine migrante cade una volta per tutte sotto i colpi inferti da nuovi fascismi e razzismi mai sopiti, tutte cose di cui la vecchia Europa dovrebbe vergognarsi in toto, prova tangibile del suo vecchiume e di politiche sociali degne delle peggiori teorie neocon d’oltre-oceano.
Ebbene sì, sono un clandestino di questo viaggio Inter. Sono a bordo, credo, ma non partecipo, non guardo fuori dal finestrino. Guardo indietro. Maledettamente e inesorabilmente, indietro.
Le rimonte con l’Aston Villa, le cazzate di Recoba, il rituale della Gazzetta, sono tutte cose passate, scritte, messe in soffitta dove devono stare, come una vecchia Donnay in legno.
Il calcio cambia, l’Inter pure, o forse sono sempre stati così, entrambi. E quello che cambia davvero è il modo in cui li vedo io.
Quando guardo un calciatore devo pensare alla plusvalenza, e se costa due trilioni quello che conta è in quanto tempo lo ammortiamo. Animato da questo nobile principio, mi sono persino messo a seguire il cammino del Sunderland o del Bologna quest’anno, perché mi è stato detto che gran parte del nostro futuro passava da lì, e che il Manuale dell’Interista Moderno prevede una conoscenza approfondita su chi verrà riscattato e a quanto, e come quest’ultimo è stato inserito nell’ultimo bilancio. Mi sono istruito sul fondo Doyen, a quanto sembra, nuovo Eldorado per passare dall’acquisto di Traorè a quello di Ibra con un colpo di bacchetta magica.
Penso allo spirito di appartenenza e vedo un porto di mare, con tanta gente che veste la nostra maglia e non so nemmeno chi sia o cosa faccia qui, Dodo, Campagnaro, Felipe, Guarin… no, cioè… l’ultimo lo conosco bene è che mi chiedo sempre perché sia ancora qui da titolare. Lampi fugaci, i Podolski, gli M’Vila, gli Osvaldo (caso gestito da squadra dell’oratorio tipo quelle con il papà del portiere che funge da allenatore/dirigente/accompagnatore), tutta gente in transito temporaneo e smistata in fretta a riprova dell’approssimazione delle ultime campagne acquisti. E allora ripenso a quando il calciomercato si riassumeva in “ INTER – Acquisti: Mozzini” e con il nuovo stopper si vinceva lo scudetto.
Vedo errori marchiani, in campo. Ripetuti. Reiteraiti. Errori di tecnica di base, di fondamentali, palesi anche a un amatore scarso come il sottoscritto. Errori di concentrazione, quando durante i novanta minuti dovresti essere in grado di vedere dal campo se lo spettatore nell’ultima fila del terzo anello si è tagliato i capelli. E mi chiedo allora se siano cambiati i parametri per poter giocare in una decadente Inter di uno scadente campionato quale la Serie A attuale, e magari non me ne sono accorto.
Vedo il Mancio capirci poco, e non tirare fuori nulla più del suo predecessore da un parco giocatori che, malgrado quanto detto prima, mi rifiuto di considerare più scarso di quello di tante altre squadre che ci sono davanti. Vedo le sue scelte sgangherate, leggo rassegnazione nei suoi occhi anche quando bluffa parlando di quarto posto o di squadra che lotterà per lo scudetto, vedo il suo ciuffo tinto e moscio che non sfancula più nessuno, né giocatori, né arbitro, come avrebbe invece fatto in passato – i cambi all 85esimo invece li farà sempre… una specie di costante immutabile che nemmeno le leggi cosmiche.
Vedo un presidente che non so chi sia, cosa cerchi, cosa voglia, se ambisce a una società seria in questa gran pagliacciata che è il calcio italiano o se pensa di poter competere a livello europeo con squadre e società avanti anni luce. Un presidente che ha forse il dream team del management – anche qui, questo è quanto mi è stato detto – ma che in campo deve sorbirsi (lui e noi) gli Obi e i Juan Jesus e allora pensi che magari Claire Lewis è bravissima ma ecco, magari, forse, un terzino con i piedi decenti, al sottoscritto, tifoso bue e ignorante, farebbe davvero piacere.
E capisco che questi sono discorsi banali, da reduce, gli stessi che faceva mio padre accompagnato da sguardi di compatimento del sottoscritto. Discorsi noiosi, pallosi, con un’edulcorata vena nostalgica che da la nausea anche solo a pensarci. Perché tutto cambia, in meglio o in peggio poco importa, è giusto, è bello, è la vita, la fisica, la chimica, la carne, guardare indietro è patetico e contronatura.
E forse non guardo nemmeno indietro, ma è solo il presente che mi è scomodo. Non cerco una destinazione, non l’ho mai cercata. Arrivare non m’importa. Ho sempre voluto solo sentirmi parte di un viaggio. Da condividere.
L’autista sale, devo decidere. Lo sguardo annoiato fuori dal finestrino è un qualcosa che, per etica e passione, non posso più permettermi. Se riparto è perché il viaggio è ormai dentro di me. Per sempre.
Intanto riapro la tendina, poi si vedrà.

“I am the passenger
I stay under glass
I look through my window so bright
I see the stars come out tonight
I see the bright and hollow sky
Over the city’s ripped backsides
And everything looks good tonight”

Adriano ‘5th of November’

Adriano 5th of November

Nasce già extra-extraparlamentare. Se un giorno sarà scelto per una missione sulla stazione spaziale in orbita attorno a Marte, si porterà la maglia di Bonimba, una scacchiera, la manovella di un winch e un erogatore. Forse.

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