Bauscia Cafè

Un titolo accattivante che catturi l’attenzione

A conferma che in questo post di accattivante c’è solo il titolo, anche oggi torna il format dei numerelli, il modo più efficace che ho trovato per riuscire a pontificare su una moltitudine di argomenti del tutto slegati tra loro, mettendo bocca su tutto proprio come fa la vostra vicina settantottenne, che passa le giornate in veranda osservando con spasmodica attenzione ogni singolo movimento del condominio per poi sparlarne con chiunque incontri per le scale.

E quindi via, ecco che parte la giostra.

1: La certezza che ha accompagnato tutto l’ultimo decennio – e forse anche l’ultimo secolo – e che si sta consolidando anche in questa stagione, nonostante i segnali contrastanti delle prime partite: alla Juve basta davvero pochissimo per vincere. A volte, anche niente. Sabato con la Roma ha subito le iniziative degli avversari per tutta la partita, concedendo numerose occasioni e mettendo la testa fuori solo in alcune, selezionatissime circostanze: risultato, due gol a zero, di cui uno su disastroso autogol, e un rigore netto negato agli avversari (difficilissimo da vedere sul campo, ma colpevolmente ignorato dal VAR, che per uno strano gioco del destino non ha funzionato con la stessa solerzia dimostrata martedì in coppa).

Sono innumerevoli le partite andate così negli ultimi anni, così come sono innumerevoli, al contrario, le volte in cui l’Inter ha raccolto pochissimo a fronte di sforzi sovrumani per produrre occasioni da gol. Di certo, questa statistica è rafforzata dagli strani giochi del destino di cui la Juve beneficia con curiosa regolarità (a parte in alcune gare di quest’anno, come quelle col Crotone e con la Fiorentina, dove gli arbitri hanno deciso di applicare il regolamento anche contro di loro – e dove non a caso hanno perso dei punti), ma resta un dato di fatto che a questi qui, da sempre, serve fare poco o nulla per capitalizzare al massimo. Escludendo qualsiasi legittimo merito, mi sento di attribuire questa capacità interamente all’opera del Maligno, che da sempre veglia su di loro con certosina attenzione e piega gli eventi di modo che tutto gli arrida, nei secoli dei secoli.

2: le parate di Handanovic in rapida successione su Bonaventura e Biraghi, che ci hanno permesso – per una volta – di non subire gol alla prima iniziativa degli avversari. In questa occasione, i riflessi di Samir sono stati ottimi, tanto che a fine partita in diversi hanno sentito il bisogno di “presentarmi il conto” della buona prestazione dello sloveno (si vedano, a tal riguardo,i commenti agli ultimi post sulla nostra pagina Facebook). Come se un elemento contrastante smentisse un’analisi consolidata in anni e sostenuta da un solido insieme di evidenze, come se le suddette analisi servissero a esprimere un giudizio “da Colosseo”, pollice su o pollice in giù, piuttosto che essere indirizzate verso una maggiore comprensione degli eventi o dei protagonisti a cui si riferiscono. Non aver pensato alla sostituzione di Handanovic (uno che, a differenza di alcuni suoi colleghi, non è invecchiato per niente bene) rimane un grave errore della nostra dirigenza, a prescindere da qualsiasi prestazione possa fornirci Samir da qui a fine anno: si tratta di un portiere che da sempre si è dimostrato imprevedibile, a tratti psicolabile (soprattutto quando si convince di cose che vede solo lui, come nella tragica uscita che ha portato al gol di Ronaldo la scorsa settimana), che denuncia spesso il peso degli anni. Tutti aspetti evidenti da tempo, e che stanno inevitabilmente peggiorando con l’età: non aver agito di conseguenza, preparando il terreno per un degno sostituto (lo scorso anno avevamo addirittura Padelli come unico sostituto!), è una gravissima mancanza.

3: I gol di Barella in questo campionato, due dei quali segnati nelle ultime settimane. Per quanto sia sempre giusto andarci coi piedi di piombo, e per quanto ormai sappiamo tutti che affezionarsi troppo a un giocatore è una pessima idea, sarebbe ipocrita negare che il popolo interista si stia cominciando ad innamorare di questo giocatore, che rappresenta un animale raro del quale non avevamo notizia da quasi un trentennio (ovvero, un giovane centrocampista italiano di belle speranze e, apparentemente, molto legato ai nostri colori). Lui e Bastoni sono, senza dubbio, i due frutti migliori del lavoro di Conte in questi 20 mesi; due che hanno l’aria di poter stare con noi per molti anni, e che farebbero bene a non decidere di deluderci diventando improvvisamente dei mezzi cessi o volando altrove alla prima occasione.

Quei bravi ragazzi

4: i giorni da cui nella chat di Bauscia Cafè si discute ininterrottamente di Clubhouse, il nuovo giocattolo social che gli Stati Uniti hanno donato al mondo. Non è una radio, né un podcast; non ci si può scambiare messaggi, né file; non si possono registrare video né postare immagini; non si può nemmeno bestemmiare. Per ora, sappiamo soltanto ciò che non è o ciò che non si può fare, mentre su quel che effettivamente è permangono importanti dubbi. Tutto questo, comunque, non ha impedito a diversi di noi di finirci sotto in maniera pesante. Sono sempre più frequenti le notifiche che attestano la presenza di qualche autore (uno in particolare) in stanze di ogni tipo, chiamate per esempio “La prova del cuoco”, “Gemellandia” o “Il caffè del sabato mattina”, in cui – pare – sarebbero presenti anche personaggi di primissimo piano del jet set internazionale. Personalmente, sono diviso tra il forte desiderio di vedere collassare questa disdicevole manfrina al più presto e la voglia di comprarmi un iPad solo per poter discutere di cose come, chessò, le tecniche di sfilettatura del branzino, di fronte ad un’ampia eppur selezionatissima platea.

5: gli assist di Sanchez in questo campionato, a cui vanno aggiunti diversi pre-assist (le palle che mettono i compagni nelle condizioni ideali per concretizzare un assist, come quella data a Hakimi venerdì scorso, o sempre allo stesso Hakimi nell’andata con la Fiorentina). Ok, segna meno di Schelotto e diverse volte fa incazzare, ma l’importanza del cileno in questa rosa rimane notevole – non per niente, perché non abbiamo nessun altro attaccante in grado di entrare dalla panchina ed incidere in qualche modo. Alexis è l’unico in grado di innescare adeguatamente Hakimi, i cui inserimenti alle spalle dei difensori avversari rappresentano l’arma più letale che abbiamo a disposizione, e in generale uno dei pochissimi, oltre a Eriksen e Sensi, a saper trovare idee e giocate in verticale. Vista l’importanza della partita di domani e la necessità di vincere (segnando almeno due gol) sarebbe stato fondamentale averlo: peccato che per il solito strano gioco del destino gli sia stato recapitato un cartellino giallo nella partita di andata (stessa sorte toccata al connazionale Vidal, che per pura combinazione era a sua volta diffidato).

6: un numero che non c’entra niente con ciò di cui voglio parlare qui, ovvero del simpatico giochetto del giallo preso per uscire dalla diffida in vista di una partita importante, stavolta messo in scena da Calabria contro il Crotone. Da quanto ricordo, questo tipo di furbate tendenzialmente non porta granché bene, ed è sintomo di una sottovalutazione dell’avversario successivo (si pensi a Ramos in Ajax-Real di due anni fa, che si fece ammonire nei minuti finali della vittoria ad Amsterdam, salvo poi vedere i propri compagni mazzuolati in casa dai lancieri per 4-1 al ritorno). Sottovalutazione che sarebbe giustificata contro l’imbarazzante Crotone, mentre lo è molto meno contro lo Spezia, una squadra che – per qualità della rosa – è probabilmente la più scarsa del campionato, ma che ha già dimostrato in numerose occasioni di essere in grado di dare noia a chiunque, grazie a organizzazione, attenzione e adattabilità. Non penso che la prossima sarà una partita facile per il Milan, e spero vivamente che vadano a La Spezia convinti di dover espletare una formalità.

7: i punti di vantaggio che l’Atletico di Simeone ha sulla seconda in classifica… con due partite giocate in meno. Non mostrerà il Giuoco tanto osannato dai gourmet delle impepate alla catalana di cui si parlerà nel punto 10, ma il Cholo comincia ad avvicinarsi al secondo titolo in Liga della sua gestione (prima del suo arrivo, ne avevano vinti solo due in trentacinque anni), oltre alle varie Coppe del Re ed Europa League. Sappiamo  benissimo che razza di impresa sia vincere un titolo in Spagna, dove le principali contendenti sono due giganti del calcio mondiale che continuano, nonostante la stagione sottotono che stanno vivendo, a schierare in campo alcuni dei giocatori più forti di tutti i tempi (e che hanno vantato, in questi nove anni in cui il Cholo è stato loro avversario, uno strapotere economico assoluto, che fortunatamente verrà ridimensionato dalla crisi in corso). Simeone ha cambiato diametralmente la storia della società in cui allena, marchiandola a fuoco per sempre: è uno dei pochi tecnici in circolazione in grado di fare una cosa del genere, capace di fondersi appieno con la filosofia e l’identità del club che allena, diventandone a tutti gli effetti un simbolo. 

E insomma, ci siamo capiti.

8: Le partite di Ballardini sulla panchina del Genoa in questo ennesimo nuovo corso alla corte di Preziosi. Cinque vittorie, due pareggi e una sola sconfitta, stessi punti totalizzati dall’Inter nello stesso periodo: una specie di miracolo, eseguito su una squadra che prima del suo arrivo occupava in modo patetico tutti i campi sui quali si ritrovava a giocare. 

Da anni, Maurizio Pistocchi conduce una personale battaglia volta a far riconoscere maggiormente il valore di questo allenatore; per quanto, in generale, io tenda a non considerare quella di Pistocchi come una voce in grado di aprirti la mente, i quesiti che ha sollevato riguardo a Ballardini sono piuttosto interessanti. Prima di tutto: per quale motivo un allenatore così capace (perché lo è, soprattutto in confronto ad altri che sono in serie A), durante i due anni in cui è rimasto inoccupato, non è mai stato chiamato da nessuno? Come mai non c’è stato un solo presidente che, in difficoltà col proprio tecnico, non ha pensato a lui come sostituto? E perché, al contrario, altri tecnici – nonostante fallimenti eclatanti – non hanno mai difficoltà a trovare una panchina su cui accasarsi? 

9: febbraio, il giorno in cui ci giochiamo la semifinale di ritorno con la Juve. Per quanto la Coppa Italia sia una competizione tutto sommato ridicola, mai come quest’anno sento il bisogno di vincerla: il cammino che abbiamo affrontato, con Milan prima e Juve poi, rappresenta un ideale percorso di affermazione per far crescere, forse in maniera definitiva, l’autostima di questa squadra, che ha bisogno di vincere partite del genere. Credo di non affermare niente di strano se dico che quest’anno abbiamo già dimostrato di essere superiori ai ragazzi del maestro Pirlo, e che ciò sia emerso anche nella partita di martedì scorso, persa per il consueto sopruso dei signori con i vestiti fosforescenti e per un delirio di Samir. Quella di domani è una grande occasione per affermare questa superiorità: la situazione in chiave qualificazione è molto dura, ma fondamentalmente si tratta di andare a vincere laggiù, in quel posto dimenticato da Dio dove, non a caso, regna il caprone dalle aguzze corna.

E mi sento di dire che questa squadra è in grado di farlo, ed anche che l’occasione di riuscirci capita nel momento giusto.

Vade retro, Bafometto

10: i gol subiti dal Crotone nelle due gare a San Siro, per un totale di 50 pere incassate in 21 partite di campionato. Capire cosa porti Giovanni Stroppa a far giocare una banda di disperati come se fosse il Brasile di Telê Santana è uno degli esercizi che continuo a fare da mesi, un interessante viaggio nella psiche della nuova generazione di maestri del football italiano. Allenatori monotematici che al catenaccio hanno sostituito un tiki-taka pezzotto, fanatici del possesso basso nonostante sia eseguito da gang di zappatori, soppressione di qualsivoglia capacità di adattamento all’avversario in luogo della preservazione di una presunta identità da esibire fiera e intatta di fronte a chiunque, che si giochi contro il Real o contro la Pergolettese.

Quel che è peggio, poi, è ascoltare il modo in cui queste imprese vengono narrate: Ambrosini che loda la prestazione del Crotone di ieri, definendo “troppo pesante” il passivo subito, a fronte delle “belle cose” (ma quali?) fatte vedere nel primo tempo; Adani che qualche settimana fa ci ha raccontato che “il Sassuolo non perde mai”, perché anche quando il risultato non gli arride i ragazzi di De Zerbi mostrano un calcio “propositivo” (e peccato se poi, mentre perseguono la loro ricerca estetica, lo Spezia di turno riesca a batterli con due gol sporchi e qualche gomitata ben assestata). La tattica che diventa etica, il “difensivismo” come peccato mortale, il “calcio propositivo” come vessillo del Buono e del Giusto: qualcuno dirà che questo è il nuovo corso, che è la direzione in cui va il calcio mondiale. Per assimilare ed interpretare un nuovo corso, però, bisogna prima di tutto studiare, e non limitarsi a ripetere a macchinetta delle cose carine che si sono viste in tv qualche anno fa – eseguite, oltretutto, da alcuni dei più grandi giocatori che siano mai transitati su questo pianeta.

Per quanto mi riguarda, un bus piazzato bene, come quello dell’Udinese di Gotti, sarà sempre molto più preoccupante e complicato da affrontare rispetto a una serie di uscite basse di Chiriches e Ferrari; rimango convinto che agli allenatori servano capacità di adattamento e umiltà, piuttosto che credi visionari a cui non si può derogare.

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