Bauscia Cafè

Cosa resterà?

Sono tempi difficili, inutile nascondersi dietro un dito.
Leggevo ieri di come gli under 25 si annoino a tal punto da non poter sopportare un’intera partita di calcio, preferendole gli highlights: beh, ultimamente il sottoscritto farebbe a meno anche degli highlights, se l’interesse per il calcio fosse quasi esclusivamente connesso al livello di godibilità della singola partita, salvo rare eccezioni. Per fortuna resiste ancora la parte sanguigna dell’interismo, il tifo, quella stessa componente che martedì sera mi ha costretto a insultare una per una le mamme di tutti i componenti della squadra bianconera avversaria e anche quelle di qualcuno dei nostri (e me ne scuso, anzi no).

Il calendario ci dice che, arrivati all’11 febbraio 2021, all’Inter restano 17 partite di campionato per tentare di concludere questa stagione con una vittoria finale.
Per molti lo scudetto sarebbe un piccolo miracolo sportivo, considerando la delicata fase di transizione della proprietà e la necessità di compattare uno spogliatoio cui arrivano fin troppi spifferi, per altri invece sarebbe “moneta minima” dopo aver mancato una finale di coppa Italia a portata di mano e, soprattutto, dopo essere usciti dall’Europa che conta nel peggior modo possibile.

Ma come ha lavorato Antonio Conte sino ad ora?

Considerando i risultati ottenuti lo scorso anno e la situazione attuale, è chiaro che una lettura sbrigativa suggerirebbe un pollice verso nei confronti dell’allenatore pugliese: zero trofei – sfiorarli non conta, purtroppo – e, in attesa del risultato finale in Serie A, un suicidio europeo imperdonabile, data la qualità del girone da affrontare.
A caldo io stesso sono il primo a chiederne la testa, specie dopo delusioni come quella della semifinale di coppa Italia, non tanto per il risultato, quanto per quel sistematico approccio che pretende dalla squadra uno sforzo continuo e costantemente al limite dei giri massimi, senza alcuna possibilità di surplace: ecco quindi che quando i giocatori si appannano e quando i più stanchi son quelli che ti hanno trascinato per mesi, tutte le fragilità diventano se possibile ancor più nette ed evidenti, e questo è tanto più frustrante quando l’avversario è di quelli Da Battere.

Uno di noi?

È altresì vero che la squadra è ancora lassù a giocarsela per il titolo finale, e che probabilmente, analizzando con serenità e oggettività tutte le partite disputate finora, l’unico, vero match sbagliato in tutto e per tutto è quello di Champions League contro il Real Madrid a Milano. Nel calcio tuttavia parlano i risultati, e le coppe in tal senso han pronunciato anche quest’anno un verdetto inesorabile.

In campionato le prestazioni sono in linea con la competitività richiesta per lottare per il titolo, ma anche in questo caso è evidente come ci sia e ci sarà la necessità di tenere il motore sempre al massimo dei giri, vuoi perché il Milan sembra avvolto da un’aura di infallibilità mistica, vuoi perché la Juventus è comunque lì a pochi passi da noi e, nonostante evidenti difficoltà di gestione tattica, ha a disposizione una rosa più abituata a vincere e con maggior disponibilità di rotazione negli uomini.

In sintesi: Conte pretende un undici che dia sempre tutto, è nel suo DNA, e il campionato, di fatto, ci impone un comportamento simile perché la sensazione è che mollare il colpo possa farci perdere il treno che conta una volta per tutte.

Ma Conte è anche colui che ha reso Bastoni un top del ruolo e Hakimi una freccia quasi inarrestabile e tatticamente sempre più completa. twittalo

L’impressione è che Antonio Conte, vuoi per la cifra che incassa annualmente, vuoi per le aspettative che si porta(va?) dietro, vuoi anche per l’aver impostato da subito un discorso improntato sul vincere – che schifo non ci fa – goda di molto credito, e che gli si possa perdonare praticamente tutto.

Questo non significa che sia un pessimo allenatore o che la situazione attuale dipenda solo ed esclusivamente dal suo approccio tattico militare, ma che sia difficile capire, in un momento così delicato, quale sia il valore aggiunto di Conte sulla nostra panchina.

Personalmente preferisco allenatori con una mentalità più elastica e che sappiano leggere la partita meglio di quanto non faccia solitamente l’Antonio leccese, ma è altrettanto vero che quei 12 milioni sono legati non soltanto al palmares (che è buono, ma non eccezionale), quanto alla capacità del mister di attrarre giocatori di livello mondiale. Chi ci ha trascinati per mesi (il buon Romelu Lukaku), sta vivendo stagioni incredibili perché a sua volta trascinato dalla fiducia di chi lo ha voluto a tutti i costi in nerazzurro, e l’impressione è che l’intero spogliatoio sia coeso e compatto insieme all’allenatore, nonostante il vizio di fondo: una stagione nata sotto il segno dell’insofferenza, sapendo che non ci sarebbe stato mercato e che alla guida dei nostri siede un uomo capace di esplodere in qualsiasi momento, una bomba ad orologeria che, fino ad oggi, sembra essere ancora in grado di tenere saldamente in mano le redini di un gruppo che ha disperatamente bisogno di certezze per non perdere di vista l’unico obiettivo rimasto.

In questo senso non ho dubbi che Antonio Conte sia il più indicato di tutti per mantenere la barra dritta nella acqua in tempesta.
Se invece mi chiedeste di trattenerlo per una nuova stagione, vi direi di rifletterci bene, soprattutto se il sogno scudetto sfumasse.
Ma le alternative sono poche, i soldi ancora meno, e questo avrà un impatto enorme sulle decisioni future.
Teniamolo tutti bene a mente.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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