Bauscia Cafè

Senso filologico coerente

Sono combattuto tra l’impiegare tempo a interrogarmi sul perché, durante la stagione 2019/20, la Juventus abbia prodotto soltanto due grandi prestazioni e siano state entrambe contro di noi; e tra il considerare qualsiasi riflessione calcistica su quest’annata come superflua, priva di significato, ininfluente.

La grande domanda che tutti ci siamo già posti fino allo stremo è: 
ha senso questa roba a cui stiamo per assistere?

La piccola risposta che mi sono dato in questi mesi è:
no, vale quanto una Coppa Konami giocata online tra me e PeppogamerXX.

Poi però, nonostante le varie pagliacciate pre e post fischio d’inizio, insieme alle avveniristiche animazioni degli spalti regalateci dalla regia Rai e alle polemicucce sull’inno, insomma dopo tutta una serie di indizi disseminati qua e là appositamente per ricordarci – casomai ce ne stessimo dimenticando – che ci troviamo in un paese culturalmente devastato… dicevo, quando poi le partite sono iniziate, siamo tornati a vedere esattamente le stesse cose che vedevamo prima di tutta questa baraonda, ovvero:

  1. La Juventus che fa schifo, ma schifo che davvero sembra che ci si metta d’impegno;
  2. Il Milan che non ha nessuna motivazione valida per prendere parte a una manifestazione sportiva di qualsiasi genere;
  3. Il Napoli che con Gattuso ha riacquistato identità e umiltà;
  4. e infine, noi che giochiamo di nuovo, per l’ennesima volta, Italia-Marocco di Tre uomini e una gamba: partiamo bene, andiamo in vantaggio, manca poco facciamo il secondo, guarda come si muove quello, guarda com’è entrato bene quell’altro, guarda che bel tiro, che parata, che azione!,… meraviglioso, bello, bello, ma intanto com’è che vincono o passano sempre gli altri?

Ecco, rivedendo tutto ciò, sembra quasi che la continuazione di questa stagione, così distopica e apparentemente soggetta a esiti finali imprevedibili, abbia in realtà un senso filologico coerente con ciò che è accaduto prima della sua interruzione. Anche il modo in cui ci giravano i coglioni sabato sera, per dire, aveva un senso filologico coerente. Sulla chat degli autori di questo sito siamo stati tre mesi a dirci “non ce ne frega nulla di questa farsa”, “ripresa di che?? campionato di chi??”, “voi vedetevi pure le partite, io me ne sto in soggiorno a leggere Marco Aurelio mentre sorseggio del brandy”. Poi, apri whatsapp domenica a pranzo: 1351 messaggi, gente che si sbudella in diretta, riti di magia nera verso giocatori allenatore e dirigenza, violenze domestiche, financo cambi di sesso. 

Quindi, abbiamo barato. Ammettiamolo. Nonostante gli spalti vuoti, i giocatori che non possono esultare e le animazioni col pataccone “Coca Cola” che troneggia, forse stiamo lentamente ritornando in una dimensione nella quale il calcio conta qualcosa, in cui il risultato di una partita può influenzare il morale di una serata e di una nottata, in cui le chat di whatsapp non sono più inondate di analisi di curve, picchi e plateau, ma di ponderosissime riflessioni sull’efficacia della difesa a 3 e di roboanti bestemmie su Candreva. E direi che è un bene, senz’altro, per quanto anche questi ultimi argomenti siano senza dubbio penosi. E rimarrà un bene anche nel caso in cui questo pot-pourri che ci attende decidesse di avere davvero un senso filologico coerente, condannandoci così a serate di sangue amaro anche durante l’estate, quando di solito, invece, è indetta una salubre tregua. 

Quindi, alla luce di queste attente riflessioni, deduco che abbia effettivamente (un po’) di senso interrogarmi sul perché le uniche volte che la Juve ha giocato decentemente lo ha fatto contro di noi. Come si spiega questa storia? Comincio ad avere paura che – detto in termini strettamente tecnici – questa squadra si cachi sotto quando la posta in palio è alta. Il punto, però, è che si caca sotto in una maniera del tutto nuova, innovativa. Se tradizionalmente, quando ce la si fa addosso, si entra in campo molli e spaesati, cadendo subito preda dei più convinti e maturi avversari, questa Inter si è invece proposta di rivoluzionare le modalità dell’ansia da prestazione: parte a tremila all’ora, detta i tempi della partita sorprendendo i rivali e anche i propri tifosi, va in vantaggio, macina gioco, e poi… si sgonfia all’improvviso, apparentemente senza un perché. E spesso non lo fa nemmeno per larghi tratti, ma per 10-15 minuti, durante i quali vengono a galla le magagne che ci portiamo dietro da mesi, o da anni, tutte insieme, mentre gli avversari capitalizzano senza indugio tutto quel che creano. Trascorso il periodo di bambola, la squadra ricomincia a giocare, ma ormai è troppo tardi, il tempo stringe, gli altri gestiscono con più tranquillità, e la colossale palla-gol che puntualmente riusciamo comunque a creare finisce, altrettanto puntualmente, alle ortiche. 

E così, la gara termina e ci girano i coglioni in un modo che non riusciamo nemmeno a identificare. È un giramento nuovo, una frontiera inesplorata, che ci spiazza nel profondo: c’è tutto un codice prestabilito per affrontare il fallimento da big match, fatto di “con questo approccio non si va da nessuna parte”, “non puoi regalare sempre il primo tempo”, “è un demente, ha sbagliato tutto!”, eccetera eccetera, che però ora non è possibile applicare. Ci ritroviamo a pensare “abbiamo giocato bene, a tratti benissimo”, e poi “sì, ma abbiamo perso”, “resta il fatto che abbiamo dominato”, “sì, ma siamo fuori”. Si sono presentati dieci momenti in cui avremmo potuto vincere, ma si è concretizzato l’unico in cui potevamo perdere.
Con una confusione simile nell’aria, è quindi inevitabile che si originino discussioni infinite che durano fino alle sei di mattina, dei veri e propri after in cui il rilascio di serotonine è garantito non dalle consuete pasticchette ma dal tarlo che ha cominciato a roderci dentro quando i 3 dietro hanno sbagliato disposizione su un calcio d’angolo a favore, o quando i 2 davanti si sono incocciati tra loro inceppandosi a vicenda la conclusione. 

“Sì, ma quindi ce lo dici o no perché la Juve fa schifo con tutti e contro di noi sembra l’Olanda del ’74?”.

Non lo so. Non ne ho idea.

Questo perché non è che mi interessi tanto la ripresa del campionato. 

Giuro.

Io domenica leggo Marco Aurelio.

In soggiorno.

Con del brandy.

“Prendi senza orgoglio, rinunzia senza difficol… aspè, quanto sta Torino-Parma?”

Grappa

Acquavite ottenuta dalla distillazione della vinaccia, dal contenuto alcolico non inferiore a 37,5% in volume. Molto in voga fra gli screanzati d'ogni genere.

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