1) Il senso di appartenenza. Può sembrare una cosa scontata in una squadra come l’Inter ma senso di appartenenza non vuol dire solo dare il 100% in campo per questi colori: significa difenderli anche fuori dal rettangolo di gioco, significa rifiutare offerte economicamente più vantaggiose per continuare a giocare a San Siro, significa non vincolare il rientro in squadra a trattative tramite avvocati (ops).
Zanetti, Cambiasso, Materazzi, Toldo, Cordoba, Samuel, Stankovic e potrei scriverne molti altri: tutti giocatori che nel 2010 erano lì da molti anni, avendo subìto anche delle sconfitte dolorose con la sensazione sgradevole di aver combattuto contro un sistema più grande degli 11 avversari di campo. Sono rimasti, hanno pianto per la disperazione, hanno visto le tribune e la curva fischiare la squadra nei momenti più duri ma sono stati disposti a restare fino a fine carriera anche a rischio di non vincere niente. Per questo vederli poi piangere di gioia dopo gli scudetti, indossare le maglie storiche di Facchetti o le t-shirt di sfottò contro i rivali storici aveva un valore inestimabile: loro eravamo noi, soffrivamo e gioivamo insieme. Comunque andasse sapevamo che stavano dando tutto per i nostri colori.
2) La fame di vittorie. In un certo senso si lega al punto precedente: gli eroi del Triplete che già c’erano prima dell’arrivo di Mou non avevano mai mollato e continuavano a lavorare per raggiungere l’obiettivo anche se lo vedevano allontanarsi a pochi metri dal traguardo (5 maggio e semifinale di Champions col Milan per dirne due). E anche nel 2009-2010 le difficoltà non sono mancate, con momenti di flessione in campionato verso febbraio – marzo o punti persi mentre la Roma macinava vittorie. Anche grazie a Mou, sempre capace di toccare le corde giuste dei calciatori, mai neanche per un momento hanno smesso di correre o di pensare che la prossima montagna, per quanto alta, non fosse scalabile (basti pensare alla resistenza eroica in 10 al Camp Nou).
Il collettivo aveva già un’età media avanzata e anche per questo aveva la sensazione che certi treni non sarebbero più ripassati. Ma anche i singoli giocatori avevano sempre dimostrato di mettercela tutta per vincere: Zanetti che si allenava il giorno del matrimonio, Samuel che in un derby del 2007 si rialzava per contrastare Kakà anche se gli erano saltati i legamenti del ginocchio, Cambiasso che non voleva perdere neanche una partita a carte, Materazzi che era pronto a sputare sangue anche solo giocando i 5 minuti finali delle partite.
Se i giocatori di oggi prendessero spunto da quei campioni, anche solo nell’atteggiamento nei 90 minuti, sono sicuro che molti punti che abbiamo perso per strada questi anni li avremmo portati spesso a casa.
3) L’esperienza. Questa,per citare la parole di Don Abbondio riguardo al coraggio, o ce l’hai o non te la puoi dare. Quindi da una parte deve essere la società a scegliere giocatori esperti da inserire (e con giocatori come Godin la strada intrapresa era sembrata quella giusta) ma dall’altra i giocatori stessi, come detto prima, devono essere disposti a rimanere per un po’ di anni all’Inter facendosi le ossa e imparando molto da chi è più anziano: la speranza è che giovani come Skriniar, Bastoni e Barella siano disposti a farlo, con pazienza e costanza.
Esperienza significa saper quando frenare e quando accelerare, significa capire quando alcune partite vanno vinte anche a costo di rischiare la sconfitta (Kiev, Siena in casa etc), significa sapere gestire il vantaggio, significa scendere in campo nei big match con la consapevolezza che battere l’avversario conta più dei 3 punti in classifica.
E qui arriviamo ad un punto dolente di questa stagione: diventa difficile vincere un campionato se non gestisci il vantaggio contro un Lecce o un Sassuolo e se perdi gli scontri diretti con la prima e la seconda in classifica. Nel 2010, tolte le sconfitte a Roma e a Torino contro una Juventus che arrivò comunque settima, nei big match raramente non abbiamo portato a casa la vittoria (Barcellona fu una sconfitta – vittoria): Kiev, Rubin Kazan, Chelsea, Barcellona, Bayern, Juventus in casa, Milan etc etc. Quando dovevamo vincere lo facevamo punto e basta.
Va bene fare tanti punti contro le cosiddette piccole come nella prima parte di quest’anno, ma se non batti le rivali dirette o se non vinci l’ultima gara dei giorni di Champions per due anni di fila, diventa difficile arrivare al traguardo.
Siamo ripartiti. E la prossima tappa è dietro l'angolo. twittalo4) Mentalità da vincenti. In un certo senso questo punto è la prosecuzione del precedente. La mentalità vincente la costruisci negli anni, alzando i trofei e capendo quali sono i punti di svolta della stagione che non puoi proprio sbagliare. Abbiamo tutti in mente Samuel Eto’o, uno capace di vincere 3 Champions e due triplete consecutivi. Uno così non ti porta solo gol, ma ti porta un approccio prima e durante la partita mai più visto neanche lontanamente ancora oggi a distanza di un decennio. Per il bene della squadra faceva il terzino all’occorrenza e senza mai lamentarsi, pur avendo avuto ancora nelle corde tanti gol come avrebbe dimostrato l’anno dopo.
I suoi compagni raccontano spesso che prima di scendere in campo al Bernabeu Mou lasciò la parola al Re Leone che in poche parole fece capire ai compagni che dovevano dare tutto e portare a casa la vittoria, non c’erano alternative arrivati fin lì.
Ecco, di Eto’o ce n’è uno solo. Ma un giocatore con una mentalità simile alla sua serve sempre in una squadra che voglia vincere. Non bastano attaccanti che facciano tanti gol o difensori che sappiano proteggere la porta e impostare: ci vuole la mentalità vincente e quella non la si ottiene senza impegno e disponibilità al sacrificio.
5) Le sostituzioni. Un ultimo punto riguarda secondo me l’apporto che deve dare chi subentra dalla panchina, tanto più in questo momento in cui sono consentiti 5 cambi. Quest’anno l’unico gol arrivato dalla panchina è stato quello di Bastoni a Lecce: diventa difficile ribaltare le partite che si mettono male se chi subentra si limita al compitino.
Nel 2010 il mix tra le intuizioni di Mou e l’impegno profuso dai subentranti ci portò in dote tanti punti (con l’eccezione di Muntari a Catania): non parlo solo banalmente della classe di Balotelli ma anche di tanti piccoli indizi che poi messi insieme a fine anno ti cambiano la storia. Meteore come Stevanovic e Arnautovic che mettono il piede nel gol di Samuel col Siena, Muntari terzino a Kiev che propizia il gol di Sneijder o ancora il gambone di Mariga che al Campo Nou ferma Jeffren facendoci guadagnare secondi preziosi.
Ogni giocatore che indossa i nostri colori deve dare il 100% sia che giochi dall’inizio sia che entri in campo per un minuto: se il mister ha scelto lui forse vuol dire che merita di scendere in campo per l’Inter e non è una cosa da tutti, ma se non ti impegni al massimo cercando di segnare o di far segnare allora tradisci la fiducia non solo di chi ti ha scelto ma anche dei tifosi che ti supportano sempre nel bene e nel male.
Questi sono i primi 5 punti che mi sono venuti in mente pensando a cosa l’Inter attuale dovrebbe prendere dallo squadrone del 2010 per sperare di tornare a vincere.
Ovviamente la classe di quei giocatori, quel mix tra giovani di belle speranze e ultra trentenni affamati non sarà ripetibile ma quella stagione in Italia l’abbiamo fatta solo noi e deve essere un esempio per tutti quelli che indosseranno i nostri colori nei decenni a seguire: è con impegno, costanza, disponibilità al sacrificio e fame di vittorie che si alzano i trofei. Il talento è fondamentale ma non basta.