Bauscia Cafè
Romelu Lukaku e Lautaro Martinez esultano dopo un gol al Napoli

La Metamorfosi

Èil 20 Aprile 2019 quando al Meazza sta per iniziare Inter-Roma, 33esima giornata di Serie A. L’Inter sta chiudendo il campionato in chiaroscuro: vittorie scontate contro  SPAL, Frosinone e Milan, ma due match-point per la qualificazione in Champions già buttati via con Atalanta e Lazio. Ancora non è chiaro se la volata finale sarà con il Napoli per il secondo posto o piuttosto verso il basso, per un vitale piazzamento in Champions League.

Fino al giorno prima la classifica sembrava delineata: Napoli 67, Inter 60. Poi, staccate, Milan 55, Roma 54, Atalanta 53, Lazio 52. Con sei partite ancora da giocare era chiaro come ogni discorso fosse ancora aperto, ma quella 33esima giornata aveva riservato molte sorprese: il Milan si era fermato a Parma, la Lazio aveva perso con il Chievo, l’Atalanta aveva vinto a Napoli. L’Inter aveva quindi l’occasione, battendo la Roma a San Siro, di staccare il gruppone per il quarto posto e avviarsi a un piazzamento in Champions tranquillo, magari addirittura giocandosi il secondo posto con il Napoli.

E invece.

Inter-Roma finì 1-1, ma non è tanto il risultato il punto quanto, piuttosto, l’ineluttabile certezza che avevamo tutti quel giorno sul fatto che non avremmo portato a casa i 3 punti. Perché?

In quei giorni mi permettevo di rispondere a questa domanda in un post intitolato Novacula Occami: perché quella squadra era, semplicemente, limitata e incapace di andare oltre quello che già aveva fatto.

Perché sento il bisogno di riproporvi questa angoscia proprio oggi? Perché la partita di lunedì contro il Napoli mi ha fatto tornare in mente proprio quel fine settimana lì e quel tipo di psicodrammi ai quali eravamo così abituati da arrivare a darli per scontati, ineluttabili.

Pensateci, c’era tutto in questa giornata: non sconfitte delle dirette concorrenti ma, al contrario, segnali chiari e inequivocabili che avevano portato alle stelle la pressione sulla nostra partita.

C’era la Lazio che aveva vinto per l’ennesima volta al 98esimo (a proposito, la smetteranno prima o poi?), c’era la Juventus che aveva passeggiato contro l’avversario sdraiato di turno, c’erano i media che da un lato glorificavano CR7 (chissà se l’ha vista, poi, la nostra partita) e dall’altro magnificavano la grandezza di “noi della Juventus”, c’erano arbitri in grande spolvero qua e là per l’Italia, c’erano operazioni di mercato molto evocative (bentornato a Genova, Perin). E c’era, poi, l’Inter che sarebbe dovuta scendere in campo in uno dei palcoscenici più difficili della Serie A, contro un avversario temibile, in ripresa, e storica bestia nera. Su un campo in cui l’ultima vittoria era arrivata il 18 ottobre 1997. Era tutto pronto per uno psicodramma annunciato.

E invece.

E invece l’Inter scende in campo con un piglio da grandissima e mette in fila 35 minuti che non ammettono repliche: Lukaku solo davanti a Meret, poi Lukaku e Lautaro in contropiede per lo 0-1, di nuovo Meret su Lautaro, e ancora Lukaku con una violenza indecente per lo 0-2. Poi un calo di tensione, evidente, ma comunque una partita portata a casa senza patemi, con un 1-3 che non lascia spazio a troppe parole se non a quelle inutili e incoerenti di qualche opinionista in affanno.

Ma, esattamente come lo scorso aprile, non è tanto il risultato il punto quanto l’approccio che tutti noi -e non parlo solo di chi è sceso in campo- abbiamo avuto alla gara. Scrollandoci di dosso quell’aria da tragedia annunciata: con tensione, sì, con preoccupazione in alcuni casi, ma di sicuro con la coscienza che la partita sarebbe stata aperta e che -diamine- i 3 punti non erano solo un sogno ad occhi aperti.

E’ questa la metamorfosi che stiamo vivendo, la calma riflessione che prende il posto delle decisioni disperate.

E’ questa la differenza che mi auguravo di vedere nove mesi fa, il salto che ci avrebbe dovuto portare dal tanto -troppo- atteso anno zero all’anno uno che -speriamo- si sta compiendo. E’ questo il miracolo cui assistiamo in questi mesi, dopo quasi un decennio di attesa.

Durante la presentazione Conte disse impropriamente “no more pazza“, ma è mai stato quello il nostro problema: non la pazzia, tratto caratteristico della nostra storia in positivo molto più che in negativo, quanto il senso di inadeguatezza, la rassegnazione al peggio, la psicopatologia che ci portavamo dietro e ci faceva tendere a una ineluttabile sconfitta. E’ questo che stiamo scacciando, lentamente e faticosamente, ed è su questo che dobbiamo continuare a lavorare. E badate bene, non c’entra nulla se alla fine arriveremo a vincere o no, a superare un turno in Coppa o a venirne eliminati: non è questo il punto, non ancora, non oggi.

Essere in condizione di giocare con i nostri mezzi, di impostare il nostro calcio, di seguire le nostre idee e le nostre caratteristiche. E' questo il punto. twittalo

Andare a Napoli con Lautaro e Lukaku contro Manolas e Di Lorenzo e costringerli a non sbagliare mai, pena vedere ogni errore trasformato in gol. Come è giusto che sia. E’ tutta qui la differenza fra lunedì sera e quando invece lo stesso Di Lorenzo, Pajac e Farias ci mettevano sotto a San Siro, costringendoci ad affidarci a San D’Ambrosio e a una traversa per non vedere infranto all’ultima giornata il sogno di una partita in Champions League.

E’ tutta qui la differenza fra l’anno zero e l’anno uno, fra il far girare le gambe come devono e tenerle piantate al suolo, fra il dominare le proprie forze e l’essere dominati dalle proprie paure. E’ tutto qui il percorso di questi nove mesi.

Un percorso che abbiamo appena iniziato e che dobbiamo continuare a portare avanti come fatto fino ad oggi. Perché non abbiamo ancora ottenuto nulla.

Ma la strada, finalmente, sembra quella giusta.

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

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