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La croce di Simone

Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.” (Marco 15, 21). Ad essere onesti, a guardare le immagini pubblicate sul sito ufficiale della nostra squadra, il nuovo “head coach” Simone (nomen omen) sembra proprio “un tale che passava”. Sguardo fisso verso un orizzonte lontano dalla nostra prospettiva, profilo scontornato alla bell’e meglio, volto gonfio come da insuperabili preoccupazioni o da difficoltosa digestione del pranzo domenicale: Simone è, ormai nell’immaginario del tifoso interista, quel tale che passava di lì ed è stato costretto a portare la croce. Da bambino mi aveva incuriosito la storia di questo eroe inatteso, Simone di Cirene, che per caso o per fortuna si era trovato a passare dal Calvario proprio nel momento in cui c’era da portare la croce di Cristo, e così, che fosse stato per obtorto collo, per compassione o, banalmente, per essersi trovato nel posto sbagliato al momento giusto, si era guadagnato il paradiso.

Costrinsero un tale che passava…

Simone Inzaghi non ha la faccia fiera dell’eroe, non il carisma dell’uomo solo al comando, né il physique du rôle del condottiero. Ma allora perché è stato scelto come guida tecnica della squadra fresca campione d’Italia? Semplice: perché ha sposato il progetto Inter.

Il presidente Steven Zhang, in una recentissima intervista, ha rilasciato una serie di dichiarazioni volte a chiarire scelte passate e programmi futuri. A onor del vero, poche nubi sono state spazzate ed ancor meno dubbi fugati, con il tifoso interista che oscilla vorticosamente tra il nero pessimismo dello smantellamento e la flebile speranza dei rinnovi dei top player. Ma c’è un aspetto su cui il presidente è stato chiaro: Antonio Conte è andato via perché manifestava esigenze diverse dal Club, Simone Inzaghi è stato scelto perché ha mostrato di essere in sintonia con la proprietà. Certo, si possono discutere esigenze, strategie e motivazioni della società. Soprattutto se le esigenze sembrano un chiaro ridimensionamento delle ambizioni, se le strategie deludono le speranze del tifoso appassionato, se le motivazioni riguardano bilanci da far quadrare che nulla hanno a che fare con l’amore per la maglia. Ma non dovremmo discutere Simone Inzaghi, non prima di vederlo all’opera. Simone Inzaghi è, in questo momento, la guida tecnica che meglio aderisce alle esigenze della Società, che ne condivide le strategie e che ne appoggia le motivazioni. Simone è in perfetta continuità tecnica con il progetto abbandonato da Antonio Conte (ne ha già parlato qui Il_Casa ). Inoltre, è più aziendalista di Maurizio Sarri, più umile di Massimiliano Allegri, più concreto di Luciano Spalletti, più vincente di Stefano Pioli, Giampiero Gasperini e Gennaro Gattuso (ometto, volontariamente e per ragioni di cuore, José Mourinho).

Insomma, Simone Inzaghi è stato scelto consapevolmente per le sue idee tattiche, perché ambizioso e pragmatico, perché ha sposato pienamente il progetto. Un progetto a lungo termine, che dovrebbe portarlo, nelle speranze della proprietà, dello stesso allenatore e di una minoranza del tifo nerazzurro, a fare il salto di qualità.

Marotta parla di seconda stella, Zhang di confermarsi in Champions League: se le vittorie si costruiscono su società coese, il tifoso interista ha ragione di essere dubbioso
Il salto di qualità di Simone Inzaghi coinciderebbe con la seconda stella, il ventesimo scudetto, la conferma di un gruppo vincente e solido. Dovremmo sostenere tutti le sue ambizioni. twittalo

Questo a dispetto delle sei o sette pretendenti allo scudetto sbandierate dall’apparentemente ingenuo presidente Zhang, la cui comunicazione sembra troppo spesso talmente maldestra da destare sospetti di volontarietà. Sposare il progetto significa, in quest’anno preannunciato, se non come una via crucis, comunque come un cammino accidentato, acconsentire a portare la croce. E Simone è uno che di croci se ne intende, essendone stato il portatore designato da Claudio Lotito per oltre cinque anni. Ma, tra flagellazioni e pianti in conferenza stampa, cadute a terra ed ammissioni d’inferiorità, la carriera di Simone Inzaghi da allenatore della Lazio può vantare la vittoria di una Coppa Italia e, due volte, della Supercoppa Italiana. Si parla di un allenatore che, in una situazione di perenne sofferenza economica, contestazione societaria, rosa deficitaria, è riuscito a tramutare l’acqua in vino, vale a dire i Marusic in centrocampisti affidabili, gli Immobile in cecchini infallibili (Scarpa d’Oro 2020), i Caicedo in rincalzi di lusso ed i Correa in gemme da mercato.

E forse il problema è proprio questo. Non si percepisce l’ambizione, la fame, la carriera in ascesa; si vede la certificazione del ridimensionamento, l’accettazione della sofferenza, l’ammissione della possibilità di un piazzamento, non di una vittoria. Il tifoso più cauto vede in Simone Inzaghi la remota possibilità di riscatto, facendo leva su una squadra competitiva e vincente (al netto delle cessioni ancora da certificare). Il tifoso più pessimista, che a dargli torto in questi giorni si fa una fatica bestiale, lo vede già lapidato prima di Natale. Io spero nella buona stella del Cireneo. Spero che Simone Inzaghi si confermi uno dei pochi, nella storia nerazzurra, a riuscire a portare la croce fino in cima, senza per forza finirci inchiodato.

Jack32

Di padre juventino e madre milanista, nel 1998 diventa interista per un innato senso di giustizia sociale, per un complesso di Edipo irrisolto, o per banale confusione mentale. Da allora infatti vaga alla ricerca di sé stesso, unico punto di riferimento esistenziale il nerazzurro. Come il Chino Recoba, che secondo el hombre vertical sapeva solo quello che non è. O come Balto, il cane.

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