Dopo il raduno di Villa Bellini i sudditi si rendono conto di come del visConte fosse tornata solo la parte buona che si sbizzarrisce in frasi concilianti e scelte un tempo impensabili come mettere Perisic seconda punta. Altre sue prodezze, come insegnare a Barella a non farsi ammonire e a Handanovic a buttarsi ad ogni tiro avversario, gli valgono il soprannome di “il Buono”.
Anche il Buono, da sempre innamorato di Tricolore, crea di fatto altri danni o situazioni imbarazzanti (come Kolarov in marcatura su Ibra o Erisken inserito negli ultimi 5 minuti di gara) che vanno ad aggiungersi alle vessazioni del Gramo e portano la gente longobarda a vivere disorientata fra le imprese dell’una e dell’altra delle due metà. Tricolore, dopo un inizio di stagione travagliato, sembra ancora una volta rifiutare il pretendente e accettare le lusinghe di un uomo di Torino alle prime armi detto il Pirlo.
Gramo discute con il padre della ragazza, Steven, del piano architettato per prendersi Tricolore: anche facendola sposare con l’altra metà, di fronte alla legge avrebbe comunque sposato la contadinella, quindi anche lui. Il Buono, invece, afferma col padre di lei di voler lasciare la città, permettendo al Gramo di sposare liberamente la giovane. Tricolore, però, incontra ambedue le metà del visConte e rassicura entrambi sulla buona riuscita del matrimonio solo qualora i due tornassero a far parte della stessa persona.
Arrivato il giorno del duello a Torino contro il Pirlo, il Buono e il Gramo sono entrambi sicuri del successo della propria idea. Il primo ad arrivare al sagrato dello Stadium è il Buono, che prende subìto gol in fuorigioco. Il Gramo lo raggiunge poco dopo, scoprendo di avere effettivamente un rivale, lo sfida a duello all’intervallo, e dopo una serie di finte e colpi mancati, entrambe le metà tagliano le bende e le cuciture dell’altra. Il dottor Volpi, che presumibilmente aspettava quest’eventualità, riesce quindi a riunire le due metà riformando il visConte Antonio, che riesce a rimontare la partita nella tana di Pirlo e a fine partita sbotta lamentandosi per le scelte fatte dalla dirigenza durante l’anno. Infine sposa Tricolore nella cattedrale di San Siro.
La morale del racconto, liberamente ispirato al Visconte dimezzato di Calvino, è che vorremmo vedere una via di mezzo tra il Conte che l’anno scorso se la prendeva con tutti (a Dortmund, Bergamo e Colonia per dirne alcune) e quello di adesso che dopo ogni pareggio o sconfitta parla di maturità e bel gioco come se la vittoria fosse una conseguenza eventuale dell’organizzazione in campo e non l’obiettivo primario dopo dieci anni di digiuno. Siamo sicuri che negli spogliatoi sia il solito martello pneumatico conosciuto per tutta la sua carriera ma l’impressione che si ha dalle sue interviste è che dopo Villa Bellini abbia, almeno davanti alle telecamere, cambiato pesantemente atteggiamenti mostrandosi soddisfatto laddove l’anno scorso non lo sarebbe stato (per usare un eufemismo). Né troppo irascibile né troppo accondiscendente: per tornare a vincere abbiamo bisogno di un condottiero che segua una sapiente via di mezzo strigliando chi non dà tutto in campo e difendendo la squadra dagli attacchi esterni.