Bauscia Cafè

Unire i puntini

Mentre voi continuate a fare le pulci a Conte ed a Eriksen, a me è venuto un flash confuso in cui il leccese e Nagelsmann stanno traghettando il calcio verso un mondo dove il “moneyball” di Liverpool, Lipsia e altri diventerà imprescindibile, perché il loro calcio fa scivolare il pallone più verso la palla ovale del football americano che non verso il calcio dominato dai Messi e dai CR7.

Ne potrebbe venir fuori un bel pezzo se solo ci capissi qualcosa, e poiché ho fatto l’errore di dire ad alta voce questa frase mentre i tiranni di Bauscia Cafè ascoltavano, eccomi qua a fare la cosa che so fare meglio: unire i puntini per creare ipotesi da studiare e verificare. Poi magari si rivelano cagate alla prova dei fatti, ma a quel punto voi farete finta di niente e chiuderete il pezzo fischiettando.

Ora spiego, per punti (anzi, puntini) il ragionamento. twittalo
Praticamente faccio questo. Lo so, è facile, infatti mica ho mai detto che ci voglia un granché.

La base di partenza, o se volete il puntino n.1, è che finora le difese a tre non hanno avuto successo a livello europeo, e notoriamente (vabbè, notoriamente nel mio condominio, diciamo), sono uno di quelli che dicono che non è adatta a quel contesto di competizione. Ma i fatti son fatti, e ora, puntino n.2 abbiamo visto – seppur in una stagione che tutto è stata fuorché normale – la conferma di un trend che si era già intravisto: due delle otto squadre che hanno raggiunto la semifinale delle due maggiori competizioni europee per club, giocano così. Una è arrivata in finale, e purtroppo i puntini si sono fermati lì su quell’autogol scalognatissimo di Lukaku e su una pessima lettura della gara da parte del nostro allenatore. Però questo fa parte dell’alchimia del calcio e dei fattori di imprevedibilità che sempre ci saranno nei 90 minuti, e che rimangono proprio per questo motivo il fattore di maggior attrazione di questo sport, dove i punteggi bassi possono regalare sempre una Nocerina che batta il Real, seppur magari una volta ogni mille gare. Il discorso invece va in una direzione che esce dalla contingenza della gara singola.

Una delle spiegazioni date riguardo allo scarso successo in ambito europeo dei moduli tattici basati sui tre difensori centrali è che, puntino n.3, essendo poche per ora le squadre di alto livello che giocano in quel modo, i risultati siano per forza statisticamente limitati. D’altro canto, chi pensa che invece questo modulo non si adatti particolarmente bene a questo tipo di competizione, dice che il motivo è proprio quello: gli allenatori migliori non scelgono quel modulo perché meno adatto a vincere una competizione come la Champions League. Per avere una prova bisognerebbe prendere quella dozzina di top club e costringere la metà di loro a giocare a tre dietro, cosa evidentemente impossibile. Bisogna quindi basarsi su quel che vediamo: rimanendo alle edizioni concluse ad agosto di CL e EL, e limitandoci dai quarti in poi, abbiamo visto l’Inter, il Lipsia l’Atalanta, il Wolverhampton, il Lione (e il City, ma solo per un tempo, il primo proprio contro l’Olympique di Garcia, quello che probabilmente gli è costato la qualificazione alla semifinale), e insomma siamo già a 5 su 16, sicuramente più di ogni altra edizione degli anni scorsi.

Quindi, siamo di fronte a una tendenza. E quando c’è una tendenza, di solito c’è un motivo preciso che l’ha generata.

Nell’immagine, il momento in cui la tendenza avrebbe potuto trasformarsi in un trofeo vinto. Purtroppo, non è successo.
Prendendo spunto da un eccellente commento su Twitter di cui non trovo più l'autore e me ne scuso sinceramente, la mia idea è che l'impianto tattico della difesa a tre richieda giocatori molto più specializzati rispetto ad altri moduli. twittalo

Perché più specializzati? Perché il gioco è più, molto più, codificato in movimenti e compiti. Basta guardare l’Inter, che vediamo da un anno e mezzo quasi, guardate il Lipsia, guardate in parte anche l’Atalanta, naturalmente, e vedrete che c’è un lavoro simile lì. Lungi da me affermare che nei moduli a quattro non ci sia una codifica precisa di comiti e movimenti, perché sarebbe assurdo affermarlo: Tuchel e Klopp, per non dire poi di Guardiola, hanno un gioco molto basato su schemi e compiti codificati. Quel che voglio dire è che i moduli a quattro danno più elasticità agli interpreti e a chi li mette in campo.

In ogni caso, e qui arriviamo al nocciolo della questione, puntino n.4, i moduli a tre e a quattro che cercano una codifica di movimenti per sviluppare il gioco in campo, inevitabilmente portano con sé una conseguenza immediata: la scelta del giocatore da acquistare passa attraverso un’analisi specifica non più delle sue caratteristiche tecniche ma dalle sue prestazioni in determinati momenti o atti del gioco.

Nagelsmann, Tuchel e soprattutto il Liverpool (ma ora anche il Chelsea) e molti altri stanno facendo un uso estensivo di quel che qui per comodità chiamerò “Moneyball“, ma che dietro ha un lavoro scientifico mostruoso: per chi ha dimestichezza con l’inglese, l’articolo del New York Times sul Liverpool rimane fondamentale per capire questo cosa vuol dire e che impatto abbia sull’organizzazione di un club, senza contare l’investimento necessario da parte della proprietà.

Gli schemi ripetitivi della difesa a tre spostano il calcio un po’ più (poco, ma lo fanno) verso il football americano: più schemi, più codici, più complessità, più specializzazione dei compiti e delle caratteristiche di ogni giocatore. In sole due parole: più dati.

Ed ecco qua, puntino n.5, l’utilità di uno sviluppo e dell’utilizzo estensivo del “Moneyball“: chi lo usa può estrapolare i dati necessari per trovare giocatori specializzati, non necessariamente più forti in assoluto di altri, ma che sono i migliori per quel gioco. Perché, molto banalmente, fanno meglio degli altri quel movimento o quel fondamentale che è necessario al buon successo della squadra che gioca in quel modo. Al fin della fiera, perché si usa un modulo o una tattica? Estremizzando e usando un’iperbole, semplicemente per sopperire al fatto banale di non avere in squadra Messi o CR7. Ecco che, quindi, nasce la tattica e con essa i giocatori più adatti all’una o all’altra.

Nella foto, una rara immagine del momento in cui Antonio Conte ha chiesto all’analista nerazzurro “ma che cazzo di dati hai guardato quando hai preso Eriksen?”

In molti addetti ai lavori tra coloro che studiano l’aspetto teorico del calcio e che sono del mestiere (e tra loro un buon numero di scout nazionali e internazionali) ritiene che il calcio sia circa 15-20 anni indietro rispetto a molti altri sport su queste tematiche. Molti di loro, già anni fa, avevano predetto che il primo che avrebbe abbracciato questo approccio più analitico rispetto a quello tradizionale, avrebbe avuto un vantaggio clamoroso rispetto agli altri. La mia riflessione generale, a chiusura del ragionamento e ultimo puntino, è che la difesa a tre versione “2.0”, quella basata su quei principi di gioco che soprattutto Conte, Gasperini e Nagelsmann stanno cercando di sviluppare ognuno per la sua linea tattica, usa degli accorgimenti diversi (non dico migliori, solo diversi) rispetto ad altri.

Questo, nel breve periodo, dà un certo vantaggio competitivo, un po’ come successe agli olandesi negli anni ’70 quando erano gli unici a giocare in un certo modo. Che questo possa diventare un trend generale mi pare presto per dirlo, ma di certo è già una corrente calcistica: anche in realtà minori fuori dai top club possiamo vedere un aumento del numero di allenatori che schierano la squadra con tre difensori centrali, e anche in campionati tradizionalmente refrattari a questo tipo di tattica: esempio freschissimo il Vitesse capolista insieme all’Ajax in Olanda, guidato dal tedesco Letsch, guarda caso col passato nel Salisburgo del progetto Red Bull.

Detto questo, più o meno basato su dati, veniamo all’Inter, ma forse in generale a molto del calcio italiano e della sua refrattarietà per le novità: come si sa non c’è ambiente più conservatore del calcio, in un Paese già estremamente conservatore di suo. Secondo me, e sottolineo che questo è un parere personale basato sul niente che non sia la mia sensazione, in Italia accumuleremo un ritardo gigantesco: tra tifosi, siamo ancora qua a massacrare i De Zerbi che cercano di “guardiolare”, quando non “guardiola” più neanche Pep; figurarsi se mi aspetto di vedere non dico le squadre di metà classifica, ma neanche i top club italiani assumere ricercatori in matematica e fisica dalla Normale di Pisa per fargli creare modelli e usare i dati, come ha fatto il Liverpool.

Per cui, mentre oggi la difesa a tre di Conte funziona principalmente perché lui è bravo e i giocatori sono più o meno adatti, tranne i danesi, tra non molto avremo una serie di piccoli Nagelsmann che faranno la difesa a tre non meglio di Conte, ma otterranno risultati perché attraverso il Moneyball prenderanno esattamente il giocatore migliore per quel compito, che alla prova dei fatti farà poi meglio del Godin adattato, per quanto l’uruguagio sia stato fenomenale nel mutare stile di gioco (ma perché, per l’appunto, lui è un fuoriclasse e i fuoriclasse non avrai mai bisogno o quasi di un sistema analitico per farli funzionare nel tuo sistema di gioco). Spero che si sia compreso quel che voglio dire, i nomi sono fatti a puro scopo esemplificativo e potrebbero essere sostituiti con altri analoghi, non farebbe differenza ai fini del concetto che sto cercando di esprimere.

Immaginate aggiungere il “Moneyball” del Liverpool ad una realtà come quella, diciamo, dell’Atalanta, già indirizzata e formata verso un gioco molto codificato: rischiereste davvero di vincere uno scudo spendendo un cinquantesimo di un qualsiasi top club.

Poi chiaro, se col tempo lo faranno tutti, il vantaggio competitivo si assottiglierà fino a sparire, e il portafoglio torna a marcare la distanza per farla tornare proporzionale alla spesa. Ma fino ad allora, chi arriva per primo ha due/tre stagioni in cui avrebbe chances irripetibili. Un po’ come, già richiamato in precedenza in questo pezzo, accadde quando l’Ajax introdusse il “totalvoetbal“: il vantaggio competitivo di una piccola nazione senza storia calcistica è durato finché tutti poi hanno giocato secondo quei principi di base. Quando poi tutti hanno abbracciato l’idea del calcio totale, la demografia ha di nuovo fatto valere il peso di avere nazioni di scuola calcistica consolidata ma con una popolazione anche calcistica tre o quattro volte più numerosa.

Non ci resta che sperare in due cose: o che Conte se ne freghi del “Moneyball” e riesca a vincere lo stesso, oppure, cosa che spero vivamente accada, che l’Inter si ponga all’avanguardia in questo settore di ricerca calcistica, approfittando del fatto che svilupparlo in fretta porterebbe enormi benefici, non solo ai futuri allenatori nerazzurri, ma anche a quello del presente.

Mavaffanculo te e il “Moneyball”

Hendrik van der Decken

Il capitano dell'Olandese Volante, condannato a guardare il calcio per l'eternità senza mai vedere il 433 in nerazzurro. Posso toccare terra solo quando l'Inter vince in Europa, perché quando accade c'è sempre un "Oranje" in squadra. Mentre navigo, guardo l'Inter, un sacco di Eredivisie, Jupiler League e Keuken Kampioen Divisie, bestemmiando l'Inter e il N.E.C.

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