Bauscia Cafè

Il vero sapore della vittoria

Spesso in questa settimana mi è capitato di leggere lamentele di molti tifosi nerazzurri secondo i quali non siamo mai capaci di goderci le vittorie e ci complichiamo sempre la vita dopo ogni trofeo alzato al cielo, da Madrid in giù. Sebbene in queste affermazioni ci sia innegabilmente un fondo di verità mi preme mettere i puntini sulle i ed esortare il popolo interista a vedere il bicchiere mezzo pieno, distinguendo in modo netto il giudizio tra la capacità di godersi le vittorie e quella di riuscire ad aprire un ciclo vincente.

L’equivoco di base da cui nasce la questione verte probabilmente intorno al significato della frase “godersi un trofeo”. A mio avviso una coppa vinta (Coppa Italia, scudetto o ancor più la Champions) è tale e rimarrà tale, inscalfibile e intoccabile, nel momento in cui entra nella nostra bacheca.

La gioia di averla vinta si esprime nell’istante in cui l’arbitro fischia la fine della partita decisiva, si esplicita nel ricordo delle persone con cui hai festeggiato, si eterna nel ripensare ai momenti chiave e alle sofferenze cumulate nel corso dell’anno. 

O, per essere ancor più romantici, è la sensazione che provi la sera della vittoria quando vai a letto: ed è proprio quella che ricorderai anni dopo. E’ nelle foto e nei video che hai fatto durante i festeggiamenti, è nei minuti che passi uscendo dallo stadio o andando in piazza Duomo a festeggiare.

E’ commuoverti ad ogni età quando rivedi Milito che segna al Bernabeu. E’ soffrire solitariamente quando ad anni di distanza rivedi quei 10, infiniti, minuti finali di Barcellona e singhiozzare al fischio finale. 

Insomma è una sensazione pura, personale e privata, che puoi condividere con altri cuori nerazzurri o meno, ma che rimane tale qualsiasi cosa accadrà e qualsiasi scelta prenderanno dirigenti, allenatore o giocatori. Condividi il Tweet

Anche per questo a mio avviso non ha senso dire che non siamo mai capaci di goderci le vittorie: le coppe restano, e con esse le emozioni che si portano dietro. Sono le persone e i progetti a cambiare.

Il passaggio logico molto diffuso in questi giorni nelle chat e sui social nerazzurri in letteratura viene chiamato hysteron proteron: invertire la successione degli eventi per dare più risalto ad uno dei due. Ebbene, qui c’è il prima (la vittoria dello scudetto), e poi c’è il dopo (la libera scelta delle persone e l’inevitabile adeguamento dei bilanci alla situazione economica difficile per tutti). 

Altra cosa è invece sostenere che abbiamo ontologiche difficoltà a costruire un ciclo senza interromperlo inesorabilmente nel momento meno opportuno. O, per essere meno edulcorati, che siamo dei tafazzi nel dna. Questo, alla luce dell’addio di Conte e dei probabili saluti ad Hakimi, diventa difficile da negare. Purtroppo, come qua già è stato ben scritto negli ultimi giorni, la combo Allegri alla Juventus e Inzaghi ad Appiano ci ha scalzato dal ruolo di favoriti per l’anno prossimo.

Tuttavia è ingeneroso dire che non ci sia uno sguardo di lungo periodo della società e che sia tutto da buttare. Paradossalmente avrebbe forse fatto meno scalpore l’addio di un Marotta al posto di Conte ma nella sostanza i danni provocati nel lungo periodo sarebbero stati ben maggiori.

Ritengo infatti Marotta il vero fulcro di questa società, colui che da quando è arrivato è riuscito a portarci top player come Lukaku, Barella, Eriksen, Hakimi etc mettendo al centro la squadra e il gruppo, con tanti saluti alle individualità che potessero incrinare l’equilibrio dello spogliatoio (e che si ritrovano oggi a Parigi con un pugno di mosche in mano).

Le difficoltà del settore sono state palesate dalle pubblicazioni dei bilanci dei club e anche dall’improvvida scelta di dar vita alla Superleague da cui ci siamo sottratti per tempo: la necessità di far quadrare i bilanci vale infatti per noi ma ancor più per top club come per Juventus, Barcellona, Milan, Real etc tutti colpiti profondamente dalla pandemia.

Se valeva nel 2010 per questo vale ancora di più oggi l’assunto in base a cui la vera bravura della dirigenza sarà quella di capire chi è cedibile e a quali cifre, senza intaccare in modo irreparabile le nostre prospettive di lungo periodo. Veder partire Hakimi sarà molto doloroso, consapevoli che terzini come lui non ne vedevamo forse da decenni, ma chi altri potrebbe portarci una simile plusvalenza sicura? Forse Lautaro, Barella o Lukaku direte. Vero, ma se per il primo non sembra palesarsi l’auspicata gazzarra per accaparrarselo, cedere gli altri due avrebbe il significato ben più profondo di vendere non solo i due top player più pagati della nostra storia ma anche due ragazzi disposti a buttarsi nel fuoco non solo per Conte ma, cosa ben diversa, per questi colori.

Un pasoliniano Hakimi, forse l’ultima immagine con i nostri colori

Per tutti questi motivi gli eventi di questa settimana non devono intaccare minimamente la gioia che ci ha regalato lo scudetto dopo undici lunghissimi anni. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno, fidiamoci di Marotta e, se tra un anno non riusciremo ad ottenere la seconda stella, sarà un motivo in più per apprezzare questo Scudetto, che niente e nessuno dovrà né potrà mettere in discussione.

Passato, presente e futuro

Julione94

Toscano emigrato a Roma, già a 3 anni girava con la maglietta di Ronaldo il Fenomeno. Con un nome e cognome così simile al portierone dell’Inter di Herrera la passione per i numeri 1 era inevitabile. Pessimista esistenzialista, ancor di più dopo aver visto una tripletta di Ekdal in 15 minuti a San Siro.

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