Bauscia Cafè

E a noi supertifosi chi ci pensa?

S arò un inguaribile romantico, o semplicemente un ingenuo, ma quando ho letto il comunicato sulla SuperLeague di ieri notte il mio primo pensiero non è stato ai soldi previsti o ai nomi delle squadre sicure partecipanti al nuovo torneo bensì al gol di Vecino contro la Lazio. Ebbene sì perché per me quello è il simbolo del crinale tra fuori e dentro, tra inferno e paradiso, tra incubo e sogno. In una parola è il simbolo della meritocrazia applicata al calcio, senza materassi che attutiscano la caduta o senza posti fissi assegnati ai partecipanti alle coppe.

Che ne sarà della meritocrazia se avremo ogni anno la certezza di partecipare alla SuperLeague? Se lottiamo per lo scudetto l’adrenalina non mancherà ma se invece fossimo qualche posizione indietro come spesso ci è capitato, anzi praticamente sempre tranne questi due anni con Conte, cosa ci spingerà a vivere le partite con il cuore in gola o a rischiare un infarto nel recupero dell’ultima giornata di campionato? (Ogni riferimento a Inter – Empoli è puramente voluto).

In poche parole: siamo sicuri che la Superleague sia il formato di torneo che più soddisfa i desiderata di noi tifosi? A leggere i commenti e le reazioni dei tifosi delle squadre già sicure partecipanti direi proprio di no.

In una normale notte di aprile, cullata da sogni sempre più realistici di scudetto nerazzurro, è come se il business e il romanticismo applicato al calcio si fossero divisi inesorabilmente, iniziando a percorrere binari paralleli che non lasciano immaginare punti di contatto.

Da una parte gli interessi (legittimi) dei grandi club d’Europa interessati a trovare benzina per le loro costose macchine, dall’altra noi tifosi che assistiamo attoniti ad alleanze createsi senza batter ciglio tra rivali storici pregando che queste scelte non provochino la clamorosa scelta di essere espulsi dal campionato (non vogliamo neanche pensare che l’annata in corso sia oggetto di sanzioni).

Tutto questo arriva dopo anni in cui per far vedere le partite anche ai tifosi asiatici si è arrivati a giocare il Derby alle ore 12.30 e in cui, per non ingrassare troppo le tasche di pochi ci siamo messi tutti a dieta, con il FairPlay finanziario che ha finito per affamare ancor di più le pance insaziabili dei top club. A questo si aggiungono come benzina sul fuoco le settimane di discussione sui diritti tv e sulle garanzie di un servizio decente offerto dalla tv in streaming: per vedere tutte le competizioni nei prossimi anni serviranno Dazn, Rai, Sky, Amazon e rischiamo per giunta di non vedere le partite correttamente per problemi di terzi.

Dunque sullo stesso binario, quello degli interessi economici, ci saranno quattro abbonamenti televisivi richiesti per vedere la tua squadra del cuore, biglietti da stadio a prezzi stratosferici inaccessibili per quasi tutti gli italiani provati dalla pandemia oltre a prodotti come i kit e i prodotti del merchandising sempre più cari. Sull’altro binario le trasferte di una giornata vissuta sul bus dell’Inter Club per andare a vedere la partita contro l’ultima in classifica, le partite in piedi in curva ospiti, il panino con la salamella fuori dallo stadio, l’attesa di vedere stagliarsi il Meazza in mezzo alla nebbia appena giri il muretto all’angolo.

In poche parole da una parte il tifoso-consumatore, dall’altra il tifoso appassionato.

I big match devono essere l’eccezione, devono essere la cena di gala che ti concedi poche volte l’anno altrimenti diventa abitudine e dall’abitudine alla noia il passo è brevissimo. Il vero calcio è meraviglia, è sofferenza pre e durante il match e poi tristezza o euforia al fischio finale. Tutto il resto è artefatto: è un calcio di plastica in cui le emozioni sono tali fino in fondo ma solo se vinci, perché se perdi non rischi niente.

Tra l’altro siamo proprio sicuri che ci sia un buon ritorno di immagine nell’andare ad affrontare le squadri più forti d’Europa rischiando di perdere spesso? Su questo ha colpito nel segno Mario Sconcerti che ieri nel suo editoriale sul Corriere della Sera ha fatto presente ad Agnelli come inimicarsi milioni di persone in Europa potrebbe essere non solo un danno di immagine per la Juventus ma un vero e proprio autogol anche per gli affari di FCA che potrebbero risentire delle conseguenze nelle vendite delle auto.

Sebbene i grandi club l’abbiano chiamata sostenibilità, termine che ormai si porta su tutto, la sensazione è insomma quella di una rivoluzione imposta dall’alto per gestirsi in pochi un flusso di soldi necessario come l’aria dopo un lungo periodo di crisi economica che viviamo e vivremo a lungo ancora. Il problema è che storicamente le rivoluzioni si fanno dal basso, le fanno i popoli non i re, per cui è lecito dubitare dei risvolti che avrebbe su noi tifosi questa rivoluzione al rovescio.

Qual è la morale di questo lungo lungo flusso di coscienza? Non saprei, noi tifosi alla fine ci abituiamo a tutto: maglie impresentabili, loghi, allenatori, dirigenti etc. Nulla esclude quindi che appena la SuperLeague inizierà ci troveremo a pagare centinaia di euro per una partita e a soffrire tutti insieme allo Stadio e a casa come se nulla fosse cambiato rispetto alla ben più meritocratica, quantomeno nell’accesso, Champions League.

Quel che è certo è che resta un po’ di amaro in bocca e la sensazione che ricorderemo la notte tra il 18 e il 19 aprile 2021 come la notte in cui i top club davanti ad un bivio hanno preferito intraprendere una strada costruita solo su interessi economici e non più sul merito dei risultati sportivi e sulle passioni genuine di noi tifosi, lasciati spaesati e increduli di fronte ad una scelta senza precedenti nella storia del calcio recente.

Staremo a vedere, sperando che in queste ore non sia stato fatto il passo più lungo della gamba e che gli artefici di queste scelte sappiano nei minimi dettagli ciò che stanno facendo. E soprattutto, nel caso così non fosse, che tutto ciò che è successo in queste ore non crei un danno irreparabile ai nostri colori e a noi tifosi.

Julione94

Toscano emigrato a Roma, già a 3 anni girava con la maglietta di Ronaldo il Fenomeno. Con un nome e cognome così simile al portierone dell’Inter di Herrera la passione per i numeri 1 era inevitabile. Pessimista esistenzialista, ancor di più dopo aver visto una tripletta di Ekdal in 15 minuti a San Siro.

PODCAST

Twitter

Instagram

Instagram has returned empty data. Please authorize your Instagram account in the plugin settings .

Archivio