Bauscia Cafè

Militanza stanca

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Ho sempre concepito l’interismo come militanza.
Militanza sportiva da accompagnare o meno a quella politica, per me le due sono inscindibili ma rispetto l’agnosticismo di altri, in ogni caso militanza per un’idea, alla quale a volte si aggiungono in modo arbitrario due lettere semplici per trasformarla in militanza per un ideale, militanza per un concetto astratto, un’utopia, in ogni caso militanza a oltranza per questi colori come unico modo per giustificare e rendere accettabile la passione per qualcosa di tutto sommato vacuo e razionalmente debole come il pallone.
La militanza nasce necessariamente nel sentirsi nel giusto, nell’essere diversi, nell’io non sono come voi, nel fare di questa diversità il motore per sfidare le istituzioni, il potere, l’esistente e il prestabilito, qualunque cosa esso sia, un’investitura per una missione suprema di ribellione per cambiare lo stato delle cose.
La militanza procede sempre tra difficoltà, tra alti e bassi, con momenti di grande sconforto perché la continua latitanza da zone franche nelle quali trovare rifugio fiacca la volontà e mina le convinzioni nel profondo.
La militanza è prima linea, trincea, è fronte, scontro, sublimazione di un’avanguardia. Accelleratore di dedizione che annienta logiche e ripensamenti. E’ dolore, sofferenza, gioia, violenza. E’ gruppo nelle sue individualità, è dinamica collettiva.
L’Inter è per me militanza, da sempre, rivoluzione personale, approdo utopico tramandato da tre generazioni, alimentato da fatti veri e altrettante leggende, ricerca senza tempo di un Avalon salvifico che appare miracolosamente nella bruma.
E in questa militanza che va avanti da anni, tanti, che ormai non conto neanche più, che per la prima volta, con angoscia, scorgo una crepa.
Una crepa nel mio interismo militante che si è formata da un po’, subdola, lei come il tempo, ma che ora mi appare evidente e dolorosa, non un accenno di stanchezza o umidità o causata dalle vibrazioni della lavatrice del vicino milanista, ma una crepa già formata, con un suo percorso e un suo avamposto.
Interismo militante. Già. Iniziato in modo inconsapevole quando ancora non sapevo scrivere il nome delle cose ma Inter un nome già l’aveva e quello sì lo sapevo scrivere, dapprima con enne ed erre al contrario, alternando comunque il nero e l’azzurro nelle lettere, sbagliando la simmetria ortografica ma non quella cromatica.
Militanza forgiata negli anni, amori, passioni, delusioni, deliri, cazzate, isterie, amicizie, follie, bastonate. Militanza che si è adattata e ha seguito il percorso tortuoso degli anni, come una goccia di pioggia che scende su un vetro, “sinuoso movimento, monito terrorista che la retta è per chi ha fretta, non conosce pendenze smottamenti rimonte”, come un compagno fedele che si accuccia accanto, ti accompagna e poi cambiate insieme.
La crepa c’è. Il disgusto per tutti i fatti recenti, pure. Una crepa che avevo intravisto solo una volta nella mia vita-Inter e che mi rimanda a quell’infausto dopo Brescia con il faccione rubizzo di Zaccheroni che sostituisce Hector Cuper, forse allenatore modesto, ma figura all’epoca semplice e schietta, d’altri tempi, che aveva ridato dignità perduta a un branco di giocatori assemblati male, anche allora dopo un’overdose lisergica di cambi di allenatore, milioni buttati e furti conclamati, anche se le storiografia moderna parla solo di 5 Maggio 2002 omettendo tutte le schifezze successe prima di quella data (ho sempre considerato il furto del rigore non fischiato a Ronaldo in quel di Verona con De Sanctis lì a due passi, molto più grave e scandaloso di quello di Iuliano a Torino che tanto ha influenzato l’immaginifico collettivo interista), cambio di allenatore che si rivelò ovviamente inutile e dannoso, cambio caldeggiato anche allora da una stampa sciovinista e asservita che gridava allo scandalo perché uno straniero musone, catenacciaro e sopravvalutato toglieva posto ai profeti del bel gioco italico, e quindi sì, ora come allora provo fastidio e disagio per la società Inter che non solo assiste inerme a linciaggi ma anzi li asseconda, anche se poco mi importa di trovare analogie tra la due situazioni, le crepe nella militanza nascono da fenomeni geologici interni a ognuno di noi e si sviluppano secondo modalità ancora misteriose.
Il problema delle crepe è che sono la manifestazione esteriore, sulla crosta dell’io, di un malessere profondo che ti nasce nelle viscere e sale inesorabile nei neuroni dopo aver colonizzato lo stomaco.
Perché è innegabile che tutto ciò che ha ruotato e ruota attrono all’universo Inter in queste ultime settimane mi provoca nausea e disgusto. E sorrido con affetto paterno a chi afferma che ‘siamo abituati troppo bene e che il Triplete ci ha dato alla testa’, a chi inconsciamente invoca un salutare e squadrista olio di ricino virtuale da ingurgitare tappandosi il naso per forgiare tempra e carattere. Eh già, proprio così, a quanto pare siamo abituati troppo bene, senza dubbio, noi che abbiamo vissuto tutte le cazzo di navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione negli anni di Chiappella e Marchesi, noi che abbiamo tifato Doldi e Magistrelli, che nella nebbia abbiamo applaudito e incitato Juary difendendolo da insulti razzisti, noi che abbiamo chiesto l’autografo a Piraccini, che c’eravamo la notte dell’Alaves.
Disgusto nell’aver assistito a un linciaggio mediatico senza precedenti e di stampo fascio-sciovinista (si può dire fascio-razzista o i puri di cuore si offendono?) di un allenatore straniero, magari modesto, può anche essere, ma soprattutto macchiatosi della grande colpa di venire da lontano e di non essere sufficientemente ‘istruito’ nella difficilissima materia del calcio italiano, e non essere istruito neppure nella nostra lingua, manipolata con arte e maestria da mezzi analfabeti con ridicoli capelli tinti o ex-giocatori bombati fino al midollo che come parassiti colonizzano sfavillanti studi televisivi con improbabili mansioni di ‘commentatori’ o meglio ‘consulenti sportivi’, che sfoderano tutta la gamma del razzismo strisciante che, spiace dirlo, è componente essenziale del DNA dell’italiano medio.
Allenatore sbeffeggiato a cui viene insultata la dignità, allenatore che pare sia un privilegiato per non aver fatto l’incredibile gavetta in Italia, che non ha amici giornalisti che tirano la volata per arraffare un posto, che non utilizza il volgare ‘ciao Fabio‘ ma ti da addirittura del lei in una lingua che sta ancora imparando, allenatore scelto contro tutto e tutti e poi lasciato solo come un cane randagio da una società inadeguata, con tante, troppe facce, un’idra a cento teste che parla cento-volte-cento lingue ma è incapace di definire una linea da seguire, di prendere posizione davanti a pseudo-professionisti, che siano giocatori o giornalisti, per difendere un suo tesserato da attacchi indegni, società che sembra allo sbando, armata brancaleone che si auto-erotizza con un processo masturbatorio fatto di frasi vuote come ‘sono tutte finali’, ‘non abbiamo più alibi’, ‘se sei una grande squadra contano i risultati’. E poco mi frega di De Boer, che certo per me cresciuto a pane e Krol-Neeskens-Cruijff rappresentava un’utopia bellissima ma perdente in partenza per tempistica (scelto a fine Agosto), per questioni di cultura (chi può spiegare a uno straniero per di più boero frasi specchio di tutta una mentalità sportiva quali “ho scelto di non essere competitivo” pronunciate da pupazzi senza vergogna che pascolano nel calcio italiano?) ma anche per tradizioni ataviche (all’Inter alla prima partitella di allenamento devi subito mostrare schemi sfavillanti che sennò arrivano gli interisti che sanno tutto e tirano fuori tabelle, medie punti, screenshot con freccette e curriculum di Rastelli per dimostrarti che l’allenatore è un coglione e non capisce un cazzo prima ancora di avere giocato una partita).
Disgusto per dirigenti che ancora non so chi siano mentre altri purtroppo so benissimo che faccia abbiano, dirigenti che non mi rappresentano, non rappresentano la mia militanza e le mie cicatrici, dirigenti per i quali provo disagio quando rinnegano il lunedì quello che hanno pubblicamente affermato il sabato davanti a una selva di microfoni penzolanti, dirigenti nei quali vedo improvvisazione, cialtroneria, sciattaggine, faciloneria, ipocrisia, mancanza di rispetto verso quello che dovrebbero rappresentare agli occhi di tanti ‘militanti’ che amano e inseguono quell’idea da anni, dirigenti che pare, si dice, alcuni, seguano ancora il vecchio padre-padrone, simbolo di un’epoca che fu, spesso tragica e alla fine meravigliosa, ma inevitabilmente passata, di moda e di voglia, simulacro vuoto e fasullo al quale si appigliano loschi personaggi che dovrebbero fare il bene dell’Inter, a parole e con pecunia, e che rilasciano dichiarazioni allucinanti contro i nuovi proprietari del vapore e farneticano di ritorni improbabili e stili manageriali farlocchi quando invece non cacciano una lira e sono degni rappresentanti della decrepita imprenditoria italiana, dirigenti che cercano traghettatori, nuova figura professionale del Calcio 2.0, per traghettare chi e verso cosa nessuno lo sa ma il termine lo usano tutti, ennesima stagione da anno zero quando invece da almeno un lustro andiamo a ritroso con rudimentali macchine del tempo, dirigenti modello di una società calcistica del duemila e io che pensavo di averle viste tutte con il trio affiatato Fraizzoli-Pellegrini-Moratti, dirigenti che fanno un casting, un casting sì, proprio quello, non è uno scherzo, fanno un casting e si piazzano in un posto periferico per non dare nell’occhio, come no, un bell’hotel di cartapesta come ce ne sono tanti nel centro della sempre attuale Milano da bere, così tutti possono vedere chi entra e chi esce, con luci e fanfare, come al circo, venghino signori avanti il prossimo che il trapezista di prima si è schiantato, adesso puliamo il sangue con lo spazzolone, ma venite con le telecamere, così tutti ci ridono in faccia e ci pigliano per il culo, giustamente, dirigenti che da questo casting planetario ti tirano fuori nientepopodimeno che il Condottiero Pioli, cavaliere senza macchia di un calcio futuristico, sguardo senza paura, con barba di una settimana e occhiaie fisiologiche e già pensi a quanti anni di analisi gli varranno questi miserabili mesi da noi.
E poi ci sono i giocatori.
Già. I giocatori.
E qui il disagio è se possibile ancora più forte, ancora più profondo. Disagio per calciatori a dignità variabile, perché nella vita puoi essere scarso e prendere bastonate ma devi farlo con il furore negli occhi, con l’orgoglio per quello che rappresenti per chi ti guarda, per tutte le emozioni che sai suscitare in chi accompagna ogni tuo gesto, l’ammirazione di chi è con te e l’odio di chi ti disprezza in quanto simbolo di quello che temono, giocatori-dipendenti pagati profumatamente o meno dipende dai parametri di ognuno e non credo conti poi molto, per dare il meglio di sé stessi, in campo, sulla base delle indicazioni di un altro dipendente che si chiama appunto allenatore, se non sei d’accordo ne discuti con lui oppure lo mandi affanculo in privato ma non lo sputtani davanti alle telecamere come hanno fatto di recente alcuni personaggini a modo tipo il nostro ambizioso portiere e il loquace difensore centrale, giocatori che pare-si dice-si narra, remino contro, anche se io non ho mai capito cosa voglia dire questa frase e in che modo un atleta davanti a un gesto tecnico da compiere pensi ‘ah no aspetta, l’allenatore mi sta sul cazzo, quindi la palla non la rincorro e il gol lo sbaglio di proposito’ mettendo a repentaglio carriera e reputazione, giocatori che pare anche qui si dice ‘non siano convinti del progetto tecnico’ e allora penso a un business plan di 350 pagine infarcito di grafici e tabelle che il calciatore legge con attenzione e poi dice ‘ma non so…non sono convinto della strategia commerciale e dello schema 17.1.4.bis…io gioco lo stesso ma il risultato non conta eh…e poi dopo mischiamo le squadre che così non sono equilibrate…sennò porto via il pallone che è mio…’, giocatori scadenti tecnicamente che mai avrebbero dovuto indossare questa maglia e che in altre epoche non sarebbero nemmeno arrivati in prima squadra, giocatori all’Inter da anni e pluri-rinnovati da dirigenti convinti e non pallino fatuo dell’allenatore di turno e destinati a scomparire con quest’ultimo, giocatori miracolati che dovrebbero fare andirivieni con tutto il rispetto dovuto, tra Cittadella e Chievo e che si permettono per ego non si sa perché smisurato di non stringere la mano all’allenatore quando invece dovrebbero baciare devoti la terra che calpestano ogni giorno ad Appiano come farebbero davanti ad Atahualpa, giocatori in ruoli sbagliati, o forse giocatori sbagliati tout court nei fondamentali, nei piedi, nella testa, persino giocatori svenduti a tante squadre senza mai passare le visite mediche mentre invece da noi sono titolari fissi, giuro, non è uno scherzo, ho visto anche questo e altro ancora.
Sono stanco, allibito, nauseato. La militanza non è automatica, la si guadagna ed è frutto di fiducia, condivisione, di valori annaffiati dal sudore comune delle idee e delle emozioni, amala comunque, sì certo, ma forse anche no, adesso non so, in ogni caso amala non a prescindere e se in alcune cose non ti riconosci forse stacchi per un po’, o forse t’incazzi e lo gridi forte perché magari qualcuno ti senta, che in tanti ti sentano, perché nella militanza l’importante e il non sentirsi soli, il sapere che i tuoi dubbi e le tue amarezze sono anche quelle degli altri, o invece capire che il depresso sfiduciato sei solo tu e allora cancelli tutto, prendi qualche pillola e domani andrà meglio.
Io sono qui, aspetto segnali da chiunque voglia prendersi la briga di mandarli. Qualcuno che mi faccia capire se gli anni a venire devo passarli a fare altre cose oppure investire ancora emozioni, salute, speranze. Oscillo da una parte tra lo sguardo narcolessico di Pioli che mi invita a gite domenicali in campagna dove non c’è campo, né bucolico né telefonico e neppure inteso come spazio da difendere con amore e rabbia, e dall’altra ricordo il consueto tumulto di sentimenti quando sbuco dalle scalinate di S.Siro e il verde e il cemento e il muro di corpi e colori, la tensione, i giornali svolazzanti e gli estintori Meteor, tutti insieme mi travolgono in un’onda di ritorno che da sempre mi stordisce e mi annienta.
La crepa c’è. E’ li’, mi guarda. Vorrei far finta che non si veda e che non sia mai esistita.

In fondo, chiedo solo un po’ di stucco. Per il momento, può bastare.

Adriano 5thofNovember

Adriano 5th of November

Nasce già extra-extraparlamentare. Se un giorno sarà scelto per una missione sulla stazione spaziale in orbita attorno a Marte, si porterà la maglia di Bonimba, una scacchiera, la manovella di un winch e un erogatore. Forse.

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