Bauscia Cafè

Mamma, che ne dici di un romantico ad Appiano?

Sì, lo so: quello che sto per fare non si fa. Questo è un blog in cui si parla dell’Inter, non dei fatti miei. Certo se poi un giorno succede che, come per magia, mi si aprano le porte di quello che Settore ha (eufemisticamente, ve lo garantisco) definito “il luna park dei sentimenti”, forse i fatti miei diventano in qualche modo fatti dell’Inter e finiscono col meritarsi un post.
Un assaggio –piccolo, piccolissimo- di quello che mi sarebbe successo lo avevo avuto pochi giorni fa a Bologna quando, a operazione tagliatella ormai finita, io e sgrigna alla stazione di Bologna ci siamo imbattuti nella squadra che stava prendendo il treno per rientrare a Milano. In pochi secondi, a un metro da due tifosi paralizzati dalla sorpresa, sono sfilati tutti i giocatori: Castellazzi in testa, poi Jonathan, Mudingayi, Nagatomo, poi Cambiasso (è fatto in carne e ossa come noi. E’ un uomo come noi. Giuro!), poi Palacio che è stato costretto a girarmi attorno (ma non è colpa mia, ero paralizzato), poi persino il Capitano (lui non lo so se è umano, il dubbio mi è rimasto anche da così vicino). Sorvolo su ciò che è successo quando è passato Stramaccioni perché ho ancora una dignità da difendere, ma alla fine del gruppo e ai limiti del cordone dei Carabinieri c’era anche Bedy Moratti. “Bedy -le dico- ti ricordi di Bauscia Cafè?”. Cioè, che domanda del cazzo. Come se ci fossero speranze del fatto che Bedy Moratti (dico: Bedy MORATTI) si ricordi di Bauscia Cafè. Si ricordi di un tweet, di un post, di una telefonata. Bedy Moratti? Nick, sei un coglione.
Ma certo che sì, come potrei dimenticarlo? Vieni..fatelo passare”.
Abbracci e baci come se fossi il suo più grande amico, una foto, grazie, svengo.
Con queste premesse e questo ricordo, quattro giorni dopo, aspetto Roberto Monzani passeggiando davanti a un benzinaio e un ristorante brasiliano. Per fortuna è pieno giorno e nessuno può equivocare. Forse. Dopo innumerevoli telefonate e mail finalmente ci conosciamo, il tragitto scorre veloce e quasi mi passa di mente cosa sta per succedermi. All’improvviso un cartello: “Appiano Gentile”. Realizzo solo in quel momento che esiste davvero. I tifosi che scrutano all’interno di ogni macchina (“mi dispiace, sono solo Nk”), l’enorme cancello nerazzurro, il parcheggio. Ora fra le cose che nessuno sa della Pinetina c’è questa, che sto per rivelarvi in esclusiva: la severissima custodia del parcheggio del centro sportivo è affidata a cinque guardie che notte e giorno perlustrano tutto lo spazio concedendo l’accesso solo alle persone autorizzate, memorizzando scrupolosamente ogni auto e ogni volto che passa e liberando contemporaneamente l’area dai…topi. I cinque gatti ci vedono arrivare, si fermano, ci lasciano parcheggiare, riprendono i loro controlli. Giurerei di aver visto Monzani dare le chiavi dell’auto a uno di loro, ma alcuni momenti della giornata sono un po’ confusi nella mia memoria.

Si entra. Mi tremano le gambe, ma dissimulo con classe. Pronti via passa Edoardo Caldara, Responsabile della Comunicazione Sportiva dell’Inter: “Lui è Nk, di Bauscia Cafè”. Sì dai Roby, grazie, però lui è il Responsabile della Comunicazione Sportiva di FC Internazionale e ora mi saluta per cortesia e passa oltre. No: si ferma, parliamo. Andremo al bar pochi minuti dopo a prendere un caffè e discutere di Inter, di tutto, con semplicità e serenità. Io (io) (no, capito di quale ultimo degli stronzi stiamo parlando?), Roberto Monzani e Edoardo Caldara. Ad Appiano Gentile. Semplicità e serenità: segnatevele, perché è questo che si respira al centro sportivo Angelo Moratti.
Subito dopo conosco Nagaja, che solo a scrivere il cognome mi vengono i brividi, e con lei faccio il giro di tutta la redazione. Poi, appunto, il caffè di cui sopra. E’ difficile immaginare cosa significhi prendere un caffè al bar della Pinetina (il bar nella foto qui di fianco, per dire). Tu sei lì a prendere un caffè, come fossi in un bar qualsiasi, e già fai fatica a realizzare di cosa stai parlando e con chi. Come se non bastasse, passa solo ed esclusivamente gente con la tuta dell’Inter, la maglietta dell’Inter, il cappellino dell’Inter, i lacci delle scarpe dell’Inter. E’ così che mi immagino un caffè in paradiso, ad occhio e croce. Arrivano Roberto Scarpini e Alessandro Villa: il secondo prima di dire “ciao” a chiunque fa partire una serie di minacce perché non deve assolutamente sapere una determinata cosa, il primo cerca di corrompermi per fare in modo che invece la sappia. Serenità, semplicità. E risate, tante. In tv compare Matteo Barzaghi che fa un servizio davanti ad un cancello: lo guardo e realizzo che io sono al di là di quello stesso cancello. “Oh, di là c’è il CT dell’Argentina”, “Wesley un minuto fa mi ha detto…”, “Ciao Dani!” (Bessa), “Ah, ecco il Guaro”, “Quello è Coutinho?”. Con un po’ di sali mi riprendo. Chiacchierata con un disponibilissimo Fabio Monti: Roberto mi presenta a chiunque come se fossi Murdoch. Dopo un po’ me ne convinco. Poi si apre la porta della redazione: “Uè, Ivan”. Entra Cordoba. Fa il giro, saluta tutti, viene verso di me. “Ciao Ivan, sono Nicola” (ahahahahahah: cosa gliene frega a Cordoba di chi sono io?) stretta di mano, pacca sulla spalla, “come va?”. Si parla tutti insieme per qualche minuto, tutti concordi sul fatto che i Mondiali in Brasile li vincerà inevitabilmente la Colombia, anche se gli manca un difensore centrale come si deve.
Si ricomincia a lavorare, ormai sono a tutti gli effetti un redattore di Inter Channel. Un redattore…un passacarte, dai. C’è questa cosa che ogni foglio indirizzato a Villa debba passare sotto gli occhi di almeno un paio di noi, per verificare che non ci sia scritto ciò che lui non deve sapere (non dirò mai di cosa si tratta, ma sappiate che Alessandro è un eroe). Roberto fa la scaletta per Inter_net, si lavora, si parla di Inter, si respira l’Inter. Non esiste un posto più bello al mondo, sul serio. Andiamo a registrare la puntata che vedete alla fine di questo post, io sono un manico di scopa ma fila tutto liscio. Usciamo, entra Villa e mi saluta perché ne avrà per molto, chiedendomi di ringraziarlo per aver resistito alla tentazione di cacciarmi via a calci in culo. Lo ringrazio: io non avrei resistito, al suo posto. Altro caffè al bar: avete presente la storia che chiunque passi ha qualcosa dell’Inter? Ecco, passa uno che dell’Inter ha la faccia, la pelle, il cuore: Beppe Baresi. Chiacchiera veloce. Sto sognando. Passiamo di nuovo dalla sala delle conferenze, ci fermiamo lì a parlare, arriva Luigi Crippa, Responsabile dei Rapporti con la Stampa, che mi parla del suo lavoro come se fossi una persona di fiducia. “E’ il team più sereno che io abbia mai visto all’Inter” aveva detto Moratti due giorni prima e Crippa lo conferma: “Alla fine ricordiamoci sempre che non stiamo parlando di neurochirurgia, ma di calcio”. Ricordiamocelo sempre.

Questo la prossima volta me lo porto a casa, vi avviso

Arriva il momento di andare via e salutare. “Grazie mille” mi fa Scarpini. Lui  a me. Vabbè, mi starà prendendo in giro. “E’ stato un piacere” mi dice Nagaja dopo essere stata costretta da un voto unanime a togliere gli occhiali. “Torna a trovarci quando vuoi” azzarda Caldara prima di rendersi conto che una frase del genere lo porterebbe a rivedermi lì il mattino dopo e quello dopo ancora e quello dopo ancora e…avete capito, no? “Vediamo se qualcuno va a Milano per un passaggio”, dice Roberto. Parliamo un altro po’, ci salutiamo.
Ora: “vediamo se qualcuno va a Milano per un passaggio”, ad Appiano Gentile, rischia di significare che due minuti dopo apri la portiera della macchina di Leo Picchi, figlio del grande Armando. Io all’inizio neanche mi azzardo a nominare suo padre e un cognome che mi fa venire la pelle d’oca, ma Leo è una persona di una semplicità e una disponibilità rarissime, che mi riporta a Milano regalandomi stralci di vita di una delle famiglie che hanno scritto la storia dell’Inter sul campo. Mi parla della sua vita, di suo padre, dei suoi figli, scatena una valanga di ricordi. Gli dico che da piccolo mio padre mi parlava sempre di suo padre e quasi non ci crede, non ho il coraggio di dirgli che me ne ha sempre parlato come “il più grande libero della storia”. Il viaggio sarà durato venti minuti, mezz’ora, non lo so: a me son sembrati pochissimi minuti, volato via. Ci salutiamo, non ho parole per ringraziarlo. “Quando ti trovi a Milano considerati ospite”. Impazzisco.
Ma la Pinetina è questa, e sembra incredibile e inverosimile pensare a tutte le polemiche che ci ricamano sopra. La Pinetina è semplicità. E serenità. La serenità di chi fa bene il proprio lavoro, di chi vive la propria passione tutti i giorni. La semplicità dei volti noti, ma anche di tutti i ragazzi meno conosciuti, i tecnici, i baristi, gli stagisti: tutti ti fanno entrare in casa loro, nel tuo parco giochi, e fanno di tutto per metterti a tuo agio. Ci tornerei oggi stesso, se potessi.
Non posso ovviamente. Quello che posso fare però è ringraziare Roberto, innanzitutto, e tutti gli altri che mi hanno fatto passare una giornata magnifica, che mi hanno permesso di abbracciare un amore inseguito da sempre. E di trovarmi nel giorno di ognissanti lì, dove i santi ci son passati davvero.
Grazie a tutti: non riuscite neanche a immaginare quanto significhino giornate del genere per tifosi come noi.

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

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