Bauscia Cafè

Grazie di tutto, Wesley

Ho realizzato l’altro giorno, come colpito da un fulmine, che sono passati più di sette anni dal 26 settembre 2012. Quel giorno, a Verona, Wesley Sneijder giocò l’ultima sua partita con la maglia nerazzurra. Anzi, gli ultimi suoi minuti. 26, per la precisione. Poi dovrà uscire per un infortunio che lo terrà ai box per molto tempo finché non diventerà poi un infortunio diplomatico: il club non può più sostenere il suo ingaggio, e dopo un lungo tira e molla, nel gennaio del 2013 si trasferirà al Galatasaray dove farà ancora in tempo non solo a vincere 2 campionati, tre coppe di Turchia e tre supercoppe, ma anche a far fuori la Juve di Conte in un campo reso impossibile dalla neve, nell’ultima gara della fase a gironi della Champions League.

Mi è venuto in mente perché pensavo alle disgrazie del centrocampo nerazzurro, a quanto l’assenza prolungata di Sensi sia costata in termini tecnici e di dispendio di energie fisiche e nervose all’Inter di Antonio Conte (e chi l’avrebbe mai detto a luglio che saremmo arrivati a Natale rimpiangendo le condizioni fisiche di Sensi? Il calcio è davvero ancora un fenomeno molto misterioso). E pensavo a quanto ci avrebbe fatto comodo il Wesley Sneijder dell’Ajax, che mi stregò per la sua completezza tecnica e duttilità tattica. 

Non ho amato quasi nessun giocatore come Sneijder, e nella mia logica contorta non lo scelsi come avatar quando mi iscrissi a Twitter perché mi sembrava… troppo. Ripiegai su un altro olandese, idolo della mia gioventù, riservando a Wesley un’attenzione speciale. Il pezzo che segue è frutto di questa passione calcistica, lo scrissi diverso tempo fa: ma tutto quel che ho scritto è ancora ben presente per me, ed è molto personale. Ma la vita e il calcio sono così, per i tifosi le due cose si intrecciano e spesso è difficile capire dove l’una smetta di influire sull’altro e viceversa, e quindi, dopo sette anni, e in piena emergenza di centrocampo, ecco la mia non inedita ode a Wesley Sneijder, scusandomi in anticipo per quei due o tre che l’hanno già letta altrove.

Arrivai in Olanda, per restarci, che era la fine di agosto del 2008. Nel periodo di ambientamento, come sempre e per chiunque il più duro e difficile, il calcio e l’Inter mi hanno aiutato. Mi hanno aiutato ad avere qualcosa cui pensare e del quale tenere conto nel calendario altrimenti interminabile di serate tutte uguali, aspettando solamente il giorno del volo bi-settimanale per tornare dalle mie ragazze in Italia. Le partite dell’Inter davano invece un ritmo e l’aspettativa di avere qualcosa da fare, fosse solo quella di vedere i ragazzi giocare e gioire o arrabbiarsi, ma comunque sentirsi vivi.

Quando conosci persone di altri paesi, l’argomento più facile e veloce per rompere il ghiaccio è la lingua, poi il cibo, infine il calcio, per chi lo segue. Con gli olandesi, è stato il calcio, subito.

Calcio, sì, ma con avvertenza preliminare non tanto simpatica:

Qui siamo tutti milanisti, sai com’è… van Basten, Gullit, Rijkaard…” “Beh, insomma, ma loro hanno preso anche ‘sóle’ clamorose da voi come Bogarde, Reiziger, Kluivert…”

Ma il calcio italiano noi lo conosciamo bene proprio perché di olandesi il Milan ne ha sempre avuti. E ancora c’è Seedorf, e Stam se n’è andato da poco…se sei dell’Inter insomma, Bergkamp da voi non ha funzionato ed è stato l’unico posto dove ha avuto problemi”. “Bergkamp ha vinto la coppa Uefa quell’anno! Ma come non ha funzionato?!? Porc…”

Van der Meyde poco e niente…Seedorf da voi è rimasto poco e non ha fatto nulla: non avete un gran feeling con noi”.

Quoque tu, Andy: quanto mi ero esaltato al momento del tuo arrivo

“Eccheccazz… ma come niente! I due gol da centottanta metri alla Juve? E poi almeno citatemi Jonk, il mio idolo, maledetti! E Aaron Winter? Dove lo mettete Winter, dannati cannaroli?” “Ah, già, Winter ha giocato in Italia, è vero. Ma non era della Lazio? Non ricordavo che avesse giocato anche nell’Inter”.

Insomma, il calcio era un argomento su cui contare, ma di Inter si poteva parlare davvero poco. Ibra era l’unico argomento che interessasse loro in qualche modo, per via dei trascorsi all’Ajax (qualcuno nominava Chivu parlandone molto bene, e anche su Maxwell c’era molta considerazione, ma dovevi beccare proprio il tifoso dei Lanceri abbastanza coinvolto).

E poi, Wesley Sneijder. Nato a Utrecht, sangue "Ajaced" e centrocampista di puro talento. twittalo

“Costruito”, come qui fanno con tutti i centrocampisti, sorreggendo il talento pazzesco con una inossidabile tecnica di base: destro, sinistro, centrocampista interno, di fascia e trequartista secondo l’occorrenza. Questo era il background del nostro nuovo folletto quando sbarcò ad Appiano proveniente dalla sua casa olandese un giorno di fine agosto, esattamente un anno dopo di quello in cui io feci il percorso inverso, da Como a Nimega.

Ero innamorato di lui già da tempo ed è sempre stato una delle mie fisse calcistiche sin dai tempi dell’Ajax. Gli olandesi con cui parlavo di calcio lo erano quanto me: si sorprendevano di come facessi elogi sperticati per uno che giocava nel Real e non era neanche italiano, e secondo me molti di loro pensavano che io fossi un po’ leccaculo, cercando una facile quanto ovvia “captatio benevolentiae”. Quando Sneijder arrivò a Milano, a parte la mia totale esaltazione da interista, improvvisamente tutti cominciarono a parlare dei nerazzurri, tutti chiedevano informazioni, tutti cominciavano a voler sapere cosa faceva Wes in Italia, come stava giocando lui, come giocava la squadra, come andava con i suoi compagni, chi erano (almeno quelli meno conosciuti all’estero), e poi Mourinho, e il campionato, quelli un po’ più addentro iniziarono addirittura a chiedermi di Arnautovic fresco di esperienza al Twente, figurarsi.

Madonna, quanto pagherei per riavere uno così con la nostra maglia

I giornali riportavano sempre più trafiletti sull’Inter, i trafiletti spesso diventavano articoli, gli articoli servizi televisivi, e l’Inter fu scelta sempre più spesso insieme al Milan come partita della serie A da trasmettere dalla pay-per-view olandese. Il negozio di articoli di calcio del centro espose la maglia dell’Inter nella sua piccola vetrina, e da allora è sempre stato così: un giorno ci passai davanti, e persino la maglia rossa che tanto fece discutere era indossata dall’unico manichino della vetrina, e sullo sfondo un bel poster gigante di Sneijder in maglia arancione.

E così tutti quelli con cui interagivo, conoscendo la mia passionaccia nerazzurra, a poco a poco vollero sempre più spesso portare il discorso sull’Inter e su Wes, le conversazioni più frequenti sul calcio portarono a conversazioni più frequenti su tutto il resto, e parlare di tutto il resto sfociò con l’avere persone attorno che mi conobbero meglio e più da vicino. Da lì in poi ecco l’essere integrato definitivamente nella rosa della squadra di calcetto, la battuta schietta sugli italiani e la rispostaccia sugli olandesi senza che nessuno avesse paura che l’altro potesse offendersi, come si fa tra amici veri, l’invito a cena a casa che per un olandese è il segno definitivo che da “kennissen”, conoscente, sei diventato un “vriend”, un amico. E evento tanto più raro se il “vriend” invitato a cena a casa non è nato tra i tulipani, perché l’amicizia qui è preziosa come da qualsiasi altra parte, ma è concessa con molta parsimonia, come è giusto che sia.

La storia di Wesley all’Inter è nota, i trionfi di entrambi pure. Quando a luglio del 2010 mi presentai nel pub per vedere la finale del mondiale, tutti già seduti con le loro maglie arancioni, i miei amici mi chiamarono per farmi cenno che mi avevano tenuto il posto, e mentre mi avvicinavo alla sedia partì un applauso e un coro: “Wes-ley Wes-ley Sneijder!”, un auspicio lanciato attraverso il locale: “Kampioen van Europa en misschien wereldkampioen vanavond!”, e purtroppo per loro quella sera non diventò campione del mondo per pochissimo, se solo Robben avesse insaccato quel suo assist meraviglioso. E poi tante pacche sulle spalle, e una birra offerta al volo da uno mai visto prima e un sacco di “Mooi shirtje, man! De beste!”, maglietta stupenda, amico, la migliore!

La maglietta. La migliore. Avevano ragione, gli avventori di quel pub.

Ed io, straniero in terra straniera, per la prima volta in due anni mi sentivo davvero parte di qualcosa e non ospite o intruso: e tutto per aver indossato in mezzo a un mare arancione una maglietta nerazzurra col numero 10 sulla schiena e il nome Sneijder sulle spalle. Perché quel piccolo olandese ci aveva fatto vincere insieme ai suoi compagni una coppa straordinaria, ma che in questo Paese aveva un solo nome e un solo cognome inciso sull’argento sfavillante del trofeo stretto tra le mani dei nostri ragazzi in quella indimenticabile notte madrilena.

Ciao Wes, “doei”, come dite voi qua. Tu non lo sai e non lo saprai probabilmente mai, ma io ti devo un bel po’ di cose. E no, l’assist di Madrid a Milito non c’entra nulla.

Bedankt voor alles, man.

Hendrik van der Decken

Il capitano dell'Olandese Volante, condannato a guardare il calcio per l'eternità senza mai vedere il 433 in nerazzurro. Posso toccare terra solo quando l'Inter vince in Europa, perché quando accade c'è sempre un "Oranje" in squadra. Mentre navigo, guardo l'Inter, un sacco di Eredivisie, Jupiler League e Keuken Kampioen Divisie, bestemmiando l'Inter e il N.E.C.

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