Bauscia Cafè

Storie

C’è poco da dire, veramente pochissimo. Siamo rimasti in silenzio in questi giorni perché di parole non ne avevamo troppe e di voglia di scherzare ancora meno. Poi le parole le ha trovate Adriano, l’unico che poteva farlo, e noialtri lo ringraziamo. In questo post non si parlerà di Inter, va da sè. Stavolta è giusto così.

Parigi, Place de la République, 15 Novembre 2015
Parigi, Place de la République, 15 Novembre 2015
Non so bene perché io scriva queste quattro righe.
Al di là del ruolo maieutico della scrittura, utilizzato come facile scusa narcisistica. Forse, solo, semplicemente, per raccontare qualcosa a qualcuno, perché a volte a voler tenere tutto dentro e a comprimere, si implode.
Ciò che è successo è tutto così semplice nella sua assurdità. Semplice e assurdo. Due componenti base di quella cosa che si chiama vita.
Vivo a Parigi, emigrato anni fa, a cinquanta metri dal Bataclan. Venerdì tredici novembre duemilaquindici volevo andare a bere un bicchiere al ‘bar à vin’ di fianco al Bataclan, il ‘mio’ teatro, la ‘mia’ sala da concerti, ‘andiamo alle otto…?’, ‘no, stiamo qui stasera con i bambini e ceniamo tutti assieme…’, ‘e vabbè… ok… allora alle nove e mezza dopo cena…’, ‘vediamo dopo, non so…’ Conversazione semplice, banale. Io e la mia compagna. La amo, la seguo, mi fido, forse perché sono convinto da tempo di vivere con uno sciamano e sono fiero di aver incrociato i miei cromosomi con i suoi. Siamo in ritardo, mi innervosisco. Telefono al ‘bar à vin’, ‘stai a casa’ mi dicono, ‘casino al Bataclan, noi chiudiamo tutto’. Mi affaccio alla finestra. Il resto ancora non lo colloco in una precisa dimensione spazio-tempo, forse sono mille anni passati in un secondo.
Poliziotti in borghese dietro l’angolo della strada, fascetta rossa ‘Police’ sul braccio teso, pistola puntata, flashback accecante che mi riporta a un passato remoto ma non ancora sepolto, gente che corre, grida, uno zoppica, un altro cade, noi stiamo lontani dalle finestre, tiro le tende, chiudo la porta, spengo la luce, prendo la mia compagna e i bambini, penso ai nostri padri e ai loro racconti fatti di cantine, sirene e sibili di bombe, silenzio surreale, poi raffiche di kalashnikov, passa un’ora ma forse sono due minuti, mi avvicino alla finestra, scosto la tenda, il laser blu del mirino di due tiratori d’elite della polizia appostati sul tetto della casa di fronte mi punta, mi scosto piano, cammino lento, come un automa, ‘bambini va tutto bene, credo sia finita, poi ci vediamo un film ma per adesso state lontani dalla finestre’.
Tutto qui. Io e la mia famiglia siamo vivi, cento e passa sono morti. Assurdo, forse. O forse niente più, niente meno del livello medio di assurdità della vita.
E’ successo. Ancora. Se ne parlerà per qualche giorno. Poi la vita tornerà, gagliarda, bastarda. Inesorabile.
Ma le storie.
Le storie, no.
Le storie non scorreranno via.
Le storie restano.
Le storie di queste ore. Il presente, la Storia, fatta dalle nostre storie.
La storia di Zoran. La sua. Zoran, amico mio. Lo vedo che piange come un bambino. Metà serbo, metà croato, ha vissuto l’orrore della guerra del Balcani e vive da tempo a Parigi. E’ proprietario del ‘Centenaire’, il bistrot sotto casa, dove parliamo spesso di Inter e di Partizan di cui va fiero, dei tempi di Divac e Danilovic, malato come me di basket della sua ex-Jugoslavia e vera enciclopedia vivente (unico essere umano che si ricordi tutti i 45 punti segnati da Varajic nella finale di Coppa Campioni Bosna-Varese del ’79), eccelso giocatore di scacchi. Ha soccorso i primi feriti che fuggivano dal Bataclan, li ha fatti sdraiare sui cuscini delle sedie che ora sono pieni di sangue, la polizia gli ha detto di chiudere per ragioni di sicurezza e lui ha risposto ‘se volete sparatemi pure, io non chiudo… questi chi li aiuta prima che arrivino le ambulanze…?’ Oggi piange e mi chiede perché morti e sangue lo seguano ovunque vada, se questo è il suo destino o la sua maledizione, e poi dice parole dure, di rabbia sorda, io le sento ma non le ascolto e sono sicuro che nemmeno lui le ascolterà, domani, quando l’odio delle immagini nella testa lascerà spazio alla luce del suo sorriso.
O la storia di Marion, infermiera, babysitter a tempo perso dei miei bambini, anima bella, abita dietro il Bataclan, era in casa, gente che urlava in strada, è scesa all’ingresso del palazzo, i primi che sono scappati dal Bataclan dall’uscita di sicurezza che da sul retro li ha soccorsi lei con gli altri inquilini, stracci usati come lacci emostatici, sangue dappertutto, oggi è sfinita, distrutta, svuotata, è convinta che un ragazzo le sia morto tra le braccia mentre lo mettevano sulla barella dell’ambulanza.
Storie.
Le nostre.
Storie. Tante storie che sento, vedo, leggo. Storie che mi prendono, mi soffocano. Storie che mi danno le vertigini, sono tante, troppe. Le ferite di gennaio, Charlie Hebdo, le lacrime, il dolore, le lotte, le manifestazioni, tutto è ancora lì, cose troppo recenti, metabolizzate in superficie, ribollono come magma sotto la pelle. Sono stanco di cercare amici, ‘tutto bene? ok, menomale…’, ‘chi è morto…? sì lo conosco… cazzo, è morta la sua fidanzata…!’, ‘no, lui non lo conosco, l’ho solo incrociato un paio di volte’.
Stanco di commemorazioni, stanco di capi di stato che ancora una volta sfileranno per le vie di Parigi con i loro cappotti riempiti d’ipocrisie, stanco di spiegare come evitare l’amalgama, da sempre combustibile preferito da fascisti, razzisti e xenofobi. Stanco di spiegare ai miei figli che è normale avere paura ma la paura da sola non basta, che abbiamo la fortuna di vivere in un paese multi-razziale, il paese dei diritti dell’uomo, ‘è normale che sia attaccato, prendetelo come un privilegio e andatene fieri’, lo ripeto ancora da venerdì sera, ma la parole escono afone, senza convinzione.
Tante storie per una guerra che, dicono, ora abbiamo in casa.
Io non so se sia una guerra ma credo che sia giusto così. Qualunque cosa sia, ora è qui e credo ci aiuterà a capire tante cose.
La guerra, come la definiscono bulletti ignoranti che siedono sugli scranni dei parlamenti di mezza Europa, l’abbiamo in realtà cercata, finanziata con armi e dollari, normale che ora ne paghiamo le conseguenze, troppo facile quando è solo notiziola di una bomba esplosa in un paese salcazzo, riportata come decima notizia da un sito internet o in un tweet del solito ‘comunista rompicoglioni’ che, invece di twittare di xfactor o degli errori di ortografia nel cartello dal salumiere, ci tedia con ‘ste menate.
A nulla serve dire che io la guerra o qualunque cosa essa sia, non l’ho cercata, anzi l’ho rifutata e la rifiuto, ‘Not In My Name’ da sempre, ma ora me la ritrovo qui perché altri l’hanno voluta nel giochino semplice del fornisco armi e finanziamenti a Y che combatte X, tempo qualche anno e le darò a Z che annienterà Y, logica algebrica elementare su cui si sviluppa da sempre la fiamma della geopolitica, alimentata dalla benzina dell’industria degli armamenti, volano importante delle nostre virtuose economie liberiste. Ora sotto le luci della ribalta c’è l’Isis, lautamente finanziato in anni recenti da Arabia Saudita e altri paesi del Golfo con l’appoggio degli Stati Uniti e la tacita approvazione dell’EU, ma durerà poco, un giro di giostra e avanti un’altro. E, con rammarico, in questo macabro dòmino ci metto in prima fila la Francia, le cui armi riempiono di morti ammazzati i conflitti di tutto il mondo, politica indegna per un paese che prendo a esempio in altri campi, macchia vergognosa che nessun governo di nessun colore è finora riuscito a pulire.
Ma la Francia è anche paese laico e cartesiano, due caratteristiche che da sempre me l’hanno fatta amare. Da venerdì sera non ho sentito accuse sguaiate, non vedo caccia all’uomo o all’immigrato, parole come ‘islam’ e ‘musulmani’ sono utilizzate con molta cautela, il termine ‘islam moderato’ non ha senso e non lo pronuncia nessuno, caricature e santini squallidi e patetici come quello della Fallaci non li cita nessuno, e forse in molti in Italia si rendono conto che in quanto a politiche di immigrazione la Francia avrebbe cinquant’anni di storia da spiegare all’ignorante Salvini e ai suoi sgherri adulanti.
Le analisi sociologiche le faremo, forse, domani.
Anche se le scorciatoie a un problema complesso sono sempre alibi a un interventismo reazionario, chi sono e cosa fanno gli attentatori, chi li arma, ‘chiaro, sono ragazzi delle banlieues’, ‘bisogna raderle al suolo’, anche se poi bisognerebbe chiedersi chi ce li ha messi nelle banlieues, il ruolo dell’educazione e degli animatori nei quartieri sensibili, l’accesso all’istruzione, le pari opportunità, persino il ruolo dell’urbanistica come dice spesso un amico architetto. ‘No, non sono francesi, sono egiziani, siriani’, e allora ‘stop all’immigrazione’, come se un rubinetto malconcio e arrugginito potesse fermare l’impeto di un fiume in piena. Marine Le Pen sospende la campagna elettorale che tanto ogni morto ammazzato sono diecimila voti in più per lei e compari, non lo so, non m’interessa, non penso a voti o governi, sto ancora cercando i miei amici e contando i morti.
Sono stanco. Oggi.
Alla sociologia, alla sicurezza nazionale, alle intenzioni di voto, a come cambiare una poltica d’integrazione che deve giocoforza evolvere rispetto a quella degli anni ’60, al pericolo della ‘razzializzazione’ di tutto un paese come dice giustamente Eric Fassan, alla laicità sempre e comunque, alle schifezze sull’identità nazionale, a tutto questo, ci penserò domani.
Oggi c’è spazio solo per la solidarietà.
Solidarietà che ho visto qui, con i miei occhi, ancora una volta in pochi mesi, ma che sono sicuro ci sarebbe ovunque. Solidarietà umana.
Ecco, c’è l’umano. Carne, sangue. Sangue e vita che scorrono dove devono scorrere e non sul selciato di un marciapiede, vita che pulsa, ‘chair’, ‘trippes’.
Questo è il momento della carne, dell’essere, qui, ora. ‘Noi non abbiamo paura’, ‘We Are Not Afraid’, ‘Fluctuat Nec Mergitur’, ‘Forza Inter’ e quanti altri slogan troveremo, il pensiero è quello.
La vita c’è. Scorre. Pulsa. La vita continua. La vita è ‘viva’.
E noi siamo qui, non ce ne andiamo, non molliamo.
Mai.

Adriano ‘5th of November’

Adriano 5th of November

Nasce già extra-extraparlamentare. Se un giorno sarà scelto per una missione sulla stazione spaziale in orbita attorno a Marte, si porterà la maglia di Bonimba, una scacchiera, la manovella di un winch e un erogatore. Forse.

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