Bauscia Cafè

Adiós, Juan

Ci sono dei momenti in cui tutto deve fermarsi. Ci sono momenti in cui la portata di una notizia per certi cuori è talmente enorme, talmente devastante, da mettere in secondo piano tutto il resto. Non esistono più gli Europei, non esistono più le Nazionali, non esiste più il calciomercato nè le polemiche da quattro soldi di questo mondo dorato. Esiste un unico pensiero.
Juan Sebastián Verón smette di giocare a calcio.
Se ne va, calcisticamente, uno dei più grandi centrocampisti che abbiano mai vestito la maglia nerazzurra.
Esagero? Non lo so. So che a Verón sono personalmente molto legato ma non per qualche episodio in particolare: semplicemente perchè raramente ho visto qualcuno in grado di dipingere calcio come faceva lui. Ricordo una giocata in particolare, sicuramente una delle più belle che abbia mai visto come coefficiente di difficoltà: l’Inter giocava contro la Roma e uno dei nostri difensori ferma una azione d’attacco dei giallorossi e affida la palla a Verón, sulla nostra trequarti difensiva o forse un po’ più indietro, quasi sulla linea del fallo laterale sinistro. La Brujita senza esitare, al volo, di esterno destro, lascia partire un missile altissimo che attraversa in diagonale tutto il campo e si va a fermare, placido, sui piedi di Luis Figo che si trovava al vertice dell’area romanista, tutto spostato sulla destra del campo. Mi alzai in piedi con le mani in testa come se avessi visto il più bel gol della mia vita, e non ricordo neanche come finì l’azione. Una bellezza abbagliante. Eppure queste cose, Verón, le faceva in continuazione. Si può dire anzi che proprio questo era Verón: lampi di genio assoluti, conoscenze tattiche immense, un senso della posizione più unico che raro che gli consentiva di conoscere, in ogni istante, la posizione sua e di tutti i suoi compagni. E la capacità, nei piedi, di raggiungerli tutti indistintamente, con un margine di errore praticamente nullo. Un extraterrestre.
Un extraterrestre che a 17 anni lascia la scuola per coronare il sogno della sua vita: una firma su un contratto con la squadra della sua città, l’Estudiantes de La Plata, quella stessa squadra con cui 25 anni prima suo padre Juan Ramón –la Bruja– aveva vinto la Coppa Intercontinentale segnando un gol all’Old Trafford di Manchester. Era il sogno della sua vita, l’Estudiantes, ma la sua stella è troppo brillante per restare confinata a La Plata. Dopo tre stagioni fra prima e seconda categoria su di lui si fionda il Boca Juniors, squadra con la quale farà in tempo a giocare solo 17 partite e a debuttare in Nazionale: a Sven Goran Eriksson basta questa singola partita, contro la Polonia, per cerchiare di rosso il nome della Brujita e portarlo in Italia, alla Sampdoria. A Genova incontra Mancini e Mihajlovic, con i quali stringerà un rapporto di amicizia leale che li farà ritrovare in nerazzurro quasi dieci anni dopo, e sotto la Lanterna disegna calcio e diventa uno dei principali protagonisti della Serie A. Dopo due stagioni passa al Parma dei miracoli, quello più vincente di sempre: nella stessa stagione alza al cielo Supercoppa Italiana, Coppa UEFA e Coppa Italia insieme a Buffon, Thuram, Sensini, Stanic, Crespo e tantissimi altri campioni. Una sola stagione basta anche qui a Sergio Cragnotti, che lo chiama alla Lazio dove scriverà, di nuovo, le pagine più gloriose della storia del club: Supercoppa Italiana, Supercoppa Europea, Coppa Italia e Scudetto con Sergio Conceicao e Boksic, Salas e Nedved, Couto, Deki Stankovic e, ancora, Roberto Mancini e Sinisa Mihajlovic. Il trasferimento in Inghilterra -Manchester United e Chelsea- sembra un po’ appannare la sua stella, soprattutto nell’avventura londinese. Ma un giocatore così non ha età, non conosce fatica, e torna in Italia più forte di prima.
All’Inter, nell’estate 2004. Reduce da un quarto posto in Serie A e da poco altro, l’Inter si affida a Roberto Mancini per tornare a vincere. E Roberto Mancini si affida a lui: Juan Sebastián Verón. Con Mancini in panchina e Mihajlovic in campo, si scrivono nuove regole nello spogliatoio nerazzurro. Ci sono Vieri e Stankovic, Davids e Adriano, gli immortali Zanetti e Cordoba, ma il “cervello” della squadra è lui. In campo e fuori. Con le sue giocate e con le sue parole (resteranno impressi sia ad Adriano che a molti dirigenti alcuni suoi sfoghi, fin troppo espliciti) trascina l’Inter a successi che mancavano da troppo tempo. Il primo anno finisce con una Coppa Italia che rende pazzi di gioia i tifosi nerazzurri, il secondo inizia con la Supercoppa Italiana al Delle Alpi di Torino, contro la Juventus: è l’ultimo titolo che viene assegnato prima di Calciopoli, e nei tempi supplementari è proprio un gol di Verón a consegnare la Supercoppa all’Inter. E’ l’inizio del delirio nerazzurro: alla fine delle due stagioni saranno una Supercoppa Italiana, due Coppe Italia e uno Scudetto i trofei che daranno il via al più grande ciclo di vittorie mai visto in Italia.

La Brujita è stanca però, non regge più i ritmi del calcio europeo. Vuole tornare a casa e chiudere la carriera da protagonista -ma sarebbe più corretto dire da semidio- lì dove l’aveva iniziata: nella sua La Plata, nel suo Estudiantes. Saranno ancora 6 stagioni, 137 presenze e 19 gol: due campionati di Apertura, una Coppa Libertadores da protagonista assoluto, due volte calciatore argentino dell’anno, due volte calciatore sudamericano dell’anno. La Plata è ai suoi piedi, i tifosi del Pincha lo adorano: per loro Verón è tutto.
Per chiunque ami il calcio Verón è tutto.
Il suo nome inserito nel FIFA100 è solo un ulteriore riconoscimento alla sua classe immensa, alla carriera di un giocatore che ha persino ottenuto meno di quello che avrebbe potuto.
L’addio al calcio di Verón colpisce e fa male. Se ne va un grande giocatore, se ne va un campione vero, uno dei più abbaglianti.
Per me, oggi, se ne va un mito.
Que tengas suerte, Juan.
E grazie di tutto.

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

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