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Psycho (Inter Motel)

Il periodo Natalizio di solito è vissuto all’insegna dei buoni sentimenti, della ingorda felicità e della celebrazione dei valori positivi di condivisione e gioia. Nella mia fredda trasferta Irlandese il grigio e la partenza degli amici più cari per mete esotiche hanno fatto si che ricercassi tinte ben più cupe. Le soluzioni sono state duplici, prenotare un traghetto per l’ancor più grigia Scozia, dove almeno ho amici ad aspettarmi, e una lunga immersione nei film di Hitchcock. Inoltre avevo ancora voglia di parlarvi di Inter e di cinema, e dovevo quindi trovare un nuovo film che ci raccontasse qualcosa a tinte nerazzurre. Alla soglia del nuovo decennio poi c’era l’intenzione di raccontare l’annata appena trascorsa. Nessuno dei film di Hitchcock che ho approcciato in queste lunatiche giornate Irlandesi servivano a riassumere l’anno trascorso, tuttavia in mio soccorso arrivava un titolo studiato e ristudiato, visto e rivisto: Psycho.

Ogni parola su Psycho è sprecata visto che la sua fama lo precede. La struttura del film si basa su alcuni dei più geniali espedienti del “maestro del brivido”. Per via della nomea del film in questione mi preme molto concentrarmi sul paragone con la nostra Inter, utilizzandolo per approfondire la costruzione assolutamente unica del capolavoro del regista. Il film si apre con un atto di voyeurismo. L’occhio della camera si intrufola in una camera dove due amanti stanno consumando il loro amore. Con queste prime inquadrature Hitchcock ci sta introducendo ad uno dei temi dell’opera: sono gli sguardi ad essere fondamentali, quello della macchina da presa, capace di rivelarci una realtà nascosta prima ancora dei meri fatti, lo sguardo dei protagonisti della vicenda che scatena le loro pulsioni e paure, e lo sguardo di un pubblico a cui all’epoca fu proibito entrare in sala a film iniziato. Il nostro sguardo si pone invece sul 2019 Interista. Se la storia dell’Inter attuale è ancora tutta da scrivere, noi ci concentreremo sull’unica storia del 2019 che conosciamo dall’inizio alla fine. Un thriller-horror che ha protagonisti sgradevoli

(Tag Line, neanche a dirlo: “Tutti diventiamo un po pazzi di tanto in tanto”, ancora il tema della pazzia)

 Il film si configura inizialmente dipanandosi come ci si aspetta da un film di genere. Marion, attraverso un furto, si procura i soldi per fuggire da una vita mediocre e scappare con il suo amante ricoperto di debiti. Scappa per le desolate strade americane, attraversa un intero paese, per raggiungere l’uomo. Lo spettatore, che conosce i motivi che hanno portato al furto inizia ad empatizzare con la bellissima Janet Leigh, star a cui è affidato il ruolo di Marion, ed ad immedesimarsi in lei lungo il suo viaggio. La prima Inter dell’anno passato, allo stesso modo, ci rende in qualche modo orgogliosi nel suo tentativo di scappare ad una mediocrità in cui è stata ingiustamente confinata. Errori arbitrali (Sassuolo) e non (Handa a Torino) condizionano l’avvio in campionato, ma la Champions, con un girone di andata sorprendentemente intenso e soddisfacente, sembra riscattare la squadra. 

Prima o poi però si devono affrontare i propri incubi. Marion giunge al Bates Motel. Così come l’Inter giunge al suo periodo recentemente più cupo: Dicembre-Gennaio. A questo punto il film di Hitchock collassa su se stesso, geniale stratagemma adottato dal cineasta per raccontare un’altra storia. Alla stagione dell’Inter va molto peggio

Al Bates Motel si consuma un efferato omicidio. La bella protagonista con cui avevamo empatizzato muore in una doccia. La star del film, l’unica protagonista con cui lo spettatore si immedesimava, scompare ad un terzo dello svolgimento dello stesso. I soldi rubati da Marion, che erano serviti come espediente narrativo per muovere la storia sino a questo punto, perdono tutta la loro importanza. Accade lo stesso ai soldi richiesti dal duo Wanda-Icardi. Le contrattazioni per un rinnovo vengono accantonate. Scompaiono di fronte ad un plot twist inaspettato.

Cosa rimane allo spettatore? Cosa al tifoso?

Lo spettatore si trova perso, senza punti di riferimenti. Non ha più idea di quale possa essere lo sviluppo della storia. Non sa più in chi immedesimarsi. Di certo non Norman Bates, archetipo dello psicopatico, idiosincratico e pieno di tic. La domanda che balena nella mente dell’audience è “che storia sto guardando?”

E’ quello che accade ad inizio 2019 al tifoso interista. A gennaio si compie un crimine, a morire nelle docce dello spogliatoio, come Marion, è l’idea di Inter che si era intravista nella stagione passata e che doveva strutturarsi definitivamente. Icardi e Nainggolan, i giocatori più rappresentativi e decisivi si macchiano di questo delitto, proprio loro (insieme ad un incostante ma più onesto Perisic) che sembravano gli unici degni di un ruolo di star sul palcoscenico nerazzurro. La squadra sprofonda nella solita mediocrità. In chi è possibile immedesimarsi ora che tutti gli eroi nerazzurri hanno mostrato una natura terribilmente egoista e narcisista o una inadeguata mediocrità?

 A questo punto in Psycho entrano in scena due nuovi personaggi, il protagonista diventa collettivo: l’investigatore Arbogast e Lila la sorella di Marion. I due nuovi protagonisti investigano per ritrovare la donna scomparsa. 

Si muovono per i luoghi abitati da Bates, la cui psiche è divisa così come la sua vita, tra il Motel e la Casa Vittoriana abitata dalla madre. Allo stesso modo lo spogliatoio dell’Inter è diviso. Non conta più solo il campo, contano improvvisamente tutte le questioni legate all’ego e alle vicende private. Spogliatoio e superattici diventano due palcoscenici a cui guardare, più che il campo. I luoghi dell’Inter si spezzettano con Nainggolan che parla di Roma, vivendo a Milano, e Icardi che compra case e posta foto sibilline da ogni possibile location.

 L’Inter viene trasformata in un motel decadente da squallide trasmissioni che vorrebbero ancora di più farla somigliare alla casa del Grande Fratello. La casa vittoriana, nel film divisa su tre piani così come i tre livelli della psiche del protagonista, si presta allo stesso modo per il protagonista principale della storia: Mauro Icardi. Le sue dichiarazioni ogni giorno equivoche, frammentarie ed incongruenti arrivano accompagnate da foto in bianco e nero. Si susseguono messaggi a difesa della moglie, forte e speculatrice, e nessuno per un Inter indifesa.

Marotta è la sorella di Marion. Se la prima è un doppio di Marion, Marotta è un doppio di un Inter che poteva essere ma non è stata. Un nuovo tentativo. 

Spalletti è il detective Arbogast. 

Perché? Perché le sue indagini ed i suoi tentativi di scoprire la verità e riportare l’ordine lo porteranno solo alla morte. Simbolica tanto nel film quanto nella realtà (vedremo più avanti). La separazione dal mondo Inter è ormai scontata. La sua data di scadenza è fine stagione

La conclusione del film celeberrima sta nello svelamento della figura della madre. Icardi ha i suoi scheletri (o mummie) nell’armadio, rappresentati dalla sua dolce metà Wanda Nara, Nainggolan nell’ alcol, nella sua figura di bevitore incallito. Tra Wanda, grottesca e ambiziosa economicamente, e Mauro silenzioso e serpentesco (molto più in spogliatoio che in campo), così come tra il Nainggolan fenomeno in campo e quello di terribile Bad Boy fuori, non c’è alcun livello di separazione. Così come non esiste separazione nel terribile e inquietante rapporto tra Norman e il simulacro della madre. 

Spalletti conclude la stagione. Come Arbogast muore nella casa vittoriana, sulle scale tra il primo ed il secondo piano, così Luciano perde tanto del suo smalto, della sua carica didattica, della sua voglia di migliorare la squadra a metà del percorso tra la prima e la seconda stagione. Esautorato e destituito già a Gennaio. 

L’Inter che ci eravamo immaginati, dopo il primo buon anno di Spalletti, muore, sotterrata così come la macchina e Marion, infossata nelle paludi vicine al motel. Icardi e Nainggolan saranno costretti ad abbandonare l’Inter, così, anche se pare per motivi prettamente tecnici, anche Perisic. Le loro sono tuttavia prigioni dorate, e così come nelle ultime inquadrature vediamo una sovrapposizione completa della mummificata madre su Norman, così anche loro non possono fare a meno di rimanere quello che sono. Non sembrano aver imparato la lezione.  Rimangono tutto fuorchè professionisti. Se ne staranno buoni per un po’, fino a cadere nuovamente trappola dei loro egoismi e idiosincrasie. Per tutti i protagonisti di questa storia, sempre uguali a loro stessi, valgono le parole di un consapevole Norman.

“sapete cosa penso? Che ognuno di noi è stretto nella propria trappola. Avvinghiato, e nessuno riesce mai a liberarsene.”

Psycho sarà l’ultimo lavoro in Bianco e Nero di Hitchcock. Così le foto bianco e nere di Icardi saranno la sua ultima “prodezza” della sua vita Interista. La storia della nostra Inter sembra paradossalmente ritrovare le sfumature ed i colori sotto la guida di Antonio Conte. Ci sarà una nuova storia da raccontare. Noi nerazzurri iniziamo il 2020 provando a ritornare a vivere momenti non solo in 4K, ma addirittura a riagguantare quella tridimensionalità che abbiamo provato ormai 10 stagioni fa, speciali, come nessun altro.

Nic92

Nato dall'incontro tra l'unico tifoso cagliaritano non isolano e una grande tifosa di Batistuta, fortunosamente incontra l'Inter e se ne innamora. Ha in Julio Cesar il suo spirito guida.

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