Bauscia Cafè

Mio Padre è Gobbo

Talvolta mi ritrovo a invidiare quei bambini paffutelli nati da pochi giorni e ritratti nell’ovatta di una maglia nerazzurra dal padre, tifoso interista che ritiene doveroso trasmettere la sua passione all’erede da subito, in una sorta di imprinting bauscia, o di osmosi di fede calcistica. Mi capita perché io l’Inter ho dovuto scoprirla da solo, e sono pure stato fortunato, perché iniziai a seguirla a un solo anno di distanza da quella che sarebbe diventata l’Inter dei Record dei tedeschi e di Giovanni Trapattoni.

Ho dovuto scoprirla da solo perché ai tempi io a fatica sapevo calciare un pallone, e ai giardinetti spesso sceglievo di stare in porta perché mi piaceva tuffarmi nell’erba, e soprattutto perché era l’unico ruolo nel quale non avrei fatto la figura del coglione totale. Invidio tutt’oggi i miei coetanei che possono guardare l’Inter insieme al padre, per sentirlo sproloquiare contro l’avversaria di turno o condannando definitivamente uno dei tanti errori dei nostri terzini, perché il mio salotto nerazzurro ha sempre avuto un nemico invisibile, ma neanche più di tanto: mio padre.
Perché mio padre è Gobbo.

“Il Gobbo©, specie quando fa parte della tua famiglia, esiste per rovinarti la serata, a prescindere dall’importanza della partita. Basta che giochi l’Inter.”

Il mio babbo non è mai stato un grande appassionato di calcio: lui da giovane giocava a basket, anche a discreti livelli, e si è sempre dilettato con il tennis. Di pallone ne parlava perché tutti ne parlavano, e perché io nel frattempo dal nuoto ero passato a fare il terzino nei Giovanissimi, e quindi volente o nolente doveva sorbirsi uno sbarbatello che sognava Brehme mentre arrivava sul fondo e crossava spesso di esterno, spostandosi il pallone con la gamba d’appoggio e calciando malissimo.

Mi seguiva a nuoto, e continuò a seguirmi anche durante la mia carriera calcistica da dilettante, accompagnandomi nei campi di Livorno, nel grossetano e persino all’Isola d’Elba: lì avrei avuto modo di scoprire il lato bestiale del Babbo Gobbo, ma anche tifoso di suo figlio. Lui che in auto predicava l’etica sportiva, lo spirito di gruppo, il non provocare, e poi insultava tutti i genitori dei ragazzini della squadra avversaria se qualcuno dei loro pargoli entrava male sul sottoscritto, fino a prendersela con l’arbitro (solitamente un 18enne spaesato e atterrito dalla paura) per un rigore non fischiato, con epiteti dei quali talvolta mi sono persino vergognato. Una furia.

A casa invece la sua Essenza Gobba fluiva in modo del tutto naturale, e mio padre dava il meglio di sé in occasione delle serate da dentro/fuori dei nostri beniamini nerazzurri. Se a questo aggiungete come la sua presenza in salotto fosse costante proprio negli anni più bui e scellerati della gestione Moratti, capirete facilmente come il prezzo da pagare fosse davvero altissimo, durante quei 90 minuti.

Ricordo come se fosse ieri (purtroppo) il match di ritorno contro l’Helsingborgs, preliminare di Champions League, 23 Agosto 2000: si partiva dall’incredibile sconfitta dell’andata, ma nonostante Lippi e Robbie Keane ribaltare quell’1-0 sembrava impresa alla portata anche di un’Inter derelitta. Passai il primo tempo nella solitudine della mia poltroncina, a inveire contro quei disgraziati incapaci di venire a capo di una squadra di dilettanti o poco più.

La traversa di Seedorf, il catenaccio più granitico che io abbia mai visto su un campo di calcio e l’insipienza di 11 giocatori senza alcuna anima, supponenti, sfaticati. Poi il palo di Keane nella ripresa, le mie bestemmie che risuonavano come echi di un destino già segnato. E mio padre che, senza bussare, entrava in salotto e si sedeva accanto a me. Sornione. In silenzio.
Sapevo che accanto a me sedesse il Gufo per Eccellenza. Sapevo che quel sorrisetto nascosto con fatica fosse un misto di compassione per un figlio tifoso di una Inter senza arte né parte e godimento per un credo juventino non così vissuto (la Juve la guardava di rado, ma era sempre informato sui risultati e non mancava mai di farmi pesare ogni loro vittoria), ma comunque presente e, quindi, assetato di disastri altrui.

Quasi a tempo scaduto arrivò l’impensabile: un rigore a nostro favore. Ricordo il sussulto di mio padre, seguito da un “ma chi lo tira?” Gli indicai Recoba. La sentenza fu implacabile: “Seeee quel duro? Gli pesa il culo, figurati se segna un rigore stasera, con questo clima da morti in casa.” Il resto lo sapete.
Quella sera piansi di rabbia, lui mi abbracciò e mi disse una cosa che avrebbe ripetuto, purtroppo, altre volte: “è solo un gioco, non prenderla sul personale. E poi avete una squadra di rincoglioniti.”

Il Babbo Gobbo c’era contro il Lugano, contro l’Alaves e il Trabzonspor, nel tragicomico derby di coppa Italia. Sempre con quell’aura in chiaroscuro, tra diplomazia paterna e presagio funesto.
Non c’era nel 2002, lì ero all’Inter Club locale e ho potuto celebrare il funerale sportivo con gli amici di sempre, lontano da sguardi indiscreti e dall’influsso nefasto dello juventino di casa.
Che tacque anche al mio rientro, tanto sapeva come fossimo bravissimi a farci male da soli.

Mi è mancato crescere con la gioia e la sofferenza di avere un padre di fede nerazzurra, anche se questa rivalità in famiglia mi ha insegnato a sopportare le nostre sconfitte, così come le facili ironie altrui.
E a capire come discutere di calcio con un gobbo sia pressoché impossibile, anche quando è tuo padre.

Però mi ha insegnato ad essere una persona buona ed è per questo che, nonostante tutto, continuo a volergli tanto bene. twittalo

E lo ringrazio per avermi fatto interista, anche se probabilmente non era nei suoi piani.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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