Bauscia Cafè

L’interismo di Gaucci

La cosa a cui assomigliavo di più una settimana fa era il Luciano Gaucci dei tempi d’oro. Finita la partita col Real mi sentivo vulcanico, l’aggettivo che veniva sempre associato al tracotante presidente, quasi come fosse un secondo nome. La parola “vulcanico” mi suggeriva un Gaucci perennemente paonazzo, col fumo che gli usciva dalle orecchie e la testa pronta a saltare per aria come un tappo di champagne.

Ecco, una settimana fa ero così. Dopo il gol di Rodrygo mi è letteralmente esploso il cervello, ed ho iniziato a reclamare la testa dell’allenatore, del direttore sportivo, dell’a.d. e di chiunque spalleggiasse le loro posizioni. Ero pronto a sostituire Conte con Carolina Morace e a ingaggiare il terzogenito di un despota a caso per schierarlo al posto di Lukaku.

Il brutto è che questo stato d’animo si è protratto anche il giorno dopo, segno che non si trattava soltanto di un delirio post-partita, ma di qualcosa di più radicato. Lo spirito di Gaucci si stava davvero impadronendo di me, e continuava a spadroneggiare indisturbato. Non sapevo come fare per uscirne, ero pronto a fare le valigie per Santo Domingo e ad avviare una latitanza sposando quattordici cameriere, non vedevo davvero più la luce. 

Poi, per fortuna, la partita col Sassuolo ha cominciato a placare il demone, permettendomi addirittura di ragionare con un briciolo di lucidità sulla nostra corrente situazione. In particolare, ho potuto appurare l’avvenuto ritorno sulla nostra panchina di Antonio Conte, che all’inizio di questa stagione era stato sostituito dal mostruoso Gasperonte, un terrificante doppelganger dedito a orge di bellezza e ricerca estetica. 

Dopo il 3-0 di sabato, una traccia di speranza ha dunque cominciato a farsi largo fra i vasi sanguigni intasati dalla gauccitudine, fino a raggiungere il centro della mia razionalità. Ripetere la stessa gara fatta di attenzione, contenimento e verticalità anche contro il Borussia appariva di colpo non soltanto possibile, ma anche altamente probabile, quasi consequenziale. Per quanto un altro pensiero catastrofista cominciasse a fare capolino (la partita col Borussia l’abbiamo già vinta diverse volte, è come il ritorno con lo Slavia e la semifinale con lo Shaktar un anno fa, vinceremo ma poi ci cacheremo addosso all’ultima), gli spiriti gaucciani hanno cominciato a dileguarsi, rimanendo comunque attivi sottotraccia (pronto Serse? Hai da fare? Che ne pensi di Eriksen?).

Ora, battuto il Borussia e smaltita (credo) la follia della scorsa settimana, confesso di essere piuttosto confuso. Gaucci mi ha mollato di colpo, se n’è andato così com’era venuto, e ha lasciato dietro di sé uno strano senso di vuoto. Non so bene come considerare la vittoria di martedì, se la svolta decisiva di un percorso che finalmente smetterà di incepparsi a un passo dal traguardo o se la penultima tappa di un tour già visto, preambolo ad un’altra manifestazione di incompiutezza. Diciamo che, a tratti, Gaucci sembra essere stato sostituito da una sorta di Crisantemi, che mi guarda scuotendo la testa mentre studio la tabella per il passaggio del turno. 

Bravo, continua a ripeterti che il rischio biscotto non esiste, che il Real giocherà per vincere, vai vai

Insomma, ammetto candidamente di non capirci più granché, e vorrei vedere voi a capirci qualcosa, con presenze del genere che vi ronzano nel cervello. Nei rari momenti di lucidità, riesco comunque a rallegrarmi del fatto che Conte (almeno lui) sembra aver messo da parte le sue crisi d’identità. Le ultime partite, compresa anche quella di Bergamo, testimoniano che l’assurda pantomima di un’evoluzione tattica – per la quale non era pronto né lui né la rosa che ha a disposizione – è stata abbandonata, in nome della semplicità e del buon senso.

E meno male, perché andare alla ricerca della bellezza con Antonio Conte è una cosa che mi ha mandato fuori di testa, sin dall’esordio stagionale con la Fiorentina. Lo ritengo uno dei propositi più assurdi in cui mi sia imbattuto da quando seguo il calcio: sarebbe come andare a caccia di pragmatismo con Juan Roman Riquelme, o come esigere una rabona da Mudingayi. Da Conte non mi aspetto rievocazioni del calcio totale, ma un lavoro che porti questa squadra a superare i limiti e le paure che la attanagliano da più di nove anni. E ritengo che sia più probabile che ci riesca rimanendo sé stesso, piuttosto che desiderando di essere qualcun altro. 

Quindi, per concludere, la settimana che verrà si annuncia potenzialmente foriera di una confusione purissima. Diversi spiriti si alterneranno dentro di me, e in definitiva so di poter far soltanto una cosa: stringere il culo e sperare che finisca tutto bene, come ho fatto durante gli ultimi minuti a Gladbach, quando ho emesso dei latrati che più di una persona ha scambiato per i tremendi ultimi sospiri di un cocker lancinato dal dolore.

(scopro soltanto adesso, dopo averlo tirato in ballo mille volte, che questo 2020 è stato fatale anche per Luciano Gaucci. A lui va quindi la dedica di questo di post, nella speranza che in futuro non ci sia più bisogno di rievocarlo in tutta la sua vulcanicità) 

Grappa

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