Bauscia Cafè

L’Inter e il Gattopardo

Sono Stefano, nato nel 1985, credo di essere interista dal momento in cui mio padre disse a mia madre “Ehi, se facciamo un secondo figlio lo chiamiamo Stefano?”, nel mentre il primogenito aveva già la camera tappezzata di poster di Zenga e Rummenigge. Ho pianto poche volte nella mia vita, si contano sulle dita di una mano forse. Il giorno tra il 4 e il 6 maggio di qualche anno fa, il giorno in cui il Fenomeno si presentò a San Siro davanti ai suoi nuovi tifosi, il giorno in cui lo stesso Fenomeno cadde a terra col ginocchio spaccato in due, il giorno in cui sotto la Madonnina diventavamo Campioni d’Europa contro tutto e contro tutti. L’Interismo ha pervaso ogni ambito della mia esistenza, mi capita spesso di accostare ogni evento della mia vita a un periodo preciso della beneamata. Ad esempio ho conosciuto mia moglie il 5 Aprile 2014, uscendo di casa dopo aver visto una partita dei nerazzurri, vi lascio il compito di cercare quella partita e di immaginarvi lo stato d’animo in cui affrontavo la vita in quella notte di sofferenza. Chissà cosa sarebbe successo se l’avessi conosciuta il 18 Maggio dello stesso anno…


No. Non si tratta di un gatto grassoccio con le sembianze del noto conduttore di Tiki Taka. Si tratta invece di raccogliere la nota citazione del libro sopracitato e di capire se può essere applicata alla nostra Beneamata dall’arrivo di Suning ed in particolare di Mister Conte in quel di Appiano Gentile.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Analizziamo quindi la situazione: l’Inter come società e come identità è oggettivamente cambiata molto.

Semplificando si può dire che abbiamo affrontato tre fasi nel recente passato:
1) “Era Morattiana” culminata con il noto Triplete tanto bramato e invidiato dai nostri avversari
2) “Era Indonesiana” dove a guadagnarci finanziariamente è stato solo il patron Thohir
3) “Era Mandarina” ad oggi agli albori e tutt’ora in fase di definizione

Non ci soffermeremo su quanto capitato tra l’era Morattiana e l’era Indonesiana, abbiamo già sofferto abbastanza, non esisteva ancora Inter Media House e alcuni (molti) di noi gongolavano durante le povere presentazioni dei vari Jovetic/Kondogbia/Joao Mario e mi fermo perché mi trema la mano. Tra partite indegne, allenatori provinciali (anzi comunali) e un ottavo posto nella stagione 2014/15 avevamo la sola consolazione di arrivare praticamente ogni anno davanti alla terza squadra di Milano.

Puntiamo lo sguardo invece all’approccio gattopardiano del giovane Zhang, supportato da papà Suning.

Era indispensabile infatti cambiare tutto; e tanto è stato cambiato in tutti gli ambiti.

Tra le tante rivoluzioni ricordo il centro sportivo rinnovato, la già citata Inter Media House, ma soprattutto dirigenti, allenatori e giocatori di livello e caratura sicuramente diversi. Senza dimenticare la gestione del calciomercato (dove noi tifosi diamo il meglio e il peggio), caratterizzato da un approccio totalmente diverso dagli acquisti “di cuore” dell’era Morattiana e “ad cazzum” dell’era Indonesiana.

Torniamo quindi al Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Tutto deve rimanere com’è, se vogliamo che tutto cambi. Può essere questo concetto il fulcro di ogni reale rivoluzione: non abbiamo bisogno di sconvolgere lo stato di fatto. Il vero cambiamento deve avvenire dall’interno dell’entità “Inter”, ci dobbiamo focalizzare sull’essere Inter modellandoci come l’acqua occupa un recipiente, perché in fondo una volta passati i video di presentazione sui social, le conferenze stampa, i grandi proclami, davvero tutto rimane com’è. Rimaniamo noi stessi.

Ecco il duplice significato: se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com’è; se tutto rimane com’è, tutto può cambiare interiormente. twittalo

E quindi, ora, parliamo di calcio giocato. Cosa è cambiato? Quali sono le stagioni e gli episodi che ricordiamo nel bene e nel male? Sono le le partite vinte/perse/pareggiate dove siamo stati coinvolti emozionalmente! Ci ricordiamo l’Hombre Vertical e la sua mano sul cuore, ci ricordiamo le capriole di ObaOba, ci ricordiamo i litigi tra scinochio e la curva, ci ricordiamo del pareggio al derby di Schelotto, il 3 a 2 del Chino contro la Samp, il gol di Toldone contro quelli là con carica sullo “scommettitore seriale”. Avrei centinaia di aneddoti di ogni tipo da sfoggiare!

Il mio timore è quello di assistere impotente alla trasformazione di quello che per me è emozione, stile di vita, un approccio alla quotidianità, in una mera società di calcio che basa il suo successo sul pareggio di bilancio e sull’aumento costante dei follower sui social, dove il risultato sul campo è solo in funzione dell’introito economico che lo stesso risultato porta nelle casse societarie. Quello che mi manca oggi è l’emozione sul campo, la fame, la garra, la cazzimma, chiamatela come volete.

Martedì abbiamo pareggiato contro lo Shakhtar Donetsk, gli ultimi 20 minuti sono stati di possesso e gestione, un approccio ordinato, basico, matematico, razionale. Non un guizzo, un’idea, una follia, un portiere in area, un “palla dentro e speriamo”. Tutto per tutelare cosa? Per tutelare quale idea di calcio?

Quella di martedì sera (e purtroppo anche in altre recenti prestazioni) non è l’Inter emozionale che conosco, mi lascia un insapore in bocca, mi viene quasi da pensare che avrei preferito perderla quella partita, magari all’ultimo secondo in contropiede.

È cambiato tutto in pochi anni; a partire dall’allenatore che sta dando vita a un calcio lineare, dove non esiste fantasia, esiste solo ordine e disciplina. Ma a prescindere dal successo o meno di questo approccio siamo sicuri che questo tipo di calcio ci rappresenti?

Sappiamo tutti che in generale serve altro e a noi e alla nostra Inter serve ancora di più per arrivare là in cima, posto che questo sia l’obbiettivo dell’Interismo.

Siamo cambiati esteriormente? Si, molto!
Siamo cambiati interiormente?

Appuntamento a fine anno per tirarne le somme.

StefanoDeio

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