Bauscia Cafè

Il miglior post di tutti i tempi

Un nuovo post, una nuova sfilza di illuminanti e dirompenti riflessioni, messe in ordine con dei punticini accanto per facilitare la lettura, e il tutto gratis, senza che dobbiate far nulla, la pappa già pronta e scodellata, ma che volete di più oh, ma roba da matti guarda.

  • Come qualcuno di voi si sarà accorto, domenica abbiamo vinto il derby. Con questa vittoria, esauriti i festeggiamenti delle ore immediatamente seguenti al trionfo, è tornato di moda con prepotenza l’antico adagio dello scudetto come obbligo, come “minimo” raggiungibile da Conte: secondo questa linea di pensiero, dopo 10 anni di pane e merda vincere il campionato sarebbe giusto un contentino. Interessante notare come tutto ciò generi un curioso paradosso: dato che la Serie A è l’unica competizione che ci rimane da giocare da qui alla fine, va da sé che vincerla è il massimo che possiamo fare… ma è contemporaneamente anche il minimo.
    Una gustosa antinomia che avrebbe fatto la felicità di Bertrand Russell.
Bertrand Russell. E' sua la frase del mese di gennaio. | Associazione di  Storia Contemporanea
  • Altro adagio che impazza in questi giorni è quello dell’Inter tutta catenaccio e contropiede, una squadra di brutti ceffi che speculano sulle ripartenze interrompendo con prepotenza le ariose ed eleganti trame degli avversari. Contropiede che, ricordiamo, è affar brutto e cattivo, una pratica antisportiva che deturpa la bellezza e l’armonia del giuoco insozzandola con i soliti sotterfugi da italiuccia.
    Come ben sappiamo, per essere dalla parte del Giusto bisogna costruire dal basso, preferibilmente dal portiere. Si deve cercare di attrarre un gran numero di giocatori avversari nella propria metà campo, per poi sfruttare le proprie capacità tecniche per eludere il pressing e ribaltare il campo con una rapida serie di passaggi, di modo da creare una situazione di superiorità numerica. A quel punto, entra in gioco la qualità dei giocatori offensivi: l’obiettivo è – tramite una combinazione di scelte giuste e di qualità di esecuzione – quello di arrivare praticamente in porta col pallone, di norma con un cross all’indietro che permetta un facile appoggio in rete da pochi passi.
    Certo, forse sarebbe un po’ troppo chiedere tutto questo a una squadra di pedatari catenacciari come la nostra, magari nel momento decisivo della partita, con i fulmini in maglia rossonera che attaccano a pieno organico, in un derby tra prima e seconda alla fine di febbraio, però forse col tempo ci arriveremo.

  • Forse, ripensandoci, il fatto di aver definito così i gol dell’Inter si deve ad un’interpretazione maggiormente inclusiva della parola “contropiede”, che nel linguaggio comune è spesso utilizzata anche per descrivere situazioni in cui un soggetto è colto alla sprovvista dall’azione di un altro. Forse è questo il punto della questione: i tifosi milanisti, e Pioli stesso, non si aspettavano che l’Inter potesse partire dalla propria porta e arrivare in quella opposta senza nemmeno far toccare il pallone ai propri avversari, così come non si aspettavano che in campo aperto Lukaku potesse doppiare Romagnoli (chi poteva immaginare un simile evento?) e spaccare la porta col sinistro, o che, in generale, se passi tutta la partita ad attaccare come se fosse il 95esimo, basta sbagliare una scalata per concedere pericolosissime situazioni di uno contro uno contro attaccanti ed esterni rapidissimi. È possibile che sia proprio in tal senso che l’Inter ha segnato “in contropiede”: evidentemente alcuni commentatori, milanisti e non, sono anche dei fini linguisti, e ci tengono in modo particolare ad usare le parole della nostra splendida lingua esplorando tutte le loro possibili accezioni.  

  • Tornando sui fulmini in maglia rossonera, sono diversi giorni che mi domando quale sia lo strano influsso che spinge degli scaldabagni come Kessie, Leao e Dalot (oltre a gente come Donnarumma e Hernandez che ha tutto, ma proprio tutto ancora da dimostrare) a lanciarsi in sprezzanti proclami giornalieri nella settimana che precede il derby. Dichiarazioni tracotanti, frecciatine ironiche, l’atteggiamento tronfio di chi considera la propria superiorità come un dato di fatto. Qual è il punto di atteggiarsi à la Paul Newman, se poi ti guardi allo specchio e sei Martufello? Che sia la presenza del noto speaker svedese, uno che da sempre ha fiato da vendere davanti ai microfoni e che da quasi due decenni ci somministra i suoi esercizi retorici con costanza encomiabile (salvo poi terminare diverse partite con una sostituzione al 60esimo mentre la sua squadra è sotto di due o tre gol, specialmente a San Siro)… che sia la sua figura ad aver donato a questo esercito di elettrodomestici una parlantina così frizzante?
“Il derby lo vinciamo noi e torniamo in testa”
  • Rallegrandoci del fatto che i nostri, per fortuna, sono stati tutti più o meno silenti, possiamo anche tessere loro qualche elogio, che vorrei riservare a due giocatori in particolare. Da qualche settimana, Perisic interpreta alla perfezione il ruolo di quinto sinistro di centrocampo, mentre Eriksen ha dimostrato appieno di poter giocare da mezzala con Conte. Due cose che solo fino a un mese fa ci sembravano impossibili, fuori dalla realtà. In molti (e io per primo) ritenevano già da mesi quella del croato e del danese due battaglie perse: per motivi differenti, certo, e non senza grossi rimpianti. Sta di fatto, comunque, che immaginare un loro apporto decisivo in questa fase della stagione sarebbe stato davvero molto complicato, per non dire fantasioso. Eppure è andata proprio così.
    Tutto ciò mi ha fatto riflettere su una cosa: rassegniamoci all’idea di non capirci un cazzo. Noi che stiamo qui a chiacchierare come ossessi abbiamo un gap conoscitivo spaventoso rispetto a chi vede i giocatori tutti i giorni, ci parla, li carezza e li porta fuori a pisciare. Non possiamo conoscere le vere ragioni di un rendimento non all’altezza, perché ciò che vediamo la domenica non è sufficiente ad esaurire l’analisi. Non sappiamo davvero cosa può dare o cosa non può dare un giocatore, non conosciamo le sue capacità di apprendimento o la sua situazione personale. Basiamo le nostre analisi, nel migliore dei casi, sulla punta dell’iceberg: e questo solo se vediamo tutte le partite e siamo in grado di comprenderle, il che taglia fuori dal discorso già una enorme fetta di sedicenti (eppur parlanti) appassionati – ovvero, coloro che giudicano basandosi sugli highlights e sugli strilli dei telecronisti. Certo, ci sono aspetti che emergono chiaramente dalle partite (quelli più “globali”, diciamo, come un cambio di atteggiamento tattico o una complessiva interpretazione di una partita, o delle fasi di una partita), e su questo è giusto discutere, ma su altre cose ne sappiamo davvero troppo poco per dar fiato alla bocca.
    Quindi, insomma, facciamoci un favore: cerchiamo di fare silenzio quanto più possibile, o quantomeno, di non conferire alle nostre opinionucce lo status di verità assolute.

  • Anche perché nell’ultimo anno (ma anche nell’ultimo mese), oltre alle bocciature di Eriksen e Perisic, abbiamo sentito (e detto) in sequenza anche che Lautaro non segna più, che Lukaku non incide nei grandi match, che Conte non ha capacità di cambiare spartito e che fa giocare solo i fabbri, che Skriniar non è adatto alla difesa a tre, che Brozovic e Eriksen non possono giocare insieme, che Vidal ha tradito la fiducia di Conte e via dicendo. La potenza di queste dichiarazioni sembra essere assoluta: basta pronunciarle perché si verifichi prontamente il contrario. Persino Handanovic, dopo mesi in cui gliene abbiamo dette di ogni dato che la differenza tra lui e un radiatore in ghisa è stata tutta appannaggio del radiatore, si è messo di buona lena ed ha fatto delle belle parate. Se ha funzionato persino con lui, direi che è giusto provarci anche col resto della rosa, perciò vi invito ad uscire fuori e ad urlare a gran voce che
    – Sanchez non segna neanche con le mani
    – Kolarov non prende più la porta su punizione
    – Gagliardini non riesce a fare un passaggio a più di 4 metri
    – Darmian non è assolutamente capace di prendere palla nella sua metà campo, esibirsi in una piroetta e iniziare uno slalom a passo di danza che lo porti a dribblare sei giocatori toccando il pallone per quindici volte, percorrendo 60 metri di campo fino a depositare la sfera in rete dopo aver evitato anche il portiere avversario, per poi correre alla bandierina mentre un acceso telecronista uruguagio si interroga a gran voce su quale sia il suo pianeta di provenienza.

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