Bauscia Cafè

Conte partirò

Èstata una settimana balorda, per noi cuori nerazzurri. La classica settimana dove si stracciano le vesti, ti sei un po’ rotto le palle di certe figure di palta e hai bisogno di qualcuno col quale prendertela.
Avreste dovuto vedere il gruppo WhatsApp di noi Bauscia dopo l’oscena Inter-Real Madrid…tuttavia, un sottile filo univa i nostri sproloqui e la nostra disperazione di tifosi: Conte, lèvati dai coglioni.

Ci può stare eh, lasci una stagione conclusa sì con l’amaro in bocca, ma col miglior risultato dal 2010 a oggi, sfiorando due trionfi e avendo negli occhi una squadra robusta, cazzuta, cattiva e pragmatica, assisti a un calciomercato fatto di buoni colpi, di richieste del tecnico accontentate, di occasioni colte al volo – anche se poi dilapidate per motivi che non starò adesso ad approfondire – e sogni, una volta di tanto, di avere finalmente una base solida, fondamenta dalle quali ripartire, un percorso finalmente impostato, un approccio che, piaccia o non piaccia, delinea una identità precisa.

E invece no, tutto troppo facile.
Qualcosa si rompe in estate, un quasi divorzio, le voci su Allegri, l’incontro di Villa Bellini raccontato come l’ultima puntata di Lost; poi tutto – almeno apparentemente – rientra, e ci ritroviamo un Antonio Conte in fase di beatitudine. Non si incazza, sorride perfino troppo spesso, è contento anche dopo una sconfitta, perché è comunque colpa degli arbitri/della Jella Scarogna/dell’avversario bravo a leggerci (grazie al cazzo Antonio, ti metti sempre allo stesso modo, ti leggerebbe anche Stevie Wonder).
Quello che lascia basiti è soprattutto la mutazione di Conte nell’approccio alla partita: non più una squadra con la bava alla bocca, talvolta addirittura operaia, ma sempre alla ricerca della concretezza e del risultato, no.
L’Inter cerca di diventare qualcosa di diverso, differente da se stessa e dal suo allenatore: una sorta di tentativo di europeizzazione, fatto con la rosa sbagliata e contraddicendo gli stessi dettami che hanno reso il nostro Antonio quello che è, e uno che sa portare a casa anche qualche trofeo.

Un Guardiola col trapianto e meno coolness.

Non si capisce il perché di questa svolta alla ricerca dell’estetica, col trequartista praticamente sempre fuori dal match, con gente fuori ruolo o chiamata a fare cose che, semplicemente, non sono nelle loro corde. Accade così che tu perda la solidità conquistata, che tu diventi non soltanto leggibile dall’avversario, ma addirittura vulnerabile, sprecone in attacco e difettoso in difesa.
Vacillano le certezze, si aprono i dubbi e il balletto dei “ma che fa?”.
E si sa, il mondo Inter quando si perplime si deprime, perché era l’anno dove si sarebbe iniziato a vincere qualcosa, mentre invece ti ritrovi smarrito, fragile. E sconfitto.

Se prendo un allenatore che è noto per essere sempre costantemente, incazzato come una bestia, pretendo che lo sia davvero. Altrimenti assumo Gioele Dix. twittalo
Il Gerrard nerazzurro (cit.)

Tocca quindi a noi utilizzare una sana dose di pragmatismo per capire quello che potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è: sulla nostra panchina siede un allenatore che o si ama o si odia.
Conosciamo i suoi limiti, i suoi trascorsi, quello che incarna, il suo modo di fare calcio.
Non abbiamo la possibilità di cacciarlo, ma abbiamo la possibilità di utilizzarlo per ciò che sa fare meglio, e lui è il primo a doversene convincere.
Nessuna trasformazione, nessuna vendetta incrociata, soltanto fare quello che ha saputo fare – e per larghi tratti molto bene – lo scorso anno, con una rosa più forte.
A Reggio Emilia si è vista l’Inter del vero Conte, facilitata dall’atteggiamento avversario, ma finalmente con ogni pedina al suo posto, un’Inter addirittura operaia, finalmente concreta, una “provinciale di lusso”, come molti scrivevano ieri su Twitter, ma che sa fare il suo dovere.
Al mister il compito di uscire dal corpo di chi non sarà mai e tornare quello che cava il sangue dalla rape, che bada al sodo.
Se proprio dovessi chiedergli qualcosa, sarebbe trovare la chiave per non inciampare in partite dove gli altri si schierano a specchio o rinunciando a giocare al calcio.
Lì deve metterci del suo, e non serve snaturare il suo credo: serve fare l’allenatore e lo psicologo. Dei suoi e di se stesso.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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