Bauscia Cafè

Quel pasticciaccio brutto

Ci sono tante occasioni, nella vita e ancora più spesso nel calcio, in cui in una discussione risulta difficile stabilire da che parte sia il torto: troppi intrecci, troppe condizioni, capita spesso che tutte le parti in gioco abbiano un po’ di ragioni sul punto del contendere. Ecco: quanto successo all’Inter in questi giorni non è decisamente uno di quei casi. Al contrario, qui risulta difficilissimo capire da quali parti siano le ragioni. Il torto invece, in maniera fin troppo evidente, è ovunque.
Ha sbagliato Mancini, tanto per cominciare. Fin dal primo giorno di ritiro. Troppo impegnato a seguire il suo ego per rendersi conto del fatto che stava mettendo sul piatto atteggiamenti inaccettabili: prima le improbabili scuse sul mercato (“vuole giocatori già pronti” è davvero un’obiezione che si può fare a Banega, Candreva, Ansaldi?), poi puntare i piedi per un rinnovo che risultati alla mano non era giustificato da nulla (avrebbe potuto conquistarselo sul campo, per esempio legandolo alla qualificazione in CL), infine, pare, l’ultima provocazione con una proposta di rinnovo rifiutata per alcune clausole.
L’impressione è che Mancini semplicemente non avesse più voglia di continuare a fare questo lavoro. I motivi non li conosciamo, ma può non essere difficilissimo indovinarli: da un coinvolgimento non proprio di primissimo piano nel mercato attuale alla presenza “oscura” nel nuovo assetto societario di alcune figure a lui poco gradite (Kia, anyone?), dai rapporti non propriamente cordiali con Thohir e Bolingbroke alla paura di costruire qualcosa per qualcuno che sarebbe arrivato l’anno prossimo e ne avrebbe raccolto i veri frutti: tutte obiezioni che sarebbero cadute davanti al rinnovo proposto dalla nuova proprietà, ma che -appunto- è stato rifiutato. Ne emerge l’immagine di una persona prima che di un allenatore difficilissima da gestire dal punto di vista umano -di fatto il solo Ausilio riusciva in qualche modo a stargli dietro- che aveva semplicemente perso gli stimoli. Senza discutere su quanto sia etico o meno “perdere gli stimoli” a fronte di un contratto di lavoro dipendente né tantomeno su quale sia stato l’apporto tecnico di Mancini all’Inter e quale avrebbe potuto essere nel futuro: se non qualificarsi all’ultima CL è una colpa gravissima, di certo passare da Vidic, Kuzmanovic e Jonathan a Miranda, Kondogbia e Perisic è un merito non indifferente. Ma ha scelto un’altra strada Mancini e, quel che appare certo dopo questi giorni, è che comunque sia stato lui per primo a sceglierla. Certo, almeno evitare la finta intervista al figlio sarebbe stato elegante.
image
Non ha di certo meno colpe la Società, dall’altro lato. Certo già capire di chi si parla quando si dice “la Società” sarebbe utile, ma in questa fase non è evidentemente possibile: per vari motivi Suning sta scegliendo di gestire questa transizione con un approccio a fasi, dando la priorità al potenziamento della situazione economico-finanziaria del club, per poi passare alla gestione delle finanze stesse e poi, solo in ultimo, prendere in mano la gestione sportiva che nel frattempo resta sotto il controllo di Erick Thohir, azionista uscente. Se non fosse che Erick Thohir è a Rio de Janeiro con la delegazione olimpica indonesiana, e quindi c’è Bolingbroke. Che però è un uomo della proprietà uscente e conta relativamente, o comunque deve fare i conti con il “consigliere massimo” di Suning dal punto di vista sportivo, ovvero Kia Joorabchian. E mentre Jindong Zhang guida dall’esterno come sua abitudine (non fa neanche parte del consiglio di amministrazione), suo figlio Steven cerca in qualche modo di mettere ordine in tutto questo. Evidentemente impossibile, in un mese di lavoro.
Solo in questi giorni stanno arrivando a Milano i primi uomini di Suning (Ming Zheng, uomo di primo piano allo Jiangsu e al Suning Sports Group) che -ancora senza togliere poteri a Thohir e ai suoi- inizieranno a mettere il naso nelle faccende nerazzurre. Il risultato di questo caos societario è stato un mese buttato al vento, con un allenatore insofferente che spingeva per arrivare a una risoluzione inevitabile, giocatori insoddisfatti della guida tecnica, figure imbarazzanti sul campo, il rischio, concretissimo, di aver buttato al vento una stagione ancora prima di iniziarla e una domanda ancora drammaticamente senza risposta: chi comanda oggi all’Inter?
In mezzo a tutto questo, Frank De Boer è paradossalmente l’ultimo dei problemi. Contattato per la prima volta due settimane fa dall’Inter (e ancora: perché non accelerare i tempi con Mancini? Perché perdere altre due settimane?), il tecnico olandese si ritrova catapultato in una realtà difficilissima sia per il caos societario di cui sopra -che evidentemente colpirà anche lui visto che ancora, Ausilio a parte, non avrà una figura di riferimento verso la proprietà- sia per le sue caratteristiche personali.
image
Al di là di quelle che saranno le sue scelte tecniche, che avrete letto un po’ ovunque in questi giorni (consigliamo in particolare Hendrik Van Der Decken su DopoLavoroInter e Alberto Di Vita su ilmalpensante), De Boer si ritrova in un campionato che non conosce e in un “sistema calcio”, chiamiamolo così, estremamente particolare. Allenatore con le idee ben chiare pur non essendo affatto un integralista, il nuovo mister nerazzurro ha sempre avuto ed avrà bisogno di tempo per plasmare la squadra a modo suo e per costruire una transizione da una idea di calcio estremamente fisica come quella di Mancini a una più votata alla tecnica e alla velocità come la sua, da una squadra “ballerina” in difesa come questa Inter a una solida soprattutto dietro come le sue. Al di là degli uomini e degli interpreti -è innegabile che la rosa dell’Inter sia decisamente più forte e completa dell’anno scorso, con alcuni ritocchi ancora da fare- la filosofia di base sarà completamente diversa, e questa filosofia non si costruisce in dieci giorni. Sì, perché è fra dieci giorni che inizia il campionato e l’Inter ha appena scelto di rompere nettamente tanto con il passato recente quanto con la tradizione e iniziare una avventura completamente nuova.
Ci proverà De Boer, e naturalmente speriamo tutti ci riesca e soprattutto che abbia il supporto di tutti, ma di certo sarà l’ultimo responsabile di quello che potrà succedere quest’anno. Un anno che, ancora, inizia senza sapere quali sono gli obiettivi di questa squadra secondo la Società: puntiamo ancora a una qualificazione in Champions alla quale è imprescindibilmente legato il futuro di squadra e allenatore, o siamo all’ennesimo inizio dell’ennesimo progetto che dovrà dare un gioco, un’impronta, i giovani, il futuro, il marchio, fra tre anni si vedrà?
E soprattutto: chi e fra quanto spiegherà chiaramente chi è che comanda all’Inter?

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

477 Commenti
Nuovi
Vecchi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti

PODCAST

Twitter

Instagram

Instagram has returned empty data. Please authorize your Instagram account in the plugin settings .

Archivio