Bauscia Cafè

Mazzarri l'incompreso

Eh già, chi l’avrebbe mai detto: siamo ad un punto dal reale obiettivo stagionale, complice anche una Fiorentina vittima di un allenatore che si è sentito fenomenale troppo in fretta, salvo essere smentito dai fatti. Quindi evviva, bene così, impossibile fare di più con questa rosa, abbiamo ritrovato la difesa di una volta, che bravo il mister. Mi rendo conto sia frustrante e persino antipatico fare la punta al cazzo ad un’Inter comunque vincente nel giorno del suo centoseiesimo compleanno (portati benissimo, peraltro, altro che certe Vecchie Signore…), ma non riesco a scindere i risultati dal come vengono ottenuti.

Riflettendo su questo punto, credo sia oggettivo rilevare come la squadra vista contro un Torino disastrato dalle molteplici assenze fosse la stessa “ammirata” in occasioni altrettanto noiose dal punto di vista della prestazione e meno fortunate sotto il profilo del risultato: laddove un legno, una sciagura arbitrale, la bravura del portiere avversario o la serataccia di una nostra punta ci avevano condannati al pareggio stiracchiato, stavolta è intervenuta la magia, vera o presunta che fosse, di un Palacio nuovamente decisivo, con quel beffardo colpo di testa a scavalcare il quasi inoperoso Padelli.

Una giocata del singolo che non dovrebbe però trarre in inganno, senza nulla togliere alla felicità per i preziosi punti conquistati in un’occasione così particolare: pur avendo trovato alcune importanti conferme, su tutte quella di Rolando, capace di trascinare nel vortice dell’agonismo estremo anche un redivivo Ranocchia, l’Inter targata Mazzarri resta una squadra ingolfata. Ed è tale per un semplice motivo: il gioco (dicono si chiami così) continua sistematicamente a passare per i piedi dei due giocatori più caotici ed incompleti che l’undici titolare possa presentare. Nagatomo e Jonathan, per quanto operosi, impegnati e talvolta decisivi, restano giocatori limitati, talvolta addirittura comici nelle loro interpretazioni tattiche.

È proprio per questo motivo che non si capisce perché, in una situazione del genere, l’allenatore preferisca intestardirsi sull’appoggio perpetuo agli esterni piuttosto che sfruttare il potenziale a disposizione nella zona nevralgica del campo, dove anche Hernanes sembra brillare soltanto a sprazzi, soffocato da un possesso palla orizzontale che annega la fluidità dell’azione, facilitando lo schieramento difensivo avversario ed annullando le possibilità di verticalizzazione, in una sorta di elastico che trova il punto di non-ritorno all’altezza dei venti metri avversari. Proprio per questo i famigerati “detrattori di Mazzarri” come il sottoscritto non sanno spiegarsi perché non sia possibile un approccio diverso, che consideri le fasce come una zona in più da sfruttare in certe occasioni e non come l’unico, possibile sentiero da percorrere contro qualsiasi squadra rivale.

Appellarsi al cielo con quote diverse.
Appellarsi al cielo con quote diverse.

E per lo stesso motivo molti faticano a capire l’ostracismo verso D’Ambrosio, che non sarà un fenomeno ma in maglia granata ha dimostrato in numerose occasioni di saper interpretare il ruolo dell’esterno in modo più completo ed efficace di quel Jonathan che sembra titolare inamovibile. Una scelta fatta da chi li vede settimanalmente e sulla quale non mi sento di sbilanciarmi più di tanto, suffragata forse anche da motivi fisici (ma allora il pluridecantato Pondrelli a cosa stracazzo serve?), ma contraddetta da ciò che vediamo in campo ogni domenica: se una squadra rinuncia alla zona centrale, se non in fase di alleggerimento, per spostare ogni azione sui due esterni, per quale motivo non impiegarne uno che sa effettivamente fare il lavoro che Mazzarri chiedeva ad esempio al Maggio visto nel suo Napoli? Chi vivrà vedrà, sempre che non gli esplodano le gonadi durante la visione, con conseguenze devastanti per sé e per l’apparecchio televisivo.

 Insisto comunque sulle critiche all’attuale mister perché non mi accontento dei risultati e non mi accontento del lavoro sul campo fatto finora: questa Inter, nata incompleta ma nient’affatto scarsa (consultate pure la formazione del Parma che ha battuto il Verona, nella quale figurano tre nostri scarti ed un’accozzaglia di giocatori che nessuno di voi immaginerebbe titolare nell’Inter e che, con una partita da recuperare, si ritrova ad un misero punto di distacco dalla nostra fantasmagorica quinta piazza), non migliora, non cresce, si limita a vivacchiare e, quando le cose girano meglio come accaduto di recente, riesce a strappare vittorie sfuggite in precedenza. Non demerita, ma non fa nulla più del compitino accademico per meritare: è a immagine e somiglianza del suo allenatore, incapace di scrollarsi di dosso quella mediocrità che, per quanto mi riguarda, lo accompagna da sempre e lo rende inadatto all’apertura di un nuovo ciclo nerazzurro.

Il secondo tempo, passato a guardare il Torino giocare, è un chiaro indice di questa idea di calcio fatta di “primo non prenderle” e di mentalità conservativa e conservatrice. Credo che l’Inter del futuro abbia bisogno di altro: è vero che sono i giocatori a fare la differenza, ma è altrettanto vero che chi li guida dovrebbe essere in grado di mettere chi ha a disposizione in condizioni di farla, questa dannata differenza.

Spero lo sappia anche Thohir.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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