Bauscia Cafè

Vedi Napoli e poi pari

Al netto di quelli che pensavano già a quante volte Handanovic si sarebbe chinato a raccogliere il pallone dentro la propria porta e quelli che, invece, avrebbero voluto un’Inter corsara contro una delle squadre più brillanti del momento in tutta Europa -dopo aver passato la settimana ad affermare l’esatto contrario, dando per scontata una sonora sconfitta-  l’Inter a Napoli non ha giocato una partita qualsiasi e con ogni probabilità ha dato finalmente un senso al proprio campionato, più con questo pareggio a reti inviolate che con le precedenti vittorie.
Chi racconta di un Napoli dominante e sfortunato o di un’Inter alle corde e catenacciara dovrebbe occuparsi di badminton o, semplicemente, dichiarare la propria fede calcistica per evitare brutti equivoci; nessun dubbio sul fatto che gli uomini di Sarri abbiano giocato un match clamorosamente intenso, mettendo in mostra tutta quella qualità e quegli automatismi ormai unanimamente riconosciuti da chi guarda e commenta il calcio europeo e creando più opportunità da rete rispetto ai nostri ragazzi. Non ci sono neppure dubbi sul fatto che il migliore in campo sia stato Handanovic e che per Icardi sia stata giornata di vacche magre, nonostante una partita “operaia” fatta di giocate intelligenti e molto sacrificio.
Quello che a molti sfugge e che costituisce la chiave di questa partita è stato l’atteggiamento in campo dell’Inter, mentale e tecnico. Tutti ricorderanno la mestizia con la quale l’Inter di Pioli affrontò la trasferta dello scorso anno, con quei 2 gol subiti nei primi 6 minuti di gioco e quella dimostrazione di schiacciante superiorità partenopea che tutti avevano salutato come inevitabile conseguenza di una remissività totale, una rinuncia a priori alla sfida che non ammetteva scusanti.

Il portiere dell'Inter. Che -toh- para per l'Inter.
Il portiere dell’Inter. Che -toh- para per l’Inter.
Ecco, quella remissività è stata spazzata via dall’Inter schierata da Spalletti sabato sera: non catenaccio, ma consapevolezza dei propri limiti e nei propri mezzi, non rinuncia, ma scelte tattiche precise e mirate. Certo, tra il dire e il fare ci son di mezzo i piedi di Nagatomo, D’Ambrosio e Miranda o il mezzo polmone di Borja, ma ancora una volta c’era un piano di gioco studiato a tavolino, intelligente, c’era una coesione di intenti, c’era quello che da anni non si vedeva più in nerazzurro e che ha fatto brillare gli occhi di tanti tifosi: una squadra in campo. Undici uomini che cercavano, contro un avversario con più gamba e qualità, di fare comunque la partita, di non rinunciare alla possibilità di fargli male, soffrendo come era ovvio che fosse, ma senza mai dare l’impressione di collasso imminente.
E quello che sorprende è che siano proprio i più deficitari a gettare il cuore dell’ostacolo, a non mollare mai nonostante gli errori. Per un Nagatomo che sbaglia c’è anche un Nagatomo che rimedia e che comunque si sbatte, suda, lotta, mi fa bestemmiare comunque, ma almeno ci prova. E come lui D’Ambrosio, che sembra aver capito quali siano i suoi margini e tenta allora di dare il 120% in quello che lui può fare, che non sarà mai Maicon ma neppure Brechet, che lavora insieme ai compagni e si fa in quattro per limitare i danni.
Uomo-immagine di questa ritrovata consapevolezza è Antonio Candreva, che si è scrollato di dosso critiche e scetticismi con due partite di enorme livello, dimostrando che avere palle e voglia di lavorare può rispedire al mittente qualsiasi fischio di disapprovazione.
Spalletti in 9 giornate di campionato, con qualche botta di culo e una cultura del lavoro da grande allenatore, ci ha restituito una squadra di calcio e, cosa ancora più importante, non si accontenta. Lo ha detto chiaramente nel post-partita: avremmo potuto fare ancora meglio ed è questa la sintesi di quello che ha fatto finora e dovrà continuare a fare, ovvero spronare continuamente i suoi uomini a non darsi mai per vinti, a sfidare se stessi e i propri limiti, a mettersi in discussione giornata dopo giornata per migliorarsi e arrivare al 100% assoluto di quanto ciascuno di loro sia in grado di offrire. È proprio questa la sfida più grande per Luciano da Certaldo: tenere costantemente sulla corda una rosa di giocatori che, in attesa di Skriniar (sempre sia lodato) e Icardi, non ha ancora un leader in campo e ha quindi bisogno di essere sollecitata sempre e comunque. Più l’avversaria sarà fragile, più quelle sollecitazioni dovranno diventare frequenti, quasi ossessive, perché lui sa benissimo che sedersi e lasciare che le altre scavino il solco in classifica è solo questione di un attimo.
Sarebbe un delitto non dare a Spalletti la possibilità di giocarsi fino in fondo le proprie chance puntellando i punti deboli di una rosa corta, senza alternative e dagli enormi margini di miglioramento. Nel frattempo ci godiamo, finalmente, una squadra di calcio.
E se questo significherà bestemmiare ancora per un disimpegno o una diagonale sbagliata ce ne faremo una ragione, perché stiamo adesso tifando una squadra di calcio, e non più un agglomerato di gente vestita di nerazzurro per puro caso.
Domani si torna già in campo e sarà ancora una volta una di quelle sfide insidiose e viscide che non puoi permetterti di fallire, se vuoi restare tra i protagonisti.
L’ennesimo banco di prova, perché per questa Inter -non date ascolto a Sconcerti e a chi ci vorrebbe già “da scudetto”, siamo già caduti in passato nella stessa trappola- gli esami non finiranno mai. Ed è giusto che sia così.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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