Bauscia Cafè

Di sogni, milioni e di altre sciocchezze

Eppure io un periodo come questo lo ricordo.
Ne ricordo di peggiori, per carità, come anche di migliori. Ne ricordo di simili e di paragonabili. Ma c’è una cosa in particolare che, nel sentire le discussioni tecniche che si fanno intorno alla squadra in questi giorni, mi fa provare una curiosa sensazione di déjà-vu. Dice: “a questa squadra manca qualità a centrocampo” e mi si scatena dentro un temporale di ricordi. “Manca qualità a centrocampo“, quante volte l’ho già sentita? Senza andare troppo indietro nel tempo, anche ai tempi di Mancini e del primo Mou si indicava questo come problema. Da Verón in giù, ci provarono persino Pizarro, Jimenez e Pelè a “dare qualità al centrocampo“. Vieira-Cambiasso-Stankovic: manca qualità a centrocampo. La squadra è troppo fisica: manca un regista, manca uno in grado di pensare, manca uno che sappia dettare i tempi, manca uno che sposti gli equilibri.
Poi si accende la luce.

Wesley+Sneijder+AC+Milan+v+FC+Internazionale+BRmaJx-Lfvml

Milano, 30 agosto 2009: la luce abbaglia San Siro. Finisce con Rizzoli che si avvicina a Leonardo: “Mister, lo vuole il recupero?“. Lui scuote la testa confuso, frastornato, abbagliato. Era il novantesimo, ma prima c’erano stati 76 minuti di tanta, tantissima luce. 76 minuti conclusi con la sostituzione con Vieira che era più di un cambio di un giocatore: era un cambio di paradigma, un cambio di punti di riferimento, una rivoluzione. Un’annata fantastica, iniziata da trequartista dietro due punte e finita da appoggio per Milito, con Eto’o e Pandev a fare il lavoro sporco, Thiago Motta e Cambiasso (e Stankovic) a guardargli le spalle, il Principe a trasformare in oro ogni suo lampo. 48 partite, 13 gol, 16 assist e perle di rara bellezza. Ricordi indimenticabili. Il Milan, la Dinamo Kiev, il CSKA, il Barcellona, il Bayern Monaco. Una favola che continuava in Sudafrica. Vittorie su vittorie: Coppa Italia, Campionato, Champions League. Il capocannoniere dei Mondiali, una palla messa sui piedi di Robben che a momenti portava la Coppa in Olanda, il più meritato dei Palloni d’Oro scippato da Messi. Rivedo i video di Sneijder come un innamorato piantato di fresco guarda le foto della sua ex, disperato. Sneijder. Butto lì il nome quasi per caso, cercando di non dargli troppo peso per vedere l’effetto che fa pronunciarlo. Colpi di tacco, tunnel, passaggi filtranti, punizioni a giro e fendenti da lontanissimo. Il prototipo del giocatore moderno: baricentro basso, rapidità di pensiero ed esecuzione, fantasia, determinazione, carattere, rabbia. Ma è lì, nel momento in cui ammiro quella feroce determinazione nei suoi occhi, che mi rendo conto che c’è qualcosa che non va.
Sono tutte immagini del 2010.
Poi più nulla.
wesley_sneijder_disperazione_inter_getty
Il lento e inesorabile crollare dei numeri è solo lo specchio del lento e inesorabile crollo tecnico, tattico. Agonistico. La determinazione viene sostituita dall’insofferenza, dall’indisponenza. Dall’accidia mista a dispetto verso i suoi compagni colpevoli, sempre più spesso, di non passargli il pallone come voleva, di non muoversi come desiderava, di non far parte -sostanzialmente- del giochino perfetto che lui aveva in testa: Wesley Sneijder protagonista in una grande squadra, la trasformazione da ciliegina a magnifica torta. E così le braccia si alzavano in gestacci più velocemente di quanto le gambe corressero sul campo e quelli che una volta erano assist al bacio si trasformavano sempre più spesso in tiracci da distanze improbabili. In campo prima, fuori dal campo poi con allenamenti sempre meno intensi, infortuni sempre più improbabili, permessi sempre più fantasiosi, comportamenti sempre più provocatori. “Ci lascia l’ultimo top player che ci era rimasto“, ho letto in questi giorni. Rispondo che ci aveva lasciato già da un po’, da due anni almeno. E quei video, quelli che ci prendono come un pugno allo stomaco, non sono altro che una conferma.
Un mercenario? Un traditore? No, solo un ragazzo particolare che aveva bisogno di un ambiente attorno a sè altrettanto particolare. Un magnifico comprimario -perchè questo era stato anche nel 2010- che quando c’è da fare la voce grossa sparisce, incapace geneticamente di prendersi la squadra sulle spalle. “Tutto deve andare bene affinché io possa giocare bene“: lo dice lui stesso, oggi. Non che sia una colpa fra l’altro, solo un dato di fatto. Non a caso doveva essere lui il sacrificato, prima che l’Anzhi arrivasse a fare una offerta indecente a Samuel Eto’o. Non a caso non c’è stata nessuna fila alla porta dell’Inter in questi giorni, nonostante un prezzo irrisorio per il suo cartellino: solo una folkloristica squadra (“Terim non vuole Sneijder? Lo stipendio a Terim lo pago io“) di un campionato inferiore anche a questa Serie A, l’unica disposta a dare a Wes quel che chiedeva, l’unica -probabilmente- della attuale dimensione di Wes.
Non che l’Inter ne esca meglio peraltro, anzi: l’ennesimo giocatore svenduto, l’ennesima sceneggiata messa in piedi da Marco Branca e gestita in maniera pessima, l’ennesima situazione che Moratti è stato costretto a sbloccare personalmente. Soprattutto l’ennesimo divorzio a pesci in faccia che noi tifosi non meritavamo. E se è vero che la stessa società si è dimostrata pressochè infallibile nel mercato in uscita recentemente (Thiago Motta, Maicon, Lucio, persino Julio Cesar: dove sono? Cosa fanno?) è altrettanto vero che sulle modalità, sui tempi, sulla gestione si può e si deve molto lavorare ancora. Per non parlare di quanto si dovrebbe lavorare sui sostituti, ma questa è un’altra storia.
Se ne va un altro pezzo del Triplete e forse, lo dico sommessamente, noi tifosi meritavamo ben altra sceneggiatura. Se ne va un altro pezzo del Triplete e forse è persino giusto, per quanto paradossale, che ad andare siano stati i più giovani di quella squadra: quelli che non sono riusciti a ripartire psicologicamente, prima ancora che fisicamente. Solo una questione di soldi? No, certo che no. Va a prendere la stessa cifra offerta dall’Inter, Sneijder, dopo aver fatto di tutto per non ascoltarla neanche l’offerta dell’Inter. Dopo essere letteralmente scappato dalla Pinetina per evitare un incontro con Moratti, quando la situazione forse non era ancora così compromessa. Nessuna questione di soldi, solo una questione di scelte, di valori. Di valori reali e valori percepiti: Sneijder non riteneva più l’Inter alla sua altezza e, convinto di trovare orde di spasimanti in Spagna e Inghilterra, si è dovuto accontentare del Galatasaray e di due lire di buonuscita.
Questione, persino, di valori morali: se ne va un giocatore che l’Inter non l’ha mai capita e che dall’Inter è sempre stato amato ma mai adorato, come forse gli sarebbe piaciuto e come invece è toccato ad altri suoi compagni di squadra. Se ne va un giocatore che potrebbe facilmente svernare al Milan, perchè il profilo, diciamocelo serenamente, è quello lì.
Troppo diversi, Sneijder e l’Inter, eppure così bravi a camminare insieme al momento giusto. Abbiamo vissuto il momento più alto della nostra storia con te e te ne siamo grati, Wes. Così come tu hai vissuto il momento più alto della tua carriera con noi, ma forse non te ne sei ancora reso conto.
In bocca al lupo Campione, corri a coronare il tuo sogno in Turchia.
Senza rancore.

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

PODCAST

Twitter

Instagram

Instagram has returned empty data. Please authorize your Instagram account in the plugin settings .

Archivio