Le motivazioni? Varie, e tutte molto valide: per esempio il fatto che vincendo il quinto Scudetto consecutivo questa Squadra meravigliosa si è presa un posto d’onore nella storia del calcio italiano, un posto che nessuna Champions, nessuna Intercontinentale, nessuna impresa singola può darti. Un posto meritato, quasi doveroso.
Un altro motivo? Il fatto che, vincendo, questa fantatica serie è rimasta aperta e può essere ancora -incredibile a dirsi- migliorata.
C’era anche, marginale, il gusto di mettere in riga tutta la corte dei miracoli del calcio italiota, un calcio che mai come quest’anno ho sentito lontano da me e dalla nostra Inter, un calcio mai così ridicolo e privo di credibilità.
C’era, soprattutto, la convinzione e la consapevolezza di aver già fatto abbondantemente il nosto dovere in Europa, di essere andati oltre le più rosee aspettative, di aver guadagnato una oggettiva aurea di non-criticabilità da questo punto di vista, Vittoria o no. “La Champions sarebbe solo una meravigliosa ciliegina su una torta ancor più bella”, dicevo.
E invece.
E invece è arrivata la Coppa Italia. La stupida, piccola, insignificante (solo quando la vincono gli altri) Coppa Italia. E’ arrivata quella furiosa partita di Roma, condita da uno dei soliti gol del Principe, a stravolgere tutto. Non sono state solo le mie emozioni e i miei pensieri a subire le conseguenze dell’ennesimo Portaombrelli (sempre quando la vincono gli altri) messo in bacheca: è stato tutto. Il senso di una intera annata semplicemente rivoltato dalla conquista della Sesta.
Bayern Monaco – Inter non è più solo una Finale di Champions League. Non è solo una partita che aspettiamo da quasi quarant’anni, non è solo l’ultimo atto di un trofeo che non alziamo al cielo da quasi cinquant’anni. Bayern Monaco – Inter è una partita che le nostre rivali storiche non hanno mai giocato e, forse, mai giocheranno.
Quella stessa Storia con la quale in Italia viaggiamo sottobraccio ormai a qualsiasi livello, quella stessa Storia nostra compagna fedele, ora ci aspetta fuori dagli abituali confini. Niente più Italia, niente più Europa: ci sta chiedendo di dimostrare se meritiamo davvero di entrare a far parte dell’Olimpo.
Il treble.
Solo cinque Squadre nella Storia del football sono state capaci di completarlo. Solo cinque Squadre sono riuscite ad affiancare a Campionato e Champions anche la tanto bistrattata Coppa Nazionale.
E poi noi.
Era il 1965, era la Grande Inter di Angelo Moratti e Helenio Herrera. Campioni d’Europa sul Benfica di Eusebio, Campioni d’Italia sul Milan di Rivera. E lei. Quella Coppa Italia persa solo in finale, quella Coppa Italia oggi già in bacheca. Quella Coppa Italia che fa la differenza fra l’eccezionale e la Leggenda.
Oggi, 45 anni dopo, ci è concessa una seconda opportunità. Molti non hanno avuto neanche la prima, pochissimi hanno avuto l’onore di un secondo appuntamento. Noi sì. Lo affrontiamo con consapevolezza e leggerezza, con il peso della Storia che incombe e con la tranquillità di chi sa di aver dato sempre e comunque tutto per questa maglia. Lo affrontiamo ben sapendo che tutto questo rientra nell’imponderabile del calcio, ben sapendo che per quanto forte potrà mai essere un’altra Inter non è detto che avrà una nuova opportunità. Il terzo appuntamento non c’è mai stato per nessuno.
E allora perdonami, Scudetto. Perdonami, Campionato. Perdonami, compagno fedele e fidato di cinque anni di successi e di trionfi. So che è solo grazie a Te che sto giocando questa partita. So che Tu per primo mi hai permesso di arrivarci, e Tu per primo godresti di un mio Trionfo. E quindi so che capirai.
Ti chiedo ancora scusa, però. Ti chiedo ancora perdono, ma io stavolta e per una volta sola…sì: io voglio la Coppa.