Bauscia Cafè

Fame, qualità, e serietà.

Luc Castaignos: 173 minuti, 1 gol . Media di un gol ogni 173 minuti.
Diego Milito: 862 minuti giocati, 4 gol. Media di un gol ogni 215,5 minuti.
Giampaolo Pazzini: 1053 minuti giocati, 3 gol. Media di un gol ogni 351 minuti.
Diego Forlan: 369 minuti giocati, 1 gol. Media di un gol ogni 369 minuti.
Mauro Zarate: 821 minuti giocati, 1 gol. Media di un gol ogni 821 minuti.
Eccoli i numeri dello strepitoso attacco interista 2011/2012. Dopo 13 giornate (ossia un terzo del campionato) il nostro reparto avanzato ha prodotto, in totale, contando cioè il contributo di tutti gli attaccanti in rosa, la bellezza di sei gol. Di questi due su calcio di rigore, siglati da Milito.
La crisi interista, a mio avviso, risiede qui: una volta stabilizzata la fase difensiva (non nel migliore dei modi, come abbiamo visto sabato sera: con un’ Udinese meno sprecona e gigiona il risultato sarebbe potuto essere molto diverso, basti ripensare al contropiede sprecato malamente da Isla prima del suo stesso vantaggio, ed all’occasione buttata da Di Natale, che è andato a colpire un suo compagno a terra a portiere superato, senza nemmeno citare il rigore parato da Julio Cesar) rispetto all’immenso colabrodo targato Gasperini, le difficoltà della nostra squadra le vediamo ben chiare ogni volta che la palla in nostro possesso supera la metà campo. Idee zero o quasi, stato di forma precario a dir poco, frustrazione per la situazione venutasi a creare a livelli altissimi, buonasorte non proprio presentissima, di certo non aiutata dalla nostra audacia.
A pensarci bene il Gasp ce l’aveva anche detto, ricordate? La coperta è davvero corta, o si attacca e si resta sguarniti dietro, o si difende ed il portiere avversario può tranquillamente prendere ed iniziare a giocare a scopone scientifico con i fotografi dietro la porta. In più gli infortuni, patiti nelle zone nevralgiche del campo (Sneijder, scopertosi di anno in anno sempre più di cristallo: ma come ha fatto con Mou a giocarle praticamente tutte? E poi Maicon, colosso incrinatosi leggermente dall’età che avanza inesorabile anche per lui) così come nel reparto avanzato (Forlan, in via di recupero) hanno tolto moltissima qualità e fiato ad una squadra che di qualità e fiato ne ha bisogno come fosse ossigeno.
Tra l’altro, un aspetto dei tanti che salta amaramente all’occhio guardando questa Inter è la povertà. Non economica, ovviamente, ma di attributi tecnici. Nella partita contro l’Udinese i calci d’angolo, arma suprema dell’Inter targata Mancini, sono stati battuti dall’esordiente Faraoni e da Alvarez, le punizioni dal limite da Motta e Milito (!!). Quindi anche improbabili accostamenti con il Milan dei senatori abbioccati post Champions regge relativamente (lo sottolineo perchè in varie interviste Cambiasso ha accennato questo paragone, parlando dello scorso scudetto rossonero, dimenticando stranamente di sottolineare come oltre a Pirlo Seedorf e compagnia cantante, il Milan abbia anche preso Thiago Silva e Ibrahimovic, non Alvarez e Poli insomma), quella era una squadra composta da un centrocampo lento e tecnicissimo, il nostro invece è lento e con tanta volontà, il più delle volte rimasta inespressa, quest’anno. C’è una bella differenza.
Come vediamo quindi (e non è una novità insomma, se ne parla ogni giorno) i problemi sono sia strutturali che contingenti, sia di programmazione che di mera sfortuna, sia in attacco che in difesa, che a centrocampo. Questi problemi sono fisiologici e radicati in ogni tessuto della nostra società, vanno risolti, sanati, bonificati. Ma per alcuni (diciamo meglio: per la stragrande maggioranza) di loro non si può far nulla a dicembre, si può far relativamente poco a gennaio, bisogna fare molto nel corso del tempo, a partire da ora.
Quello che però mister Ranieri, con il doveroso appoggio societario può fare,  è cercare di mettere in campo gli uomini migliori. Non sto qui a parlare di moduli, sarebbe anche inutile visto che l’evidenza dei fatti dichiara che noi un modulo nemmeno ce l’abbiamo, ma che modifichiamo partita dopo partita il nostro assetto in campo per adattarci agli avversari, come il Chievo di turno insomma, ma di potenzialità, morale, fortuna, adattabilità. Valore assoluto.
Giampaolo Pazzini è forse, dei tanti nostri abulici attaccanti, l’uomo più in crisi. Un solo gol in campionato, un paio di traverse, un rigore decisivo sbagliato nel modo più umiliante e frustrante possibile, al novantesimo. La sua involuzione realizzativa è preoccupante, si è passati da “l’uomo che entra e segna” a “l’uomo che gioca e non segna”. Aldilà dei consigli presidenziali (Massimo, io ‘ste valanghe di gol ancora non le vedo), il problema principale per un attaccante con le sue caratteristiche è la mancanza sistematica di cross da fondo campo. Solo contro l’Udinese ne abbiamo visti un paio, partiti dai piedi del giovane Faraoni, per il resto, lo zero assoluto o quasi. E le sue caratteristiche sono proprie del tipico cannoniere, dell’attaccante che stazione in area in cerca di palloni da scaraventare in rete, non di certo da punta che si abbassa per far salire la squadra, per far partecipare in maniera collettiva i compagni alla costruzione dell’azione di gioco. E il mio personalissimo parere è che, in un momento come questo, con questa cronica difficoltà ad andare in rete, il lusso di tenere un “novello Trezeguet” stabile in area di rigore, lasciando agli altri dieci il compito di portare sù la palla, non ce lo possiamo proprio permettere.
Ecco perchè come prima punta vedo molto meglio, in questa situazione specifica, il vecchio Diego Milito. Che sarà bollito, sarà un fantasma, sarà immobile, sarà l’ombra, il fratello scarso di quello ammirato ed idolatrato due anni fa, ma come media realizzativa è il primo in graduatoria (escluso Castaignos, che però conta su un numero di minuti giocati non paragonabile a quella del Principe). Certo, inclusi i rigori, direbbero i detrattori. Certo, ma i rigori bisogna segnarli, mi sembra che si sia visto anche sabato scorso, ribatterei io.
Perchè contro l’Udinese il rigore al novantesimo se l’è guadagnato Diego, il lavoro di cucitura tra attacco e difesa, pur con tutti i suoi limiti anagrafici e di mobilità , Diego l’ha fatto, andando anche al tiro in un paio di occasioni. Perchè Diego di gol se ne mangia parecchi ormai (contro il Lille l’ultimo di una serie troppo ravvicinata), ma è anche quello che, se le cose vanno male come stanno andando, dà più sicurezza per quanto riguarda il poterne fare. E’ anche (particolare da non trascurare) il giocatore, tra i nostri attaccanti, che le difese avversarie temono di più, semplicemente perchè tra i cinque è di gran lunga il più forte.
Attenzione, non sto dicendo di costruire una squadra intorno a Milito, ma semplicemente di, in un periodo di vacche magre come queste, rivolgersi all’usato sicuro se il nuovo sfavillante non risulta essere più così sfavillante, dopo solo un anno scarso di utilizzo.
Con l’imminente ritorno di Forlan poi si avrà anche la possibilità di intervallare l’utilizzo dell’uruguagio con quello del sempre più deludente Zarate, che nonostante la fissa per l’azione personale e nonostante il cospicuo premio assist, non incide in nessuno dei due casi. Ora, come dicono in molti, di giustificazioni ce ne sarebbero pure: il ruolo di trequartista non gli è congeniale, il ragazzo si trova in un ambiente nuovo, e con pressioni diverse. Ma anche qui di cose ce ne sarebbero da dire. Le pressioni ci sono come ci sono a Roma, più che altro sono gli obiettivi che sono (dovrebbero essere) diversi. Il ruolo di trequartista non gli sarà sicuramente simpatico, ma Zarate non è che abbia giocato sempre dietro le punte, questo va detto. Anzi, l’essere spostato nella tre quarti campo è stata una semplice eccezione in un inizio d’anno che l’ha visto più o meno costantemente partire titolare, e nella stragrande maggioranza delle volte stazionare nella zona sinistra dell’attacco nerazzurro, e puntualmente vederlo abulico e pasticcione. Per quanto riguarda il nuovo ambiente c’è da dire che non sono così sicuro che questo possa essere un male, considerando che alla Lazio il ragazzo aveva rotto con praticamente tutti, e che qui è coccolato da tutto il clan degli argentini (che, considerazione personale anche questa, sarebe bene non si allargasse troppo). Talmente coccolato e protetto da potersi permettere, in una sera nefasta come quella della sconfitta in casa contro Di Natale & Company, di andare beato in discoteca insieme al compagno di merende Alvarez sino ad orari improponibili (tra l’altro ci sarebbe da dire che, pur essendo assolutamente nei loro diritti fare una cosa del genere, quantomeno i due deficitano in scaltrezza, per usare una astuta perifrasi).
In ogni caso, a me sembra che la coppia Zarate – Pazzini sia stata effettivamente tra le più deludenti viste negli ultimi anni con la sacra maglia addosso. Cambiare servirebbe, la competitività fa venire ancora più fame, fa stare più concentrati i giocatori (a parte il numero 28 che a me sembra un caso perso in partenza, ma sarei felicissimo di sbagliarmi), li rende più padroni dei propri mezzi. La meritocrazia nel calcio non sempre è la cosa migliore, ma in taluni casi andrebbe applicata. Ecco perchè, oltre all’invertirsi della coppia titolare, spero in un sempre maggiore utilizzo di Castaignos. Ad esempio spero che il giovane giochi titolare in alcune partite casalinghe, che giochi da punta, che segni, che ci faccia vedere che possiamo attendere con più tranquillità un suo fiorire. Che la serietà e la professionalità non hanno età, così come la qualità. A mio avviso l’Inter e gli interisti hanno bisogno di un nuovo pupillo in attacco, di un nuovo Supermario, di qualcuno che li scaldi nell’immediato, e che li coccoli mentalmente pensando ai millanta gol che potrebbero venire con questa maglia. Ecco perchè Luc, 15 gol in Olanda al primo anno in prima squadra, qualche minuto di più, e da punta centrale, lo dovrebbe giocare. Il ragazzo ha secondo me tutte le qualità per poter far benissimo in carriera, fisico tecnica e… testa. Sì, testa, perchè a 18 anni lasciare tutto e venire dall’Olanda in Italia non è come prendere l’autobus e farsi Brescia – Milano. E l’avere timore di uno stadio come San Siro, è umanamente bellissimo se visto su di un ragazzino. Significa dare il giusto peso alle cose, avere i piedi ben piantati nella realtà, essere una persona seria. Il futuro non sai mai cosa ti riserverà, e le persone cambiano spesso i punti di vista, le prospettive del loro mondo, ma per adesso questa è esattamente quella che dovrebbe avere un diciottenne serio. Quindi, bene così.
Perchè in un momento come questo, in cui tutto sembra girar male, io dalle punte della mia squadra mi aspetto solo e soltanto una cosa. Che pensino alla rete continuamente, tutto il giorno, tutti i giorni. Che bramino e desiderino riempire la porta avversaria più di ogni altra cosa. Eccola la meritocrazia applicata al calcio, è questo quello che cerco. Fame, qualità, e serietà.

Vujen

Classe '85, marchigiano, interista da tre generazioni. Appassionato di fotografia, Balcani e cose inutili ma costosissime. I suoi pupilli sono Walter Samuel e l'indimenticabile Youri Djorkaeff. Lautaro più altri 10.

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