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Il primo Mourinho: Árpád Weisz

Nella stagione 1925-1926 nell’Inter giocava un certo ungherese di nome Árpád Weisz. Questa dì per sé non è una notizia straordinaria, all’epoca i nostri campionati erano pieni di ungheresi, come dimostrano le statistiche della RSSSF a riguardo.
Árpád era nato dalle parti di Budapest e dopo aver giocato al Törekves (Ungheria), al Makkabi Brno (Cecoslovacchia) e all’Alessandria era approdato all’Inter. Ma il giocatore che fu non ci interessa, infatti la sua carriera fu interrotta da un grave infortunio.
Il bello viene dopo: nel 1927 torna all’Inter da allenatore e “scopre” il diciassettenne Giuseppe Meazza. Nella stagione 1929-1930 Árpád e l’Ambrosiana vincono finalmente il Campionato, Meazza è il capocannoniere e segna addirittura 31 goal segnati in 33 partite. Questo è il primo campionato che si gioca con la formula del girone unico a 18 squadre, 7 delle quali sono allenate da ungheresi.
Ma cosa distingue Árpád Weisz dai suoi colleghi dell’epoca? Cosa lo rende, secondo me, il primo Mourinho della storia del calcio?
Árpád Weisz è il migliore allenatore della sua epoca. Vince con l’Ambrosiana, che prima di lui non è certo la prima della classe, si permette di vincere lo scudetto con il Bologna per due anni di seguito (1936 e 1937) e poi di portare lo stesso Bologna alla vittoria Parigi nel 1937 della Coppa dell’Esposizione (chiamiamola “la Champions League dell’epoca”) contro il Chelsea. Gli inglesi, gli inventori del football.

Il Bologna vittorioso sul Chelsea.
Scopre il talento di un ragazzino che gioca nell’Inter e lo lancia in prima squadra a 17 anni, facendolo allenare con gli esercizi palla al muro per farne un giocatore ambidestro, creando il più grande giocatore italiano di tutti i tempi.
Giuseppe Meazza: l'inizio.
Giuseppe Meazza: la consacrazione.
Si allena con i giocatori, per la prima volta un allenatore si mette la tuta e scende in campo con i suoi ragazzi, pianificando la preparazione atletica come se non fossero gli anni ’30. I giocatori lo amano e lo rispettano. È un perfezionista, parla di schemi, di norme tecniche, di ruoli in campo, di metodologie di allenamento e scrive il manuale “Il giuoco del calcio”, un volume quasi introvabile che pone le basi della letteratura calcistica in campo tecnico.
La copertina e un estratto dal volume "Il giuoco del calcio".
Árpád Weisz purtroppo ce lo siamo perso per strada, complice un silenzio di più di 70 anni, finalmente interrotto dal bellissimo libro di Matteo Marani, direttore de Il Guerin Sportivo: Dallo scudetto ad Auschwitz, Aliberti Editore.

“Fatto sta che di Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. […] Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo” Matteo Marani

Marani ha fatto un lavoro immenso, dato che di Weisz non si sapeva quasi nulla. Si è messo a girare mezza Europa per trovare vecchi giornali, foto e lettere. La sua inchiesta ha portato alla luce il mondo di questo grande allenatore, dai primi anni in Italia alla fuga dalle Leggi Razziali, alla prigionia e morte ad Auschwitz. Ma si tratta di una vera biografia che parla solo marginalmente di calcio, leggendolo scopriamo un uomo colto, che ha viaggiato tra Argentina e Uruguay per studiare il calcio, che ha trovato in Italia una seconda casa e ha creduto fino alla fine che la sua posizione l’avrebbe in un certo modo esentato dalla persecuzione nazista. Ci ha creduto fino all’ultimo, Árpád Weisz l’allenatore ebreo, rifugiandosi in Olanda, a Dordrecht proprio vicino al nemico.

 
“Visto da lontano, Arpad Weisz non è alto e non è basso. Non è bello e non è brutto. E’ un uomo normale, nelle forme fisiche quanto nel volto. Eppure basta osservarlo qualche istante per non staccargli lo sguardo di dosso. Ha qualcosa di misterioso e insieme di magnetico, una faccia simpatica e intelligente, che si scopre lentamente. Il sorriso è vago e indefinito, ma possiede anch’esso una strana magia…E’ il momento più bello della sua vita e dista appena nove mesi dalla fuga dall’Italia, meno di quattro anni dall’inferno di Auschwitz, meno di sei dalla fine di tutto.”
Finito di leggere la biografia di Árpád Weisz, ho chiuso il libro e ho riletto il retro. “Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito.” Enzo Biagi.
Da leggere.
Per chi vuole saperne di più (fonte: Comune di Bologna)
Recensione de Il Giuoco del Calcio, Weisz – Molinari (Lo sport Fascista, 1930)
Intervista a Weisz appena arrivato a Bologna in cui parla anche di Inter (Il Littoriale, 1931)
Weisz raccontato da Il Littoriale (1934)
Weisz raccontato da Il Littoriale (1935)
Articolo di Weisz per Il Littoriale (1935)

Miss Green⁵

Sono nata e cresciuta all’ombra dello stadio, nel piazzale ho imparato ad andare in bici e in motorino. Da piccola dicevo che Malgioglio era mio padre, si somigliavano molto.

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