Bauscia Cafè

Asciuga-man

La partita di ieri sera, la prima sconfitta dopo mesi di vittorie e copponi alzati, non può far altro che scatenare, nell’umorale popolo interista, il consueto disfattismo che da sempre accompagna le sconfitte della squadra. Questo perchè ogni volta rivediamo i fantasmi del passato, ogni volta rispuntano le vecchie paure, e ciò nonostante gli ultimi e, soprattutto, l’ultimo anno di grandi trionfi. E’ così, c’è poco da fare, e gli spiragli per poter sperare in una crescita, da questo punto di vista, dei tifosi, non ci sono. E ok.
Quel che mi preoccupa, oggi, è che per la prima volta, riflettendo bene sulle due partite finora giocate e sul lavoro fin qui svolto, ho pensato che stavolta un po’ di ragione ce l’hanno, i consueti disfattisti. Questo perché tutte le battute d’arresto degli ultimi due anni sono state le normali interruzioni di un progetto che, anche alla luce di queste, continuava ad appararire ben lineare e, soprattutto, definito (e parlo degli ultimi due anni perché, prima, qualche tentennamento nel progetto c’era stato). Ne prendiamo tre a Bergamo? Ok, ma non cambia niente: la strada è quella, l’allenatore ha in mano la squadra, si continua. Si perde a Manchester (peraltro, giocando quella che a mio avviso fu una grande partita)? Siamo inferiori, sappiamo cosa manca e ci mettiamo al lavoro per migliorare, fin da subito. E così via, con i passi falsi di Catania e simili. Per questo il disfattismo, allora, era ingiustificato: erano stop fisiologici, o comunque dettati da palese inferiorità tecnica, che facevano parte del percorso.
Il lavoro fin qui svolto dalla società e da Benitez, invece, mi preoccupa, proprio perché, ad oggi, non esiste nemmeno una parvenza di progetto. Fin dalle prime amichevoli si è visto che il tecnico non ha assolutamente le idee chiare su come la sua squadra debba stare in campo: i tentativi di improbabili 4-2-4 ed affini ne sono la conferma. Le situazioni su cui fare chiarezza sono molteplici, a cominciare dalle posizioni di Eto’o e di Sneijder, passando per il sistema di gioco da utilizzare e per le innovazioni tattiche che Rafa vorrebbe introdurre. Quel che è successo finora mi fa pensare a due cose:
1) Rafa intende accontentare sia Eto’o che Sneijder, avvicinando l’uno alla porta e non chiedendo all’altro di sacrificarsi, indietreggiando quando serve; così facendo, invece di imporsi sui propri giocatori, si mostra malleabile e consenziente, rischiando di perdere, se le cose andranno male, il controllo sui propri uomini e creando una situazione diametralmente opposta a quella di qualche mese fa. Se continuerà a non essere deciso nelle sue scelte e, quindi, a non sacrificare qualcuno, il “concetto” portante di questa squadra, ossia l’annientamento del singolo in funzione della squadra e il sacrificio di tutti per il risultato comune, finirà per sgretolarsi in nome delle bizze dei vari giocatori. E sappiamo benissimo cosa significa.
2) Rafa intende apportare delle modifiche, vuole metterci del suo, come è normale ed anche auspicabile. Ma quanto è determinato nel farlo? L’impressione è che, prendendo ad esempio il cambiamento più evidente, ossia la difesa più alta, lui non abbia fatto altro che proporla, come a dire, uhm, vediamo un po’ se funziona, tirando i remi in barca alla prima cattiva avvisaglia. Questo a me non va giù: se vuoi fare dei cambiamenti, li imponi, senza se e senza ma. E se non hai gli uomini per farlo, aspetti: non ha senso rimanere in un limbo nel quale in 45 minuti si ha un atteggiamento e negli altri 45 un altro.
Qui è necessario fare quel che non vorrei fare, ossia un confronto con Mourinho: quest’ultimo, appena arrivato, decise che la squadra avrebbe giocato col 4-3-3, ed impostò tutto il lavoro estivo su questo modulo e sulla nuova filosofia di gioco. Alla prima stagionale, la squadra sembrava convinta di quel che stava facendo, i giocatori avevano le idee chiare e non davano l’impressione di star improvvisando. Certo, poi la tattica non si rivelò giusta e Josè fece un passo indietro, ma il tentativo fu fatto: Benitez avrà la forza per imporre il suo credo o continuerà a lasciare la squadra nel limbo?
Ora che ho sfornato questo bel pippone, ci terrei a dire una cosa. La scorsa stagione è terminata, ed è stata indimenticabile ed irripetibile sotto molti punti di vista. Non so quando e, sinceramente, se mai rivivremo una simile, sconfinata, infinita scorpacciata di trionfi. Quindi, quel che voglio dire è: tagliamo i ponti, gettiamo i fazzoletti e mettiamoci bene in testa che quel che è successo l’anno scorso era possibile solo con quell’allenatore, con quei giocatori e, soprattutto, con quella fame. Ora, che è tutto finito, non ha senso rimpiangere chi se ne è voluto andare e non c’è più: servirà solo a mettere pressione alla squadra ed all’allenatore, che non ne hanno bisogno.
E’ iniziata un’altra stagione, sicuramente diversa, sicuramente difficile, difficilissima. Prendiamola per com’è, ossia diversa e difficilissima, tenendo bene in conto che ogni anno si riparte daccapo e che i trionfi passati, se pur di qualche mese, non significano necessariamente trionfi nel presente. E’ quello che speravo avesse chiaro la società, e che spero che dopo ieri sera e dopo questi quasi due mesi sia divenuto evidente.
Quel che merita l’Inter, dopo il grande lavoro di questi anni, è tifo e gratitudine, senza vedovismi, per quanto sia difficile, ed isterismi.
Per cui, forza Moratti, forza Branca e, soprattutto, forza Rafa, che non è esattamente l’ultimo degli stronzi e merita tempo, fiducia ed asciugamani, anche e soprattutto dopo i primi non confortanti segnali.
Altro che sogno, Mou ci ha lasciato un bel groviglio.
E lo sa.

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