Bauscia Cafè

La remuntada mettila nel

Giovannino Cruyff raggiante assaggia aragostine e gamberi controvoglia, salta il filetto ai funghi, conclude fulmineo con un souffle’ di frutta esotica. Vuole sfogarsi, vuole parlare: “Abbiamo vinto con merito il campionato della regolarita’ , ma non ci illudiamo anche se dopo il Milan vorremmo essere ricevuti dal re Juan Carlos senza nessun rimpianto. La stagione non finisce mai e basterebbe una minima caduta di tensione per compromettere in una partita unica, quindi anche piuttosto casuale, la finale di Coppa campioni di mercoledi’ prossimo. Ecco, fin dal momento del mio arrivo ho lavorato per imporre in un club solido continuita’ di rendimento, nonostante sia impossibile conservare a lungo un dominio totale. Bene, fin qui ci sono riuscito, ma domani si ricomincia e i ragazzi sanno che la piu’ grande soddisfazione resterebbe comunque legata al bis di Londra 1992. Se da ventitre’ gare non sbagliamo, perche’ dovremmo sbagliare ad Atene? Si’ , persi una finale europea a Rotterdam contro il Manchester dopo il primo scudetto vinto, pero’ allora eravamo inesperti”. Annotiamo le verita’ di Cruyff, alle 2 del mattino. Qualche fotografo sbadiglia, Michelino Laudrup e Amor intonano il refrain di “Volare”. Fioccano altre domande. Barça strafavorito, signor Cruyff? E lui imperturbabile: “Certo, senza Costacurta e Baresi che garantiscono l’ organizzazione, devo ammetterlo. Capisco le preoccupazioni dei rossoneri, pero’ bisogna giocare anche se il nostro attacco e’ devastante. Senza Van Basten, il Milan invece riesce appena a contrattaccare e noi sapremo come regolarci, nonostante molti ritengano tuttora poco protetta la nostra linea arretrata. A me piaceva il Milan di Sacchi e dei tre olandesi, anche se la squadra di Capello ha probabilmente reso di piu’ “. Saluti quasi all’ alba, con un dito di champagne. I milanisti sono avvertiti.

Franco Melli, Corriere della Sera, 16 maggio 1994

Ok, quella era una finale. E ok, non è mai bello accostarsi al Milan (anche se quel Milan appare lontano talmente tanti anni luce da quello odierno da rendere quasi inoffensivo il paragone). Però le analogie tra quel che sta succedendo in questi giorni nell’ambiente blaugrana e quel che successe 16 anni fa ci sono, e sono interessanti.

La spavalderia di Cruijff è un po’ quella di Piqué, di Ibra (teso come una corda già da settimane) e, più in generale, di tutto il popolo culè. Sanno di essere forti, potenzialmente imbattibili. Sanno che al Camp Nou si gioca quasi un altro sport. Sanno un sacco di cose.

Eppure, sentono il bisogno di urlarlo ai quattro venti. Non lo tengono per sè, non preparano serenamente la gara per poi sfogare tutta la loro rabbia in campo: no, decisamente no. Da una settimana, dalla splendida (per noi) notte di mercoledì scorso, questi qua non fanno altro che parlare, che sbatterci in faccia quanto ce l’abbiano duro, quanta fame abbiano e quanto siano sicuri di andare a Madrid. Sembra quasi che siano loro, quelli che non vincono la coppa da 45 anni. Sembra quasi che

però, oh, è solo un’impressione. Come era solo un’impressione quella di chi, sedici anni fa, pensò che, forse, Cruijff avesse un po’ esagerato, e che sotto sotto se la stesse facendo nelle mutande.
Come andò a finire, lo sappiamo tutti.
Speriamo che mercoledì vada in scena il degno sequel.

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