Bauscia Cafè

Futbol Menager

1 Handanovic; 23 Ranocchia, 6 Silvestre, 40 Juan Jesus; 42 Jonathan, 4 Zanetti, 10 Kovacic, 17 Kuzmanovic, 31 Pereira; 11 Alvarez, 18 Rocchi.

Eccola qua, la formazione scesa in campo domenica scorsa contro il Palermo.
Un campione in porta, un potenziale gran giocatore in difesa (più un giovanottone da recuperare, Tancredi Palmeri piacendo), un campioncino in erba a centrocampo, un SemiDio che rivedremo a Natale (ciao Pupi, inutile aggiungere altro: saremo felici di riabbracciarti con un’Inter tornata forte e vogliosa di regalarti tutto l’affetto che meriti), molti comprimari e/o equivoci tattici, un giocatore ormai a fine carriera, costretto peraltro a giocare in completa solitudine.
Al di là della cifra tecnica assai discutibile di un 11 del genere, che paga dazio a tutta la serie A escludendo le squadre in lotta per non retrocedere (ad eccezione proprio del Palermo, che in attacco ha alternative ed un assortimento che in questo momento possiamo solo invidiare), balza altrettanto chiaramente all’occhio come ci siano pochissimi giocatori affini al modo di pensare il calcio che aveva in mente l’attuale allenatore, un sistema offensivo di qualità, con esterni capaci di fare le due fasi in scioltezza e dare risalto al gioco “ampio” e un regista che potesse dettare i tempi là in mezzo.
Niente di tutto questo: nel periodo del doppio trequartista regnava l’anarchia tattica, Coutinho (cessione che spero non rimpiangeremo, pur avendo una fottuta paura del contrario) non è mai riuscito a trovare il bandolo della matassa, poco aiutato dalla caotica situazione generale, il regista non è mai esistito (l’unico papabile avrebbe potuto essere il buon Stankovic, caduto troppo presto nel tunnel senza uscita dell’infortunio a lungo termine), poi col passaggio alla linea a tre l’attacco ha sofferto l’eccesso di lavoro e il logoramento fisico, pagato in seguito a carissimo prezzo, mentre il centrocampo evidenziava tutte la propria scarsa capacità di filtro ed una mobilità a dir poco discutibile.
Il 442 potrà anche essere panacea di tutti i mali per un allenatore in difficoltà, ma troppo spesso si finge di non sapere che il modulo tattico non sia una formula matematica esatta e quante siano le variabili in gioco che consentono ad una squadra di calcio di funzionare o meno. Variabili che vanno ben oltre il materiale umano a disposizione o la preparazione atletica, entrambi comunque deficitari quest’anno; è chiaro ad esempio che un talento vero come Kovacic sia tale da offrire prestazioni sopra la media anche in una condizione disastrosa come quella dell’Inter attuale, ma dovrebbe essere altrettanto lampante che giocatori meno dotati tecnicamente e con limiti noti facciano cinque volte più fatica ad esprimersi in un contesto dove la situazione è ormai sfuggita di mano a tutti, dove ogni errore diventa una condanna sportiva ed ogni gesto atletico viene accuratamente vivisezionato per sottolinearne la goffaggine o l’inadeguatezza.

Problemi seri.
Problemi seri.
Le accuse relative ai troppi moduli cambiati nell’arco della stagione da Stramaccioni forse non hanno tenuto conto di quanto sia difficile, soprattutto con una rosa già incompleta…al completo, impostare un lavoro tattico che possa avere una continuità nel tempo dovendo contemporaneamente rinunciare a una/due/tre pedine basilari per sviluppare l’idea che hai in mente, peraltro già obbligatoriamente diversa da quella di partenza.
Ed è dura accusare di scarso coraggio un allenatore che, nelle condizioni in cui ha accettato l’incarico, aveva ed ha a mio avviso molto da perdere e poco da guadagnare: pochissima voce in capitolo sulle scelte di mercato, “necessità” di ingoiare il rospo sperando in una riconferma e in tempi e congiunture economiche migliori (e, di conseguenza, una maggiore libertà d’azione), l’ossessione di un terzo posto da raggiungere ad ogni costo senza che ce ne fossero i presupposti, la colpevole solitudine cui è stato condannato da una dirigenza distratta e poco presente in fase di tutela. Un insieme di fattori che, a mio giudizio, vede la bilancia pendere decisamente verso l’assoluzione dell’allenatore romano, anche considerando il dettaglio non trascendentale di una quasi totale mancanza di alternative degne di tal nome e le tante, troppe vicende ultranegative che ne hanno caratterizzato l’annata.
Sia chiaro che la mia difesa ad oltranza non è soltanto un atto dovuto di coerenza, quanto una cosciente presa di posizione dettata da un’analisi oggettiva della situazione che si è creata in casa Inter nel giro di pochi mesi; una situazione che avrebbe stritolato tecnici ben più scafati ed esperti del tecnico di San Giovanni, comunque non esente da critiche.
Ma non penso che l’incapacità di coinvolgere “i giovani” in un progetto di gioco mai nato, alcune difficoltà di lettura tattica a partita in corso, la tendenza forzata a plasmarsi sullo schieramento altrui piuttosto che individuare uno schema proprio e la scarsa attitudine a proteggersi con moduli più equilibrati e rinunciatari siano elementi sufficienti a condannarlo definitivamente.
Ho l’abitudine di giudicare l’operato di un allenatore se non altro quando abbia ottenuto la possibilità di coltivare la propria idea di gioco attraverso profili di atleti da lui espressamente richiesti o che quantomeno ricalchino le caratteristiche ricercate. A meno che l’allenatore in questione non sia in palese contrasto con l’ambiente, lo spogliatoio o la squadra.
Ogni riferimento è puramente non casuale.
Una settimana fa Sabine Bertagna pubblicava sul proprio blog tutte le formazioni utilizzate da Stramaccioni dalla prima giornata di campionato fino ad Inter-Parma (http://www.sbertagna.com/2013/04/la-strama-formazione.html) e sfido chiunque a non notare la differenza tra gli undici titolari schierati nei primi tre mesi e lo sfaldamento costante e progressivo che ha caratterizzato il resto della stagione.
Il mister ha utilizzato moduli diversi, certo, ma con la possibilità di effettuare rotazioni ed avere un peso in attacco non indifferente, dettaglio questo che aiutava non solo ad avere più chances di segnare ma supportava l’equilibrio di squadra anche in fase di non possesso (cosa inattuabile da oltre due mesi e che mi invita a considerare l’attacco come reparto principale da rafforzare), con evidenti ripercussioni negative su tutti i reparti ed una concreta incapacità di ribaltare anche episodi sfavorevoli tutt’altro che compromettenti – proprio come quello di Palermo – e ranghi ridotti sempre più all’osso da un mix di infortuni traumatici a catena, preparazione atletica inquietante e la drammatica assenza di lungimiranza ( o di pura logica, se vogliamo) durante il mercato di riparazione invernale.
Errori. Tanti errori, troppi. Non è la prima volta, non sarà neanche l’ultima o saremmo una società di automi programmati dalle migliori menti universali: resta il fatto che la stagione che verrà sarà il quarto tentativo di ricostruzione dal 2010 e c’è modo e modo di sbagliare.
Con meno soldi a disposizione, una situazione finanziaria in completo divenire, molti equivoci da chiarire a livello tecnico e societario ed un prevedibile repulisti generale che spero non peggiori la situazione.
E per il sottoscritto non peggiorarla significherà anche ripartire da questo stesso allenatore: con estrema chiarezza e con la possibilità di dargli una volta per tutte voce in capitolo sulle scelte da fare, protezione costante nei momenti delicati, facoltà di lavorare serenamente sul proprio concetto di squadra mettendogli a disposizione, nei limiti del possibile, giocatori strettamente correlati al suo credo.
Poi si potrà discutere su cartellini pagati troppo, su giovani trascurati o non impiegati, su talenti che han disatteso le speranze: l’importante sarà poterlo fare sapendo di aver fatto il possibile per dare all’Inter e al suo allenatore una rosa numericamente adeguata, completa e con la quale poter lavorare al meglio per completare nel tempo il processo di ricostruzione senza però rinunciare a giocarsela da subito partita dopo partita.
In tal senso la probabile assenza dalle competizioni europee dovrebbe costituire un vantaggio non indifferente per amalgamare al meglio il gruppo che verrà; se poi il futuro ci riserverà sorprese positive dal punto di vista economico, chissà che non possano saltar fuori quei due o tre acquisti di livello assoluto teoricamente capaci di riportarci vicini alla vetta fin da subito.
Io, come al solito, sono moderatamente ottimista e anche un pò fesso.
Non necessariamente in quest’ordine.
E vedere Stramaccioni fare benissimo altrove (e da subito, perché è in grado di farlo) mi darebbe dannatamente fastidio.
Seppur non quanto Mazzarri seduto sulla nostra panchina. In lacrime. Che bestemmia in livornese. Dio, che brutta scena.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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