Bauscia Cafè

Qui gatta ci Kovacic

Commentare la seconda disfatta consecutiva in trasferta, dopo i tre schiaffoni presi dal Siena due settimane fa, equivale più o meno a sparare sulla croce rossa con il puntatore laser.
Persino un inguaribile ottimista come il sottoscritto deve arrendersi alla totale impotenza mostrata al Franchi, dove una formazione sulla carta competitiva è riuscita a farsi prendere letteralmente a pallonate da una squadra insidiosa sì, ma uscita con le ossa rotte dal confronto contro la Juventus e tutt’altro che brillante nell’ultimo periodo.
Inutile quindi discutere di modulo difensivo a tre o a quattro, di assenze, di senatori, di giovani allo sbaraglio e di nuovi acquisti, quando la Fiorentina diventa improvvisamente sublime esempio di calcio moderno e Pizarro vive, per una sera, una seconda vita da assoluto protagonista, con Guarin (no dico, GUARIN, uno che potrebbe utilizzare il cileno come portacellulare) incapace di batterlo persino nei contrasti più elementari.
Nell’arco di una stagione una serataccia è sempre possibile: capita persino a squadre collaudatissime ed infarcite di campioni, figuriamoci a chi è ancora in mezzo al guado e cerca disperatamente di dare un senso ad una stagione che, al momento, un senso non ce l’ha.
Quello che imbarazza e toglie il sonno è piuttosto il fatto che la stessa, identica sensazione di inerzia manifestatasi contro il Siena, si ripresenti in modo ancor più evidente e doloroso nella trasferta successiva, intervallata dai soliti proclami puntualmente precipitati nel vuoto, da prese di coscienza fini a se stesse e da quella maledetta ossessione per il terzo posto che sembra diventata il modo migliore per impedirci di provare almeno a comportarci come una squadra di calcio.

Il pallone è quello giallo.
Il pallone è quello giallo.
Quello che fa ancora più male è che il tecnico sia consapevole delle difficoltà incontrate sistematicamente dalla propria squadra nei match di campionato successivi all’impegno europeo e non sia mai riuscito a trovare una minima soluzione all’inghippo; che, come già segnalato dal sempre attento Roberto Torti, Kovacic sia stato indicato come “troppo stanco” e sostituito quando altri avevano dato segnali ben più sconfortanti sul terreno di gioco; che ancora una volta il coraggio sia rimasto ben sigillato negli armadietti. E, soprattutto, che dopo aver perso sul campo Diego Milito l’undici nerazzurro abbia denotato una totale incapacità di saper trovare le giuste motivazioni per dar vita ad una prestazione quantomeno pugnace, rabbiosa, che provasse a lasciarsi alle spalle le tante difficoltà del momento nel nome della maglia e della volontà di lottare su ogni pallone.
Il pallone invece non l’abbiamo mai visto e i tifosi viola ce l’hanno ricordato a più riprese con cori goliardici e meritati. Ancora una volta, Stramaccioni è sembrato centrifugato da un qualcosa troppo più grande di lui, di ingestibile, di inspiegabile, che in passato ha triturato allenatori ben più scafati ed abituati alle pressioni. Non parteciperò al giochino del “per colpa di chi”, ma è evidente che il tecnico romano, dopo due vittorie ottenute in maniera abbastanza agevole, si trovi nuovamente a fare i conti con un crollo psico-fisico generale che viene da lontano, figlio di innumerevoli decisioni discutibili e controverse, di una rosa che resta incompleta ed inadeguata, di una preparazione atletica che solleva più di un dubbio.
Il motore Inter, portato al massimo dei giri (metafora che prendo in prestito da un commento del buon Sgrigna), ha prima dato tutto il possibile cogliendo quel filotto di vittorie ormai appassito ricordo, per poi ingolfarsi e sputare abbondante fumo nero: era inevitabile, con questa struttura e con una società ancora una volta deficitaria sotto il profilo gestionale.
Ecco, la società: rinnovo l’auspicio che la dirigenza e il presidente manifestino in modo continuo e diretto la loro tutela nei confronti di quella che, a tutti gli effetti, è stata una scelta fatta da Moratti in persona. Una tutela che non c’è stata sotto il profilo tecnico ma che a questo punto diventa obbligata per tentare di far recuperare a Stramaccioni un minimo di serenità e l’entusiasmo perduto
strada facendo. Per consentirgli di tagliare i rami secchi una volta per tutte, attraverso scelte chiare, magari audaci, sicuramente le più logiche e lineari possibili, senza timori reverenziali né balbettamenti di sorta.
E’ giunto il momento di scrollarsi di dosso l’apatia e la paura, perché il derby politico del 24 febbraio sarà un crocevia tremendamente decisivo sotto tutti i punti di vista.
Con la sconfitta di ieri sera, anche la celebratissima Lazio di mister Petkovic resta lì, lontana la miseria di un punto da questa derelitta Inter e l’aritmetica resta il modo migliore per l’ennesimo pizzicotto in faccia, alla ricerca della dignità perduta.
Senza ossessioni, calcoli, tabelle o promesse sportive che suonano sin troppo simili alle tante boiate elettorali di questi giorni.
Lavoro, sudore e impegno costante. Inter, alzati e cammina.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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