Bauscia Cafè

Gennaio: i giorni della mer(d)a

Con l’umiliante sconfitta nel derby dei derelitti si chiude per i nostri colori un primo mese dell’anno da incubo, inaugurato con una soffertissima vittoria sul difficile campo dell’Empoli che faceva sperare si potesse proseguire con il cinismo e la praticità visti nei primi mesi: era un’Inter non bella, ma estremamente concreta, che vinceva soffrendo e giocando male, subendo però pochissimo.
Dimenticare il suicidio sportivo di Inter-Lazio, che aveva chiuso mestamente una prima parte di stagione al di là di ogni più rosea aspettativa, sembrava cosa fatta, ma a distanza di 40 giorni siamo qui a interrogarci sul perché il giocattolo si sia rotto.
Gli elementi in gioco sono molti ed è difficile cogliere le reali difficoltà di una squadra seguendola soltanto da commentatori: ci si affida alle sensazioni, che ci raccontano di un allenatore senza il polso della situazione e giocatori che danno l’idea di sentirsi deresponsabilizzati e privi di una guida non soltanto tattica, ma comportamentale.
È stato un lento, ma costante declino, fatto di condizione atletica deficitaria, scelte tecniche cervellotiche se non addirittura inspiegabili (Santon titolare ad anni luce dall’ultima apparizione, Telles panchinato per un surrogato di terzino) e una costante insistenza quasi tafazziana su un progetto mai decollato; se il turnover del girone d’andata era criticabile, ma aveva portato comunque ottimi risultati, tenendo tutti sulla corda (si diceva), il tentativo di dare a questa Inter un gioco offensivo puntando sulle doti degli attaccanti e limitando al minimo l’importanza del centrocampo si è rivelata fallimentare. Il 4231 visto nel derby è uno scempio senza capo nè coda, vulnerabile, macchinoso, privo di movimento così come immobile era la squadra anche quando tutto girava per il meglio; la differenza sta nel fatto che prima esisteva la voglia di lottare, di correre e c’era in campo un undici almeno quadrato, solido, difficile da perforare, che qualora fosse riuscito a trovare (come spesso accadeva) il gol del vantaggio, sarebbe riuscito a difenderlo fino alla fine senza troppo affanno e con un pizzico di buona sorte.

Già da qui si capisce che qualcosa non va.
Già da qui si capisce che qualcosa non va.
L’Inter che tenta di creare azioni offensive è in realtà una squadra incapace di muoversi senza palla, dove alla scarsa lucidità fisica corrispondono imbarazzi tecnici inspiegabili per professionisti di questo livello: per chi scrive – e sono soltanto sensazioni, lo ripeto – la trasferta di Doha non ha certo giovato alla freschezza atletica della squadra; il calo di concentrazione generale, unito a episodi nefasti che si sono tradotti in clamorose sconfitte all’ultimo minuto o in pareggi altrettanto amari, ha scoperto il nervo di molti giocatori e dell’allenatore in primis, che partita dopo partita ha tradito spesso un nervosismo talvolta persino fuori luogo, fino ad arrivare ad accuse dirette verso i propri giocatori poi rientrate con uno scomposto tentativo di ridurre tutto a “cose di spogliatoio”.
Quello stesso spogliatoio che, forse, vive un periodo molto difficile, con pochi leader al suo interno, troppe primedonne (mister incluso) e una malcelata tendenza al buttarsi via che fa addirittura pensare, per scarsa applicazione e atteggiamento rinunciatario di molti, al remare contro.
Una escalation di negatività che, adesso, impone alla dirigenza di adottare un atteggiamento perentorio nei confronti di Mancini e della squadra: è forse il primo, reale banco di prova per Thohir e i suoi manager, che a dispetto delle lamentele di molti tifosi hanno cercato di accontentare ogni richiesta fatta dall’allenatore, fino ad arrivare al recente acquisto di Eder, discutibile e comunque richiesto a gran voce dal tecnico nerazzurro e puntualmente arrivato.
Che questa rosa sia nettamente migliore rispetto a quelle gestite dai predecessori del Mancio è fuori discussione: si potrà dire che servano investimenti a centrocampo, che i terzini siano scarsi (ma in Serie A i terzini forti chi ce li ha? l’Empoli?), che Nagatomo è un pirla e Palacio uno zombie, ma resta inaccettabile che questi giocatori siano incapaci di reagire proponendo un calcio almeno scolastico e concreto, che non ci condanni a nuove, insopportabili figuracce.
Thohir ha il dovere di intervenire e, tramite i suoi uomini di punta e le figure più vicine a chi va in campo e vede la squadra ogni giorno, inchiodare ciascuno alle proprie, enormi responsabilità: il solo modo per uscire da situazioni simili è l’unità di intenti e la capacità di valutare realisticamente la situazione.
Una situazione che dice, classifica alla mano, che l’Inter uscita strabattuta dal derby e malconcia dalla semifinale di coppa Italia è attualmente a un punto di distacco dall’obiettivo stagionale, quello del terzo posto. Un obiettivo di cui bisogna parlare anche in pubblico, affinché i giocatori ne siano coscienti, senza tirare i remi in barca perché “non siamo attrezzati per lo scudetto ed è già tanto se saremo in lotta per un posto in Champions”: quello è il modo migliore per dare alibi a chi va in campo pensando a tutto tranne che a rendere la gloriosa maglia nerazzurra che indossa madida di sudore.
Unità di intenti che significhi remare nella stessa direzione convinti dei propri mezzi, mettendo da parte protagonismi e presunzioni a favore di un dialogo interno che restituisca coraggio e senso di responsabilità non soltanto a chi va in campo, ma anche a chi questi ragazzi deve guidarli senza perdere le staffe ad ogni episodio negativo.
Trasformare la rabbia per i tanti punti malamente persi per strada in nuova energia per recuperare il terreno perduto, ecco quello che serve.
Il calendario dice Chievo e Verona, prima dello scontro diretto con la principale pretendente al podio che, verosimilmente, sarà il possibile punto di svolta di una stagione tutt’altro che finita: va ritrovato il gusto di vincere perché è quello l’unico sapore che ti invoglia a farlo ancora.
 
 

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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