Bauscia Cafè

La mia vita

Mentre nelle librerie imperversava la folle autobiografia “Il meglio deve ancora venire”, fallimento editoriale firmato dalla premiata ditta Mazzarri – Alciato (circa 2000 copie vendute a oggi, a quanto pare), preferivo snobbare la pur affascinante copertina patinata, raffigurante l’ipnotica, abbacinante espressione del nostro mister, per orientarmi verso il naso rubicondo di Sir Alex Ferguson e il suo “La mia vita”, scritto da Paul Hayward, caporedattore sportivo del Daily Telegraph e già autore delle biografie di Michael Owen e Bobby Robson.
Ferguson-Beckham-Cristiano-Ronaldo-Agencias_NACIMA20131022_0093_3
Inutile star qui a disquisire sulla grandezza del Ferguson allenatore: il suo palmares è noto a tutti e non è un caso che all’ingresso dell’Old Trafford ci sia la sua statua.
Dal 1986 al 2013 Sir Alex si è dedicato anima e corpo al suo Manchester United, affrontando tempi bui ed epoche a dir poco galvanizzanti, facendosi molti nemici ma altrettanti grandi, grandissimi amici, anche tra i colleghi.
L’autobiografia bada alla sostanza, evitando accuratamente di tornare su tematiche già abbondantemente affrontate in altre sedi e preferendo aprire una porta di servizio sui lati più intimi di Alex Ferguson, come ad esempio il rapporto con la moglie, donna forte, saggia e riservatissima, o con il resto della famiglia, con un figlio che tutt’ora tenta coraggiosamente di ripercorrere le orme del padre con una carriera da allenatore in League One con il Peterborough United.
“La mia vita” parte proprio dalla fine della carriera di Sir Alex, con le riflessioni che lo porteranno a scegliere David Moyes come suo successore, ricordando con orgoglio la sua ultima partita da allenatore: un 5-5 contro il West Bromwich Albion anch’esso storico a suo modo, perché primo e unico 5-5 nei suoi ventisette anni con i dei Red Devils.
Un solo motto: avere la certezza di non aver mai annoiato i propri tifosi, nel bene e nel male.
E di non averli mai fregati.
Non mancano ovviamente aneddoti e dettagli sull’acquisto e la gestione dei giocatori più rappresentativi della sua era: da Cristiano Ronaldo a Roy Keane, da David Beckham (“l’unico ad aver scelto di essere famoso”) a Rio Ferdinand e le sue vicissitudini con la commissione antidoping, passando per Wayne Rooney e Ruud Van Nistelrooy, senza trlasciare divertenti curiosità su giocatori “minori”. Mark Bosnich, per esempio: preso in tutta fretta per coprire l’inaspettato addio di Peter Schemichel, viene descritto come un atleta letteralmente insaziabile e alla perenne ricerca di cibo, quindi ingestibile a certi livelli.
La parentesi su Juan Sebastian Verón non mancherà di provocare qualche lacrimuccia tra gli interisti che avranno modo di leggere l’autobiografia di Ferguson: la Brujita viene descritta come giocatore di assoluta intelligenza calcistica, fisicamente eccelso ma difficile da inquadrare.
Andava dove lo portava il pallone, “un uccello libero che volava dappertutto”. E parlava poco, pochissimo: lo stretto indispensabile. Non c’era bisogno di grandi discorsi con lui, dopotutto.
Scopriamo poi un Ferguson affascinato dal carisma e dai metodi di lavoro di José Mourinho, avversario tanto temuto quanto stimato, l’amicizia e il rapporto quasi fraterno con Carlos Queiroz, il sarcasmo dei suoi giocatori dopo il mancato ritiro annunciato tra il 2001 e il 2002, mai sconfinato in mancanza di rispetto; e ancora le promesse non mantenute, da Kleberson a Hargreaves, il rapporto a dir poco conflittuale con molti giornalisti e con la BBC, il dolore sportivo dopo la vittoria in Premier League del Manchester City.
Ma i capitoli più toccanti e, forse, più interessanti per chi fosse alla ricerca di spunti diversi da quelli prettamente sportivi, sono quelli riservati alla storica classe 1992 e alla psicologia dello spogliatoio.
Descrivendo i primi approcci sul campo con i vari Giggs, Scholes, Butt, Neville, traspare tutta l’attitudine paterna di Sir Alex, sempre sostenuta tuttavia da una autorità mai invadente e guidata da una profonda intelligenza umana, che si rifletteva anche nel rapporto con le famiglie dei vari ragazzi. Ed è questo oltre al suo indiscutibile valore tecnico che, probabilmente, ha permesso a quella generazione di scrivere la storia dello United insieme a Ferguson.
La parte riservata alla psicologia è poi una sorta di bignami dell’allenatore moderno: non è particolarmente approfondita, anzi, ma contiene piccole sentenza che chiunque voglia allenare una squadra a qualsiasi livello dovrebbe imparare a memoria.
C’è ancora il rispetto reciproco alla base di tutto, unito alla schiettezza costante, anche nei momenti peggiori, che però non deve mai diventare occasione per creare un capro espiatorio o demoralizzare per sempre un giocatore che non potrai più recuperare.
C’è l’essenza del modo di insegnare calcio che ha portato Sir Alex Ferguson a vincere tutto quello che era possibile vincere nel calcio, vestendo i panni di una figura che era molto più di un semplice allenatore: un manager, un papà, un amico, ma anche uno che al momento giusto sapeva anche assestarti un poderoso calcio nel culo. Magari definitivo.
Uno che ha sempre cercato di imparare dai propri errori e non si è mai sottratto alle proprie responsabilità. Un vincente. Uno a cui chiunque ami il calcio nelle sue molteplici sfaccettature sportive e umane dovrebbe soltanto volere un gran bene.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

180 Commenti
Nuovi
Vecchi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti

PODCAST

Twitter

Instagram

Instagram has returned empty data. Please authorize your Instagram account in the plugin settings .

Archivio