(sia chiaro, “gli avversari ci possono concedere”, non “noi ci andiamo a prendere”)
Per analizzare Udinese-Inter di ieri cominciamo guardando all’unica cosa che sa spiegare il Sole e l’altre stelle, ossia la matematica. Concludiamo il girone di andata con 41 punti, che fanno una proiezione finale di 82 punti, certamente non abbastanza per poter terminare il campionato in testa. Ci vorrà qualcosa di più nel girone di ritorno. Guardando in maniera critica il tabellino attuale che dice 12 vittorie, 5 pareggi e 2 sconfitte, viene però da pensare che, in realtà, non ci sia grande margine di miglioramento per tramutare quei pareggi e quelle sconfitte in vittorie. La partita giocata ieri sera nel pesante campo di Udine tende purtroppo a confermare questa impressione, perché se è vero che contro squadre che giocano in maniera più aperta riusciamo a contenere bene i loro attacchi grazie ad una difesa, seppur non perfetta, molto più registrata rispetto all’inizio del campionato, dall’altra parte non abbiamo ancora risolto cosa fare contro squadre in grado di fare grande densità a centrocampo in pochi metri di spazio. Pertanto, vale la sempiterna regola secondo la quale, per vincere uno scudetto, devi in primis non perdere punti contro le piccole squadre.
Sia chiaro, presa singolarmente una partita del genere in Gennaio in casa dell’Udinese ci sta nel ruolino di marcia anche delle squadre più riuscite. Il problema sorge quando questo tipo di partita capita più o meno sistematicamente tanto che, fin dai primi approcci alla gara, puoi prevedere con buona approssimazione quale possa essere lo sviluppo della partita (vedi sopra). In un campionato equilibrato come questo, contro avversarie che hanno una media inferiore al punto a partita, questi punti persi possono pesare doppio: in primis, per la perdita netta di punti altrimenti facilmente prendibili, in secundis, perché questo leivmotiv può essere replicato in maniera fin troppo semplice dalla prossima avversaria di turno, e poi da quella successiva, e poi quella ancora dopo..
Un modo per superare questi ostacoli è, talvolta, quello di affidarsi allo spunto, singolo, del solista che magari sta nascosto per 90 minuti e a cui bastano 5 secondi, oppure una punizione, o un colpo di testa, per sistemare la situazione. Non che non ne abbiamo avuto la possibilità durante tutta la partita di ieri. Purtroppo Lautaro, complice un gran riflesso del portiere avversario Musso, ha sbagliato ancora un’altra chiara occasione davanti al portiere della sua comunque positiva stagione, e Hakimi ha peccato di precisione e lucidità per gran parte della partita. Lukaku è stato più o meno contenuto bene e i centrocampisti centrali sono stati serviti sempre con quel mezzo secondo di ritardo dovuto alla pressione posizionale costante dei 3+2 centrocampisti e punte dell’Udinese che hanno fatto andare più volte fuori giri sia Brozovic, che Barella, e Vidal. Che però la mancanza di concretezza in quelle poche occasioni create non diventi un alibi per giustificare il pareggio: la corretta interpretazione della partita è quella di una squadra che, allorquando la prima e seconda idea di gioco è stata efficacemente annullata, si è trovata a cercare senza ritmo un varco alternativo con, a queste premesse, poche possibilità di successo. Merito della squadra allenata da Gotti ma anche demerito di chi non è riuscito, con 11 uomini e tre cambi, a provocare almeno la scintilla per cambiare la situazione, in questo che è stato un rigurgito più di certi tratti della stagione 2019/20 più che di questa attuale.
La nostra stagione adesso ci proporrà il Milan ai quarti di Coppa Italia, e poi il Benevento in casa per la ripresa del campionato. Vi risparmierò la retorica dell’importanza di queste due partite e della necessità di continuità (d’altronde, senza le coppe Europee, automaticamente tutte le partite da oggi a Giugno sono importantissime). Il margine di miglioramento invocato a inizio post però deve essere trovato in fretta, in quanto quello di errore pian piano va assottigliandosi sempre più.