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Io che do i numeri

Dato che anche il blog risente delle questioni societarie, il budget per il mio post di questa settimana è stato brutalmente tagliato. Avevo in mente la creazione una saga fantascientifica con Zhang che cerca di vendere la baracca a un califfo di Sigma Orionis, mentre Conte parte per la Cina a piedi per riscattare Eder dall’harem del Gran Khan, ma purtroppo non è stato possibile dare alla luce questo ambizioso progetto. Sono dunque costretto a massimizzare al meglio i modesti mezzi che mi sono stati messi a disposizione, ed è inutile dire che a fine stagione ognuno farà le proprie considerazioni. 

Quindi, insomma, questa mattina dovrete accontentarvi di “Io che do i numeri”, un nuovo format che ho coniato poco fa sul cesso mentre realizzavo di essere veramente arrivato alla frutta.

Si va dall’uno al dieci, in una escalation del tutto arbitraria e priva di un vero perché:

1: La prima volta che sento uno juventino che ammette in maniera netta una sconfitta. Le sibilline parole di Chiellini post Juve-Inter ci hanno lasciati tutti increduli, tanto che le useremo come sigla d’apertura della prossima puntata del podcast; difficile allontanare il pensiero che sarebbe un delitto non approfittare di una simile congiuntura – una nella quale surclassiamo la Juve quinta in classifica, per poi incassare anche l’ammissione di inferiorità del suo capitano al fischio finale. Per quanto mi riguarda rimane assurdo parlare di obblighi alla vittoria, dato che nello sport non può darsi niente del genere, ma vista la situazione… sarebbe opportuno cercare di essere meno stronzi possibile.

2: I passaggi che sono serviti per mandare in gol Barella e per scardinare l’organizzazione difensiva di Pirlo. D’altronde, da uno che nella sua tesi ha gettato nuova luce sugli elementi più criptici del football moderno, rivelandoci addirittura che “l’obiettivo principale della fase difensiva è non prendere goal”, non ci si aspetta niente di diverso dalla creazione di un buco di sessanta metri che conduce direttamente dalla nostra trequarti alla loro porta. 

A. Pirlo, Il calcio che vorrei, Coverciano 2020

Un appunto: quando alla fine della partita il nome “Allegri” è entrato in tendenza su Twitter (a causa degli juventini che ne invocavano il ritorno), per qualche minuto ho tremato. Lunga vita al Maestro, per carità.

3: Le volte in cui abbiamo battuto la Juventus in campionato negli ultimi 10 anni. Sì, una statistica che racconta molto di quello che è stato l’ultimo decennio e della posizione del tutto subalterna che abbiamo occupato nel post triplete. Ora, se fossi un bravo editorialista, andrei a cercare quante volte è successa una cosa del genere della storia, dato che ho la sensazione che sia la prima volta in cui raccattiamo un bottino così magro; ma sono un lavativo di merda e quindi non lo farò.

Ok, mi sono fatto sentire in colpa da solo. D’altra parte sono qui sul cesso e non è che abbia tutte ste cose da fare, potrei anche mettermi al lavoro.

Ecco, l’ho fatto. Di seguito, il numero di volte in cui abbiamo battuto la Juventus nel campionato di Serie A, diviso per decenni: (gli intervalli si intendono a partire dal mese di giugno di ciascun anno) 

1901-11: 3 (ma in soli due anni, dal 1909 al 1911)

1911-21: 5

1921-31: 7

1931-41: 7

1941-51: 8

1951-61: 5

1961-71: 6

1971-81: 4

1981-91: 6

1991-01: 3

2001-11: 5

Ora che posso considerarmi un bravo e intraprendente editorialista, ho anche modo di constatare come la mia sensazione fosse sbagliata: era già capitato una volta di raccogliere il magro bottino di tre vittorie in un decennio (se si esclude dal conto ciò che è successo dal 1901 al 1911).

Tornando agli ultimi dieci anni, le due vittorie che abbiamo racimolato oltre a quella di pochi giorni fa sono state degli exploit a cui non è seguito niente, o meglio, niente che non sia una stagione disastrosa: quella del record di sconfitte con Strama, dopo il trionfale 1-3 che sverginò lo Stadium, e quella dei quattro allenatori iniziata con Mancini e proseguita dal povero De Boer, che ci guidò a un bellissimo 2-1 in casa. 

Adesso, avrei quasi la tentazione di dire che la vittoria di domenica scorsa potrebbe avere tutte le carte in regola per essere qualcosa di diverso – constatate le posizioni in classifica e i valori emersi durante la partita – ma potrei anche evitare di farlo. 

4: I baci dati da Vidal a Chiellini in svariate parti del corpo, tra cui – disgraziatamente – quella coperta dallo stemma della Juventus. Ho idea che la cosa sia passata relativamente sottotraccia soltanto grazie al gol, alla vittoria e alla grande prestazione del cileno; fosse andata diversamente, il dilanio sarebbe stato estremo, di primissimo livello. La sensazione, qui, è simile a quella che avevo dopo la bufera che seguì i (tre) ingressi di Eriksen negli ultimi minuti: si diceva che Conte fosse un sadico, che intendesse vessare il danese per fargli pagare chissà cosa; c’era addirittura chi invocava cause di mobbing e, anche, di violazione dei diritti universali dei lavoratori. Poi, dato che non è mai più successo, la cosa ha iniziato a mostrarsi per quella che era: un allenatore che inserisce un giocatore a qualche minuto dalla fine, in seguito a dinamiche che conoscono solo i diretti interessati ma che non includono il sadismo.
Allo stesso modo, auspico che anche quella di Vidal (che ha poi fornito una spiegazione all’accaduto) venga considerata per ciò che è: un giocatore che saluta il capitano della squadra in cui è esploso e ha passato quattro anni di carriera e di vita, senza necessariamente leggerci chissà quale insulto alla nostra storia.

5: Le mensilità non pagate dall’Inter ai suoi calciatori. Una nuova telenovela sul possibile cambio di proprietà era proprio quel che ci voleva: in queste settimane abbiamo fatto la conoscenza di BC Partners, un’azienda di private equity britannica che nel suo portafoglio, tra le altre cose, annovera Pronovias, l’azienda produttrice di abiti da sposa leader in Spagna, Keter, il cui sito ufficiale recita “casette in resina, lamiera, legno e plastica a prezzi strepitosi” e anche PetSmart, casa produttrice di accessori per i nostri simpatici amici a quattro zampe.

Mettiamoci avanti: inglesi di merda, cacciate il grano, #BCout.

6: I cambi della Roma contro lo Spezia. Quella andata in scena martedì sera è una delle più grandi rappresentazioni artistiche che lo sport ci abbia mai regalato. Passi il prendere mazzate dalle riserve dello Spezia, passi il rosso a Mancini, ma aggiungerne un altro trenta secondi dopo con Pau Lopez e, addirittura, suggellare il tutto col sesto cambio è davvero qualcosa che supera i confini del calcio ed entra di diritto nella grande letteratura. Lo spirito di una squadra e di una città così meravigliosamente condensato in soli 120 minuti, e il tutto completamente gratis. Io, per uno spettacolo del genere, sono disposto a pagare.

7: I soci fondatori di Interspac (poi passati a 15 e attualmente in numero ignoto), la cordata di tifosi che si propone di acquistare una quota di minoranza del club. Costituita nel 2016, è tornata in auge in questi giorni, tanto che il suo cda si riunirà a breve. In teoria la volontà sarebbe quella di costruire una struttura che ricordi quella ad azionariato popolare del Bayern Monaco o del Barcellona; in pratica, si tratta di un crowdfunding per pagare lo stipendio di Joao Mario.

8: Il saldo rigori a favore del Milan, che veleggia verso un record leggendario. Mai si era registrata, prima d’ora, una media di 0,68 rigori a partita in uno dei massimi campionati: è un risultato eccezionale, che conferma la bontà del lavoro fatto da Maldini e da Pioli. Ogni anno, la serie A ci regala delle deliziose storture, forti di una camaleontica interpretazione del regolamento che si basa sul principio aureo de “il contatto c’è”, potenzialmente in grado di giustificare qualsiasi fischio in area, insieme a quello del “rigore d’astuzia”. Ti fermi, sposti il corpo in modo da farti tamponare, vai giù ed è fatta: perché, alla fine, “il contatto c’è”, non si può negare, e c’è anche l’altra formulina magica che viene spesso pronunciata in questi casi, ovvero il “danno procurato”. 

Così, in loop da anni, continuiamo a vedere assegnati caterve di rigori fondati sul nulla, se non su un fantasmagorico precetto che stabilisce l’equipollenza fra “contatto” e “fallo”; rigori che influenzano profondamente l’andamento dei campionati (basti pensare alla copiosa pioggia di penalty di cui ha beneficiato la Lazio lo scorso anno) e pongono alcune squadre in condizioni diametralmente opposte rispetto ad altre. 

9: il numero dei gol segnati nell’ultimo campionato cinese da Eder, il tassello mancante che andrebbe a completare il nostro puzzle offensivo. Quando domenica sera ho visto Sanchez che si toccava l’adduttore dopo un inutile scatto al 95esimo ho dovuto fare i conti con una terribile rivelazione: 

un Eder, ora come ora, sarebbe meglio averlo che non averlo. 

Dopo un simile pensiero mi sono immediatamente sentito sporco: è stato come scoprirsi a considerare la fattibilità di un’azione terribile, disgustosa, contraria a ogni norma di morale e di convivenza civile.
Eppure, l’ho fatto. Mi sono aggrappato al candido pensiero di avere un altro essere umano di professione attaccante in rosa (evidentemente, Pinamonti non è stato considerato tale), di non dover temere più un tremebondo ingresso di Perisic in caso di infortunio di uno dei tre che abbiamo. Certo, nel pensiero malato che ho avuto questo essere umano era Eder, ma appunto, c’è una ragione se quando questa cosa mi è passata per la mente mi sono sentito come se mi fossi macchiato del più abietto dei peccati. 

Sarà che in questa operazione sento degli echi del mitico affare-Rocchi andato in porto nel gennaio di 8 anni fa, una mossa di mercato da disperazione pura, da fame d’aria e avanzate a tentoni nell’oscurità, e perciò condita da una certa dose di romanticismo. 

10: I mesi dai quali non gioca una partita Mario Mandzukic, classe ’86 arrivato dal campionato qatariota. Quando mi chiedo se sia il caso di dilaniarsi per gli acquisti altrui, faccio sempre un passaggio mentale che consiste nel chiedermi “cosa faremmo se fossimo noi a prenderlo?”. Ecco, immagino che l’arrivo dell’ennesimo ultratrentenne in disuso avrebbe scatenato un dilanio ancor superiore a quello derivante dal suo acquisto da parte del Milan.

Poi però penso a Eder.

Grappa

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