Bauscia Cafè

Ce lo stiamo godendo

Era da maggio 2009 che non giocavamo una partita di campionato con già in tasca lo scudetto. Sono passati dodici anni esatti ma è rimasta identica la soddisfazione di poter guardare la partita rilassati osservando con attenzione le riserve che trovano più spazio.

Siamo arrivati a 14 vittorie consecutive in casa, nostro nuovo record. Vincendo contro Roma e Udinese arriveremmo a 17 vittorie su 19 partite a San Siro, ad un passo dal record stabilito sempre da Conte con la Juventus (19 su 19). Basterebbe questo dato tra i tanti per sottolineare che questo scudetto non è stato perso da altri, come qualcuno ha provato coraggiosamente a sostenere in questi giorni, bensì vinto pienamente da noi. Ce la saremmo giocata contro qualsiasi Juventus degli ultimi anni, senza dubbio alcuno.

Nell’ultima settimana sono uscite ricche e quanto mai goduriose analisi sugli eroi dello scudetto e sui momenti chiave della nostra cavalcata. Alla celebrazione tanto attesa quest’anno si sommano altri due fattori concomitanti che moltiplicano la nostra libido: la lotta per la Champions che probabilmente vedrà esclusa  una tra Milan e Juventus e la figuraccia internazionale cui Agnelli sta sottoponendo gli ex campioni d’Italia e che  potrebbe portare a sanzioni pesantissime, tra cui forse l’esclusione dalle prossime edizioni della Champions.

Con lo scudetto finalmente in tasca possiamo iniziare a guardare col sorriso al domani. Per far sì che il futuro sia il più brillante possibile bisogna anche saper guardare al passato evitando di ripetere errori che potrebbero pregiudicare l’apertura di un nuovo ciclo.

Mi vorrei soffermare non sui molti (troppi) errori commessi dal 2011 in poi ma capire se qualcosa è stato sbagliato in quelli che fino a pochi giorni fa erano gli ultimi anni per noi gloriosi, dal 2006 al 2011, e come essi possano non essere ripetuti oggi.

Escludendo il 2006-2007 (cavalcata da record senza alcun ostacolo interno o esterno sul nostro cammino), inizierei l’analisi dall’ultimo anno di Mancini in cui qualche atto di autolesionismo innegabilmente lo commettemmo.

In quel caso a mio avviso il primo vero errore fu dello stesso Mancini (mister tanto bravo quanto talvolta fumantino come avremmo poi notato di nuovo nel 2016) che con le parole post Liverpool creò un danno nello spogliatoio sia nel breve che nel lungo periodo accentuato dall’indisponibilità di Ibra che ci portò ad un passo dal suicidio collettivo con l’apice della partita col Siena. Per fortuna lo stesso Ibra ci consegnò lo scudetto a Parma ma lo strappo di Mancini non era più ricucibile e il contratto a Mou già pronto. In quel caso fu dunque la combo tra pressione di vincere la Champions e i modi sbagliati di Mancini che rischiarono di interrompere il nostro ciclo, per fortuna continuato e anzi migliorato dallo Special One.

L’anno seguente, 2008-2009, lo scudetto è stato vinto con un certo agio (anche grazie al fatto che una vera e unica rivale scudetto non c’era) ma pure lì la sconfitta di Manchester, per quanto più che dignitosa, provocò una dura reazione di Mou che poteva far temere un addio ma che in realtà si rivelò essere uno sprone per arrivare agli acquisti dell’estate seguente. Alla pressione costante di dover vincere la Champions quell’anno si aggiunse la spiacevole sensazione che il nostro giocatore più forte se ne volesse andare a tutti i costi e che quindi la squadra dovesse essere rifondata, essendo Ibra un giocatore pivot che influenza anche gli schemi in campo e pretende un certo tipo di gioco dai compagni. Da Nebuloni alla Curva Nord nella partita contro la Lazio le vittime delle ire funeste di Ibra furono molte negli ultimi due mesi della stagione.

Come se adesso decidesse di andarsene Lukaku, forse ancora peggio per il peso determinante che aveva Zlatan in quella squadra. Per nostra fortuna il suo addio ci portò poi Eto’o che, sommato ai vari Lucio Milito Thiago Motta e Sneijder, ci fece salire sul tetto di Europa.

Paradossalmente dalla vittoria più importante, il 22 maggio 2010, possiamo trarre la lezione più utile, che lì per lì non fu purtroppo implementata dalla società e da Moratti su tutti, giustamente innamorato di ogni singolo campione di quell’anno. La lezione, validissima ancora oggi, è che in una squadra possono esistere 2-3 incedibili ma non lo possono essere tutti. Non cedere a buon prezzo un Milito o un Maicon fu oggettivamente un errore che, col facile senno del poi, non innestò quel ricambio tecnico e generazionale che ci avrebbe probabilmente consentito di vincere qualcosa anche nell’ultimo decennio.

Vedremo se sarà stata compresa dall’attuale dirigenza, tanto più in un contesto come l’attuale in cui investire molti soldi in un nuovo acquisto diventa praticamente impossibile se non finanziato da una parallela cessione. De Vrij, Eriksen, Lautaro, Skriniar etc chiunque verrà eventualmente venduto ci procurerà del dispiacere ma potrebbe essere l’unica strada per farci fare quell’ulteriore salto di qualità richiesto per andare avanti nei turni di Champions.

Arriviamo infine all’ultima stagione con dei trofei, la 2010-2011, in cui si avvicendarono Benitez e Leonardo. Ecco, tra le molte cose che possiamo imparare da quell’annata direi che la più importante, e forse la più attuale, è come (non) si gestisce il rapporto con l’allenatore. Se Benitez sostanzialmente si autoesonerò con le dichiarazioni post Mazembe, fu davvero un dispiacere l’addio di Leonardo mai spiegato del tutto e origine di quella girandola di nuovi allenatori che da Gasperini a Mazzarri passando per Ranieri e Stramaccioni non assicurò mai quei 2-3 anni necessari di tranquillità per dar vita ad un ciclo. In quei casi un pò fu colpa di scelte sbagliate della società che investì su allenatori che mai si ambientarono ad Appiano e un pò degli allenatori stessi non capaci di adeguare le proprie idee all’ambiente e alla storia di uno dei club più grandi al mondo.

Finito questo rapido rewind, vale la pena evidenziare che in questo momento nessuna delle criticità emerse negli scorsi scudetti sembra esserci.

1 L’obiettivo di vincere ad ogni costo la Champions non c’è più a differenza dei tempi di Mancini e Mourinho. Nel 2010 il vate di Setubal parlava di sogno, non di ossessione, ma 45 anni senza vincerla sono stati oggettivamente un’eternità che al momento non abbiamo sulle spalle, essendo stati anzi l’ultima italiana a vincerla.

Indubbiamente non è più ammissibile uscire nuovamente ai gironi, tanto più che saremo in prima fascia ai sorteggi dell’anno prossimo, tuttavia se questa squadra arrivasse già ai quarti di finale, 10 anni dopo l’ultima gara ad eliminazione diretta giocata, senza dubbio sarebbe un bel passo avanti e nessuno potrebbe recriminare.

2 I top player non sembrano avere voglia di andarsene o di battere cassa. Se Ibra voleva andare a vincere la Champions al Barca (ops) va detto che anche le dichiarazioni di Milito a Madrid misero paura ai tifosi, in un momento in cui i singoli contratti sarebbero dovuti essere messi da parte per alcune settimane lasciando spazio all’estasi collettiva. Ecco: un Lukaku, un Barella, un De Vrij o un Lautaro non ce li vedo a dichiarare post gara con l’Udinese che il futuro sarà da discutere e a chiedere eventualmente più soldi nel contratto.

3 L’allenatore vuole aprire un ciclo, non vuole andarsene da vincitore come fatto con motivi e modalità diverse da Mancini, Mourinho, Benitez e Leonardo. Andarsene adesso significa interrompere una progressione di crescita che quest’anno è stata clamorosa e che, almeno da contratto, prevede tre anni di ciclo se non di più in caso di rinnovo. Questa almeno è la sensazione che si ha ad oggi, poi se negli incontri dei prossimi giorni dovessero emergere divergenze ne prenderemmo atto con l’amaro in bocca augurandoci comunque che questo non interrompa il progetto messo in atto finora.

4 Abbiamo un dirigente come Marotta che oltre alla nota bravura sul mercato in questo periodo sta anche dimostrando una lucidità unica nell’analizzare e nel capire in anticipo quelle che saranno le conseguenze sul Calcio del Covid e del calo dei ricavi che ne è conseguito.

In definitiva la somma di queste quattro cose (serenità dell’ambiente, giocatori motivati a rimanere, allenatore top e dirigenza esperta ) ci lascia sperare in una continuità di vittorie e di trofei resa più probabile anche dall’harakiri che si sta svolgendo in queste settimane a Torino.

Certo la situazione della società, i possibili nuovi ingressi nell’azionariato e le difficoltà create dal Covid (pagamento di stipendi bonus etc) potrebbero destabilizzare l’ambiente e portare di nuovo a un inaspettato cambio del management e dell’allenatore ma al momento la sensazione è che la famiglia Zhang sia stata economicamente e sentimentalmente risollevata dallo scudetto e che per questo vorrà cercare di non scontentare nessuno, creando finalmente un ciclo duraturo che porti alla storica seconda stella.

Julione94

Toscano emigrato a Roma, già a 3 anni girava con la maglietta di Ronaldo il Fenomeno. Con un nome e cognome così simile al portierone dell’Inter di Herrera la passione per i numeri 1 era inevitabile. Pessimista esistenzialista, ancor di più dopo aver visto una tripletta di Ekdal in 15 minuti a San Siro.

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