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Le vite parallele di José Mourinho e Louis Van Gaal

Josè Mourinho e Louis Van Gaal, nonostante le schermaglie dialettiche iniziate dal tecnico olandese da un paio di settimane, hanno molto più in comune di quanto non si creda.
Un percorso professionale a tratti simile, per esempio, e più in generale due carriere che ne testimoniano il carattere, la voglia di mettersi in gioco, la lettura delle situazioni contingenti ma soprattutto il loro essere VINCENTI.
Oppure, partendo dal principio, una carriera da giocatori che non è certo passata agli annali, per entrambi.
Il loro destino, nel football, non poteva essere legato a nomi quali “Royal Antwerp” (in Belgio), “Telstar”, “Sparta Rotterdam”, “Az Alkmaar”, “Rio Ave”, “Belenenses” o “Sesimbra”.
Certo, l’Olandese ci mette un po’ di tempo in più a capire la cosa, visto che giochicchia a medi livelli per 16 anni, contro i soli 7 del Portoghese.
Nel 1990, Mourinho inizia la carriera di tecnico in un club minore portoghese, l’Estrela da Amadora, sebbene non ancora come primo allenatore; più a nord, ad Amsterdam, l’ex calciatore Louis fa parte dello staff tecnico dell’Ajax.
Louis scatta, gli riesce un allungo: nel 1991 l’allenatore dei Lancieri Beenhakker, autentico giramondo del pallone, gli libera la panchina ed ha l’occasione di dimostrare la sua bravura come tecnico, e lui non se la lascia sfuggire. In 6 anni arricchisce la bacheca più prestigiosa d’Olanda con tre Campionati, una Coppa d’Olanda, tre Supercoppe, una Coppa Uefa ma soprattutto riporta L’Ajax sul tetto d’Europa, nel 1995, contro i campioni in carica rossoneri di Capello, con una banda di ragazzi terribili.
L’anno dopo, vinta pure l’Intercontinentale, riesce a ritornare in finale, perdendola contro la juventus ai rigori.
Nel frattempo, in Portogallo, abbiamo lasciato un giovane vice-allenatore in una squadra appena retrocessa, che proprio come il buon Louis non si fa sfuggire il treno che gli passa davanti nel 1992, anche se in confronto all’Eurostar biancorosso la sua occasione è al massimo un Intercity: un altro tecnico con la valigia, Sir Bobby Robson, allenatore dello Sporting, ha bisogno di un traduttore che però capisca qualcosa di calcio.
Questo giovane amante del calcio, con umiltà e lavoro si conquista il rispetto del tecnico Inglese, tant’è che quando inopinatamente lo Sporting licenzia Robson, lo segue al Porto (due campionati ed una Coppa di Portogallo) e poi, nell’estate del ’96, al Barça.
Quel Barça che targato Sir Bobby (con un certo Ronaldo in attacco) vincerà Supercoppa di Spagna, Coppa del Re e Coppa delle Coppe… il giovane tecnico Josè è l’addetto alle statistiche ed alla traduzione delle indicazioni di Robson dall’inglese al catalano (imparato per l’occasione), nessun paragone è possibile con il tecnico che ha vinto tutto alla guida dell’Ajax, ma appunto, continua ad imparare.
E le loro strade, finalmente, si incrociano nell’estate del ’97: Sir Bobby promosso General Manager, Louis alla guida dei Blaugrana, Josè ancora nello staff tecnico, alle statistiche.
In tre anni sono due Campionati, una Supercoppa Europea ed una Coppa del Re, con una squadra schierata con un singolare 2-3-2-3, pienamente integrato nella filosofia olandese-catalana del Club, votato allo spettacolo ed alla massima copertura del terreno di gioco. Certo, la presenza di campioni come Figo, Rivaldo, Kluivert, Guardiola, Luis Enrique, e tutti i nazionali olandesi importati (i fratelli De Boer, Cocu, Zenden, Reiziger), non fu un dettaglio, ma è sempre la stessa discussione: bastano i buoni giocatori, per vincere e dare spettacolo, o è anche il caso di affidarli a tecnici che ci mettano del loro?
Io personalmente sono per la seconda ipotesi, non so voi, resta il fatto che quel Barça era uno spettacolo da vedere.
Il secondo posto dietro ad un non irresistibile Deportivo la Coruna nella stagione 1999-2000, ma soprattutto la mancata ripetizione dei buoni risultati nazionali anche in Europa mentre contemporaneamente i rivali del Real vincevano due Champions League, segnano la fine della presidenza Nunez ma soprattutto del triennio di convivenza tra i due protagonisti di questa storia, non senza un curioso epilogo scoperto l’altro giorno sulla Gazzetta dello Sport: a fine stagione, in pieno clima di smobilitazione generale, Louis lascia a Josè, nel frattempo promosso guida tecnica del Barça “B”, il compito (ma chiamiamola pure seccatura, per l’affermato tecnico in procinto di diventare CT Olandese) di guidare la squadra in una competizione minore semi amichevole come la Coppa di Catalogna; torneo solitamente giocato con solo riserve e primavera, è il primo vero banco di prova per il futuro Special One, che convoca giovani canterani già nel giro della prima squadra come Xavi e Thiago Motta, ma soprattutto vince.
Il suo primo titulo, nonchè l’unico di quella stagione disgraziata del Barça.
Le loro strade si dividono, ma la ruota del Destino, della Sorte, di Eupalla, chiamatela come volete sta girando, impercettibile ai più quanto un bambino che nasce in una mangiatoia in un posto senza acqua, luce e gas. Il tecnico affermato, diventa Comissario Tecnico, il giovane allenatore inizia a camminare con le proprie gambe, cominciando dal Club più seguito del suo paese, il Benfica, e dopo pochi mesi per dissidi con la dirigenza passando all’Uniao de Leiria, che porta all’inaspettato 5° posto.
A Gennaio 2002, lascia il Leiria perchè chiamato sulla più prestigiosa panchina del Porto, che conduce al terzo posto in quindici partite di cui ben undici vinte, promettendo di vincere lo scudetto l’anno seguente.
Nel frattempo in Olanda Van Gaal subisce l’onta, da CT, di non riuscire la qualificazione degli Oranje ai mondiali del 2002, ed abbandona per dissidi fortissimi con i giocatori, molti dei quali già da lui allenati all’Ajax ed al Barça, sui metodi di lavoro.
E’ la stagione 2002-2003 a lanciare definitivamente il razzo-Mou in orbita, mentre l’astronauta alla deriva Louis tenta un ritorno al Barça che però dura mezza stagione, lontano parente della squadra di due anni prima e soprattutto senza Figo, Rivaldo e Guardiola e con molti giocatori del suo precedente ciclo ormai sul viale del tramonto.
Il Porto di Josè invece mantiene la promessa fatta dal suo tecnico 12 mesi prima, cioè di vincere il campionato, ma non si limita a questo: Coppa di portogallo ma soprattutto Coppa Uefa consegnano agli annali del Porto una stagione memorabile, se non fosse per quanto avviene l’anno seguente: Supercoppa di Portogallo, conferma in Campionato ed addirittura vittoria della Champions League, dopo aver eliminato tra l’altro il Manchester united.
Il maestro è in una più o meno forzata vacanza, l’allievo ha offerte da tutta Europa… il mondo si è capovolto in soli 4 anni.
La saga di Mou continua in Inghilterra, al Chelsea di Abrahmovic, la sfida è semplice: completare l’opera che il bizzoso magnate russo ha iniziato a colpi di acquisti milionari l’anno prima, ma con un esito diverso dalle sconfitte del perdente di successo Ranieri.
L’operazione riesce al primo colpo, il Campionato Inglese 2004-2005 è del Chelsea così come la ciliegina della Coppa di Lega (battendo in finale il Liverpool di Benitez, la squadra di mou si riconfermerà campione l’anno seguente mentre nel 2006-2007 si dovrà accontentare del secondo posto dietro al Manchester e dell’accoppiata Coppa di Lega – Coppa d’Inghilterra.
Per il Chelsea è un periodo incredibile, per tre anni nessuno riesce ad espugnare Stamford bridge in campionato, e la stanza dei trofei del Club ha praticamente raddoppiato il proprio contenuto; anche in Champions le continue sfide con il Liverpool (e le conseguenti eliminazioni) sembrano solo un rimandare qualcosa di inevitabile, cioè una vittoria di questa squadra magari non spettacolare ma incredibilmente solida, in cui le punte fan salire la squadra prima ancora di esserne i terminali offensivi, le ali allargano il gioco ed i centrocampisti trovano frequentemente la via del gol sugli inserimenti propiziati dalla manovra di squadra. Che si giochi col 4-4-2 o col 4-3-3, non cambia nulla.
Il calcio non si è però dimenticato di Louis Van Gaal, che ricomincia ad allenare nell’estate del 2005 da una realtà modesta come l’AZ Alkmaar, in Olanda.
José Mourinho e Louis Van Gaal, nonostante le schermaglie dialettiche iniziate dal tecnico olandese da un paio di settimane, hanno molto più in comune di quanto non si creda: un percorso professionale a tratti simile, per esempio, e più in generale due carriere che ne testimoniano il carattere, la voglia di mettersi in gioco, la lettura delle situazioni contingenti ma soprattutto il loro essere VINCENTI.

Oppure, partendo dal principio, una carriera da giocatori che non è certo passata agli annali, per entrambi: la loro storia calcistica, in fondo, non poteva essere legata a nomi quali “Royal Antwerp” , “Telstar”, “Sparta Rotterdam”, “Az Alkmaar”, “Rio Ave”, “Belenenses” o “Sesimbra”… certo, l’Olandese ci mette un po’ di tempo in più a capire la cosa, visto che giochicchia a medi livelli per 16 anni, contro i soli 7 del Portoghese.

Nel 1990, Mourinho inizia la carriera di tecnico in un club minore portoghese, l’Estrela da Amadora, sebbene non ancora come primo allenatore; più a nord, ad Amsterdam, l’ex calciatore Louis fa parte dello staff tecnico dell’Ajax.

Louis scatta, gli riesce un allungo: nel 1991 l’allenatore dei Lancieri Beenhakker, autentico giramondo del pallone, gli libera la panchina ed ha l’occasione di dimostrare la sua bravura come tecnico, e lui non se la lascia sfuggire. In 6 anni arricchisce la bacheca più prestigiosa d’Olanda con tre Campionati, una Coppa d’Olanda, tre Supercoppe, una Coppa Uefa ma soprattutto riporta l’Ajax sul tetto d’Europa, nel 1995, contro i campioni in carica rossoneri di Capello, con una banda di ragazzi terribili. L’anno dopo, vinta pure l’Intercontinentale, riesce a ritornare in finale perdendola contro la Juventus ai rigori.

Nel frattempo, in Portogallo, abbiamo lasciato un giovane vice-allenatore in una squadra appena retrocessa, che proprio come il buon Louis non si fa sfuggire il treno che gli passa davanti nel 1992, anche se in confronto all’Eurostar biancorosso la sua occasione è al massimo un Intercity: un altro tecnico con la valigia, Sir Bobby Robson, allenatore dello Sporting, ha bisogno di un traduttore che però capisca qualcosa di calcio. Questo giovane amante del calcio, con umiltà e lavoro si conquista il rispetto del tecnico inglese, tant’è che quando inopinatamente lo Sporting licenzia Robson, lo segue al Porto (due campionati ed una Coppa di Portogallo) e poi, nell’estate del ’96, al Barça. Una squadra che targata Sir Bobby (con un certo Ronaldo in attacco) vincerà Supercoppa di Spagna, Coppa del Re e Coppa delle Coppe… il giovane tecnico José è l’addetto alle statistiche ed alla traduzione delle indicazioni di Robson dall’inglese al catalano (imparato per l’occasione), nessun paragone è possibile con il tecnico che ha vinto tutto alla guida dell’Ajax, ma appunto, continua ad imparare.

E le loro strade, finalmente, si incrociano nell’estate del ’97: Sir Bobby promosso General Manager, Louis alla guida dei Blaugrana, José ancora nello staff tecnico, alle statistiche; in tre anni sono due Campionati, una Supercoppa Europea ed una Coppa del Re, con una squadra schierata con un singolare 2-3-2-3 pienamente integrato nella filosofia olandese-catalana del Club, votato allo spettacolo ed alla massima copertura del terreno di gioco.

Certo, la presenza di campioni come Figo, Rivaldo, Kluivert, Guardiola, Luis Enrique, e tutti i nazionali olandesi importati (i fratelli De Boer, Cocu, Zenden, Reiziger) non fu un dettaglio, ma è sempre la stessa discussione: bastano i buoni giocatori, per vincere e dare spettacolo, o è anche il caso di affidarli a tecnici che ci mettano del loro? Io personalmente sono per la seconda ipotesi, non so voi, resta il fatto che quel Barça era uno spettacolo da vedere.

Il secondo posto dietro ad un non irresistibile Deportivo la Coruna nella stagione 1999-2000, ma soprattutto la mancata ripetizione dei buoni risultati nazionali anche in Europa mentre contemporaneamente i rivali del Real vincevano due Champions League, segnano la fine della presidenza Nunez nonché del triennio di convivenza tra i due protagonisti di questa storia, non senza un curioso epilogo scoperto l’altro giorno sulla Gazzetta dello Sport: a fine stagione, in pieno clima di smobilitazione generale, Louis lascia a José, nel frattempo promosso guida tecnica del Barça “B”, il compito (ma chiamiamola pure seccatura, per l’affermato tecnico in procinto di diventare CT Olandese) di guidare la squadra in una competizione minore semi amichevole come la Coppa di Catalogna; torneo solitamente giocato con solo riserve e primavera, è il primo vero banco di prova per il futuro Special One che convoca giovani canterani già nel giro della prima squadra come Xavi e Thiago Motta, ma soprattutto vince. Il suo primo titulo, nonchè l’unico di quella stagione disgraziata del Barça.

Le loro strade si dividono, ma la ruota del Destino, della Sorte, di Eupalla, chiamatela come volete, sta girando impercettibile ai più quanto un bambino che nasce in una mangiatoia in un posto senza acqua, luce e gas. Il tecnico affermato diventa Comissario Tecnico, il giovane allenatore inizia a camminare con le proprie gambe, cominciando dal Club più seguito del suo paese, il Benfica, e dopo pochi mesi per dissidi con la dirigenza passando all’Uniao de Leiria, che porta all’inaspettato 5° posto. A Gennaio 2002, lascia il Leiria perché chiamato sulla più prestigiosa panchina del Porto, che conduce al terzo posto in quindici partite di cui ben undici vinte, promettendo di vincere lo scudetto l’anno seguente.

Nel frattempo in Olanda Van Gaal subisce l’onta, da CT, di non riuscire la qualificazione degli Oranje ai mondiali del 2002, ed abbandona per dissidi fortissimi con i giocatori, molti dei quali già da lui allenati all’Ajax ed al Barça, sui metodi di lavoro.

E’ la stagione 2002-2003 a lanciare definitivamente il razzo-Mou in orbita, mentre l’astronauta alla deriva Louis tenta un ritorno al Barça che però dura mezza stagione, lontano parente della squadra di due anni prima e soprattutto senza Figo, Rivaldo e Guardiola e con molti giocatori del suo precedente ciclo ormai sul viale del tramonto.

Il Porto di José invece mantiene la promessa fatta dal suo tecnico 12 mesi prima, cioè di vincere il campionato, ma non si limita a questo: Coppa di Portogallo ma soprattutto Coppa Uefa consegnano agli annali del Porto una stagione memorabile, se non fosse per quanto avviene l’anno seguente: Supercoppa di Portogallo, conferma in Campionato ed addirittura vittoria della Champions League, dopo aver eliminato tra gli altri il Manchester United.

Il maestro è in una più o meno forzata vacanza, l’allievo ha offerte da tutta Europa… il mondo si è capovolto in soli 4 anni.

La saga di Mou continua in Inghilterra, al Chelsea di Abramovich la sfida è semplice: completare l’opera che il bizzoso magnate russo ha iniziato a colpi di acquisti milionari l’anno prima, ma con un esito diverso dalle sconfitte del perdente di successo Ranieri. L’operazione riesce al primo colpo, il Campionato Inglese 2004-2005 è del Chelsea così come la ciliegina della Coppa di Lega (battendo in finale il Liverpool di Benitez). La squadra di Mou si riconfermerà campione l’anno seguente mentre nel 2006-2007 si dovrà accontentare del secondo posto dietro al Manchester United e dell’accoppiata Coppa di Lega – Coppa d’Inghilterra.

Per il Chelsea è un periodo incredibile, per tre anni nessuno riesce ad espugnare Stamford Bridge in campionato, e la stanza dei trofei del Club ha praticamente raddoppiato il proprio contenuto; anche in Champions le continue sfide con il Liverpool (e le conseguenti eliminazioni) sembrano solo un rimandare qualcosa di inevitabile, cioè una vittoria di questa squadra magari non spettacolare ma incredibilmente solida, in cui le punte fan salire la squadra prima ancora di esserne i terminali offensivi, le ali allargano il gioco ed i centrocampisti trovano frequentemente la via del gol sugli inserimenti propiziati dalla manovra di squadra. Che si giochi col 4-4-2 o col 4-3-3, non cambia nulla.

Il calcio non si è però dimenticato di Louis Van Gaal, che ricomincia ad allenare in Olanda nell’estate del 2005 da una realtà non conosciutissima in Italia come l’AZ Alkmaar, e sembra essere tornato il tecnico rivelazione degli anni ’90: secondo e terzo posto, nei primi due anni, pur senza talenti particolari in squadra. Per un vincente come lui, non certo trionfi da festeggiare, ma un modo appunto di ricominciare un discorso che sembrava tranciato di netto, irrevocabilmente.

E’ il 2007-2008 a livellare nuovamente la condizione di entrambi: i dissidi in fatto di campagna acquisti e di gestione di alcuni giocatori (su tutti Shevcenko e Ballack) incrinano il rapporto tra Mourinho ed il suo presidente, causandone la fine già a Settembre, mentre Van Gaal dopo le due stagioni positive, chiude all’undicesimo posto; per entrambi tuttavia si tratta di un passaggio a vuoto solo momentaneo, l’occasione del riscatto si ripresenta già nella stagione seguente, il Mou con i nostri colori (non servono approfondimenti, giusto?) mentre l’Olandese volante portando ad un successo clamoroso proprio l’AZ, che gli consente di essere individuato come il tecnico del Bayern per il 2009-2010.

La loro storia prosegue in parallelo pure quest’anno, entrambi inizialmente o nel corso della stagione criticati al minimo errore o sbavatura, entrambi campioni nazionali e di Coppa nazionale, entrambi alla ricerca del successo che li proietterebbe in un Olimpo ristretto, ovvero quello degli allenatori riusciti a vincere il massimo trofeo continentale alla guida di due squadre differenti; ed almeno uno dei due riuscirà a realizzare da assoluto outsider (di nuovo) quello che aveva invano tentato al Barça o al Chelsea, con rose ancora più ampie/ricche.

Ancora una volta, l’allievo ed il maestro (che in realtà non si sono mai affrontati in competizioni ufficiali, ma forse – non sono sicuro – nemmeno in amichevoli) nello stesso stadio, anche se non il Camp Nou che li ha visti insieme ma il Bernabeu dei rivali di ieri… e magari dei tifosi di domani, penserà almeno uno dei due.

Ma questa è un’altra storia, che potrà raccontare qualcun altro un’altra volta, la mia si ferma qui ed è solo un tentativo di omaggio alle carriere fuori dal comune  e tutt’altro che prossime alla conclusione di due tecnici coraggiosi, che non temono le sfide né di essere impopolari. E che a dispetto dei propri detrattori, sanno essere spettacolari, oltre ad aver entrambi insegnato Calcio ovunque siano andati. Partendo dal concetto comune che le partite si vincono nella testa dei giocatori prima ancora che non sul rettangolo verde.
E che sanno fare di tutto per spostare l’attenzione dalla sfida di sabato.

Perché non penserete mica che sia un caso, no, se stiamo a parlare da giorni noi del futuro di Mourinho, ed i tedeschi della presunta maggiore spettacolarità del loro gioco?
Dialettica pura e semplice.

L’allievo ed il maestro, appunto.

Mr Sarasa

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